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Messaggi del 20/03/2014

 

Ilaria Alpi, a vent'anni dall'assassinio Troppe domande senza ancora risposta da l'espresso

Post n°11302 pubblicato il 20 Marzo 2014 da Ladridicinema
 

Era il 20 marzo 1994 quando la giornalista del Tg3 e l'operatore MIran Hrovatin venivano uccisi in Somalia. E in due decenni tra depistaggi, commissioni d'inchiesta andate a vuoto e testimonianze poi ritrattate resta ancora un elenco infinito di nodi irrisolti. Mentre parte una raccolta firme per ottenere luce sul casodi Andrea Palladino

Ilaria Alpi, a vent'anni dall'assassinio  Troppe domande senza ancora risposta
“Questi non li fermi più”. Piero abbassa lo sguardo, per poi - con uno scatto - puntarti gli occhi neri e felini. Di cognome fa Sebri, di mestiere una volta faceva il trafficante. Di rifiuti, nei paesi del Centroamerica. Oggi segue la carovana antimafia a nord ovest di Milano e racconta quello che era il suo mondo. “Io non posso dimenticare Ilaria Alpi - aggiunge - perché so quello che è accaduto, so che se una giornalista fa troppe domande in giro la devi fermare, costi quel che costi”.

Mogadiscio, 20 marzo 1994. Lo stesso giorno della smobilitazione del nostro contingente dopo la prima missione Onu. Perdente, come tante altre. L’inviata del Tg3 Ilaria Alpi ha fretta, è appena arrivata con il suo operatore da un viaggio nel nord della Somalia, a Bosaso. Un luogo pericoloso come una palude, una città off-limits per i giornalisti italiani, come racconterà qualche anno dopo una fonte etiope alla Dia di Genova. Ha fretta Ilaria, ha un servizio importante, lo annuncia al suo caporedattore: “Lasciatemi spazio questa sera, ho roba grossa”. Alloggia all’Hotel Sahafi, base dove incrocia i colleghi delle testate estere. Ha sempre evitato di passare le notti nella casa del trasportatore italiano Giancarlo Marocchino, una vera potenza a Mogadiscio, rientrato in Somalia dopo un’espulsione decisa dagli Usa, per sospetto traffico d’armi. E’ l’ora di pranzo, esce di corsa con Miran Hrovatin, l’operatore arrivato da Trieste, esperto di scenari di guerra. L’ultimo viaggio dura pochi chilometri, in una Mogadiscio sconvolta da tre anni di guerra civile, lasciata allo sbando dalla missione Unosom, in ritirata. L’aspettano, la seguono, in sette, armati. E’ un’agguato. Un colpo di Ak47 prima colpisce Miran, poi una mano - ancora ignota - va verso di lei: uno sparo diretto alla nuca, con arma corta, dirà il perito medico durante la visita esterna. Nessuno li poteva fermare. O meglio, nessuno li ha voluti fermare: certe domande, certe inchieste era meglio non farle in Somalia.
La copertina che l'Espresso ha...La copertina che l'Espresso ha dedicato al caso nel 2005

Questa è l’unica verità a distanza di vent’anni sulla morte di Ilaria Alpi e Miran Hrovatin. Tutto il resto è un’immensa nebulosa di depistaggi, di testimoni che spariscono, fuggiti o morti per overdose. Quattro magistrati, una commissione parlamentare d’inchiesta che partorì la tesi bislacca dell’omicidio causale. E un silenzio - colpevole - di chi sapeva, di chi poteva portare ad individuare mandanti ed esecutori. Ovvero dello Stato. “Ilaria Alpi, con le informazioni che aveva raccolto, era in grado di creare problemi enormi all’interno di governi”, prosegue Piero Sebri. E parla a ragion veduta: in tribunale testimoniò sul caso Alpi raccontando di un suo incontro con uomini dei servizi: “Mi dissero che quella giornalista era sistemata”. Venne querelato e, alla fine di un lungo processo, prosciolto in Cassazione.

Il silenzio dello Stato lo vedi in trasparenza leggendo le carte dei tanti processi sul caso Alpi-Hrovatin. La nebulosa che ha reso intricato il caso inizia subito, poche ore dopo la loro morte. Il 21 marzo 1994 l’agente del Sismi a Mogadiscio Alfredo Tedesco manda un primo messaggio a Forte Braschi: “La giornalista italiana - scrive - avrebbe ricevuto minacce di morte anche a Bosaso il giorno 16 u.s. Secondo alcuni testimoni somali l’attentato sarebbe stato eseguito da un commando bene addestrato e secondo quanto riferito l’azione era stata pianificata in precedenza”.

Uno scenario chiaro, descritto da un agente che conosceva bene - per il suo ruolo - Mogadiscio. Queste parole in buona parte spariranno. Una penna - ancora anonima - cancellò e modificò quelle frasi: “Secondo alcuni testimoni somali - si legge sul messaggio modificato - l’attentato sarebbe stato eseguito da un commando ben addestrato lasciando presumere un’azione pianificata”. Spariscono le minacce, indebolendo la tesi dell’esecuzione. E ancora lo stesso agente Tedesco scriveva il 24 marzo che “appare evidente la volontà dell’Unosom di minimizzare sulle reali cause” dell’agguato. Messaggio, questo, che si ribalta dopo l’intervento della mano anonima a Roma, diventando: “L’Unosom sta orientando le indagini sulla tesi della tentata rapina”. Ecco pronta la tesi di comodo.

Il messaggio dell'agente Sismi a Mogadiscio Alfredo Tedesco, modificato eliminando il riferimento alle minacce a Ilaria Alpi 

E’ solo l’inizio. L’indagine giudiziaria per quattro anni conclude ben poco. Cambiano diverse volte i magistrati, per poi approdare al pm Franco Ionta. Qui avviene una svolta: l’ambasciatore italiano Cassini torna dalla Somalia a metà del 1997 con un testimone ritenuto chiave, tale Ahmed Ali Rage, detto Gelle. Racconta che era presente sul luogo dell’agguato, riconosce uno dei componenti del gruppo di fuoco, Hashi Omar Assan, detto Faudo. Le autorità italiane lo fanno arrivare a Roma insieme ad un gruppo di somali che denunciavano di aver subito torture dai militari italiani. Subito dopo la sua deposizione davanti alla commissione parlamentare Gallo che indagava sul comportamento del contingente in Somalia, la Digos - guidata da Lamberto Giannini - lo arresta.

Gelle, il testimone chiave, tre mesi dopo l’interrogatorio sparisce: non deporrà mai davanti ai giudici. Nel 2002 arriva la condanna per Hashi, ancora oggi in carcere scontando la pena di 26 anni di reclusione. Accade, però, qualcosa di imprevisto. Il giornalista somalo in servizio a Rai international Mohamed Sabrie Aden riceve una telefonata proprio da Gelle - o da qualcuno che si spacciava per il testimone: “Ho inventato tutto d’accordo con le autorità italiane”. Interrogarlo di nuovo sarebbe la prova del più clamoroso depistaggio e, soprattutto, potrebbe portare a quelle “autorità” che hanno sempre avuto l’interesse a non far uscire la verità sull’agguato di Mogadiscio. Eppure Gelle non si trova, spiegano gli uomini della Digos. Sanno che sta in Inghilterra, conoscono il suo nuovo nome, Abdi Ali Rage, il nome della moglie, il suo numero del sistema sanitario britannico, l’indirizzo dell’ufficio dove va a ritirare il sussidio ogni quindici giorni. Niente da fare, è una vera primula rossa per il governo italiano.

L’elenco dei nodi irrisolti potrebbe proseguire all’infinito. A partire dallo strano movimento di navi a Bosaso, proprio nei giorni del viaggio di Ilaria e Miran. Lei voleva capire meglio la storia del peschereccio della compagnia italo-somala Shifco, sequestrato dai pirati della Migiurtina. Una compagnia che nel 2003 l’Onu indicherà in un rapporto come coinvolta nel traffico d’armi. Relazione, questa, che mai verrà presa in considerazione dalla commissione d’inchiesta guidata da Carlo Taormina, che alla fine abbraccerà la tesi Unosom, l’omicidio casuale. Oggi, dopo vent’anni, il caso è ancora aperto, con una richiesta nata da Greenpeace e da una petizione di Articolo 21 per desecretare tutti i documenti . Lo Stato, in fondo, almeno questo lo deve a Ilaria e Miran.
19 marzo 2014
 
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Jimmy P.

Post n°11301 pubblicato il 20 Marzo 2014 da Ladridicinema
 

Jimmy P.

Poster

Alla fine della seconda guerra mondiale, Jimmy Picard, nativo americano della tribù dei Blackfoot, che ha combattuto in Francia, è ricoverato all’ospedale militare Topeka in Kansas, un istituto specializzato in malattie mentali. Jimmy soffre di numerosi sintomi: vertigini, cecità temoranea, perdita di udito… In mancanza di una causa fisiologica, la diagnosi è schizofrenia. Tuttavia la direzione dell’ospedale decide di consultare Georges Devereux, un antropologo francese, psicoanalista ed esperto in cultura dei nativi americani. Jimmy P è la storia dell’incontro e dell’amicizia tra due uomini che non si sarebbero mai incontrati in circostanze normali e che in apparenza non hanno nulla in comune. Insieme intraprendono l’esplorazione della memoria e dei sogni di Jimmy, un esperimento che conducono come due investigatori e con crescente complicità.

 
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Noi 4

Post n°11300 pubblicato il 20 Marzo 2014 da Ladridicinema
 

Poster

Il 13 giugno 2013 è una giornata qualsiasi, ma è anche una giornata diversa da tutte le altre. Oggi Giacomo, il figlio più piccolo di Ettore e Lara, ha gli orali degli esami di terza media. Se fosse un'altra famiglia, questa sarebbe l'occasione per stare tutti insieme a incoraggiare e sostenere il ragazzino. Non è però il caso dei nostri quattro, perché il padre e la madre di Giacomo, sua sorella Emma, ventenne, insieme non riescono a stare. E come se non bastasse in questo giorno, oltre alle tensioni familiari, ognuno di loro dovrà affrontare una sua piccola, grande sfida personale. Il tutto nella cornice di una Roma abbacinante e soffocante, sotto il sole di una giornata di inizio estate.

 
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Non buttiamoci giù

Post n°11299 pubblicato il 20 Marzo 2014 da Ladridicinema
 

A Long Way Down

Poster

Tratto dal best seller di Nick Hornby, il film racconta la sotria di quattro sconosciuti che, durante la notte di Capodanno, si incontrano in cima al grattacielo più alto di Londra con lo stesso intento, ovvero quello di saltare giù. Questa coincidenza è talmente grottesca da farli desistere temporaneamente e stringere un patto: nessuno dei quattro si suiciderà per almeno 6 settimane, ma la notte di San Valentino, si ritroveranno sullo stesso grattacielo per fare il punto della situazione delle loro vite.

 
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Presto farà giorno

Post n°11298 pubblicato il 20 Marzo 2014 da Ladridicinema
 

Poster

Tre personaggi con le loro fragilità e insicurezze rincorrono il bisogno di affermare la propria identità. Tenteranno di uscire dall'ombra e dalla solitudine interiore, affidandosi ad effimeri sogni e illusorie conferme. Sono i sentimenti a fare intrecciare le loro vite ma le diverse scelte e la diversa crescita individuale li spingeranno verso strade differenti.

  • MONTAGGIOMauro Menicocci
  • PRODUZIONE: Settima Entertainment Srl, in collaborazione con RAI Cinema, in associazione con SWAN TOUR SpA - Rile Development Srl
  • DISTRIBUZIONE: Settima Entertainment
  • PAESE: Italia

 
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Film nelle sale da oggi

 

Dopo Sorrentino Virzì, il momento d'oro del cinema italiano da l'espresso

Post n°11296 pubblicato il 20 Marzo 2014 da Ladridicinema
 
Tag: news

Dopo il trionfo e le emozioni degli Oscar a Los Angeles, dopo le polemiche un po' sgraziate sulla paternità produttiva, un altro film italiano, quatto quatto, si fa strada sui mercati internazionalidi Enrico Arosio

Dopo Sorrentino Virzì, il momento d'oro del cinema italianoUna scena da "Il capitale umano"
Non solo Sorrentino. Dopo il trionfo e le emozioni degli Oscar a Los Angeles, dopo le polemiche un po' sgraziate sulla paternità produttiva, un altro film italiano, quatto quatto, si fa strada sui mercati internazionali. È “Il capitale umano” di Paolo Virzì. Uscito nelle sale nazionali a gennaio, ha incassato, a oggi, 5,5 milioni di euro, totalizzando oltre 900 mila ingressi. È un buonissimo risultato per un film di elevata qualità formale e notevole spessore che non strizza l'occhio agli effettacci e agli spettatori di bocca troppo buona.

La seconda notizia è che il giallo etico-esistenziale sui nuovi ricchi del Nord Italia è l'unico film italiano invitato a partecipare al concorso internazionale del Tribeca Film Festival di New York, fondato da Robert De Niro e Jane Rosenthal. Andrà in proiezione il 18 aprile. È una vetrina molto importante per il lancio negli Stati Uniti, a cui la produzione, Indiana Film, con Rai Cinema e la Francese Manny Films, sta lavorando da tempo.

Il nuovo film del regista toscano sarà in sala dal 9 gennaio. Tratto dal romanzo di Stephen Amidon, è una storia corale e trasversale nei generi. "Volevo far emergere il mondo dei benestanti, quelli che hanno investito sul fallimento di questo paese". Ecco il trailer
Il terzo fatto da segnalare è il successo del “Capitale umano” (“Human Capital”) sul piano della distribuzione europea. Prenotazioni a valanga, come accade di rado (a torto o a ragione) a un prodotto cinematografico italiano. La francese Bac Films, a cui va un bel po' di merito, ha subito assicurato una distribuzione nei Paesi francofoni, Francio, Benelux, Svizzera, Canada. E questo sorprende meno. Ma al recente European Film Market di Berlino, il più importante appuntamento annuale insieme a Cannes, Bac International ha piazzato la bella parabola sul capitalismo finanziario con Bentivoglio & Gifuni in un gran numero di paesi, anche extraeuropei: dalla Germania al Regno Unito. dalla Spagna alla Polonia, dai paesi scandinavi a quelli della ex Jugoslavia.

Hanno firmato con Israele, Turchia, Brasile, Hong Kong, persino Australia e Nuova Zelanda. Hbo diffonderà la pellicola nell'Est Europa, la Eim curerà quella sui voli aerei intercontinentali, un mercato sempre più ambito. Prima di Cannes si pensa di chiudere un contratto di distribuzione per l'America Latina, e con numerosi Paesi asiatici.

Sui Navigli, nella piccola casa di produzione milanese Indiana da cui tutto è partito (e che “l'Espresso” raccontò sul n. 3 di gennaio) non nascondono la soddisfazione. «E più in generale», commenta Fabrizio Donvito, uno dei soci, «l'effetto Oscar a Paolo Sorrentino avrà ricadute positivi su tutto il nuovo cinema italiano di qualità. Come in fondo merita».

Effetto Sorrentino a pioggia, a spruzzo, a goccia? Lo misureremo nei prossimi mesi.
 
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Garrone, Sorrentino e Taviani: Eurimages premia il cinema italiano da cinecittà news

Post n°11295 pubblicato il 20 Marzo 2014 da Ladridicinema
 

redazione18/03/2014
Promossi tutti i progetti italiani nella prima sessione 2014 di Eurimages. Il Fondo del Consiglio d’Europa destinato alle coproduzioni cinematografiche sosterrà Il racconto dei racconti di Matteo Garrone con 470mila euro, Il futuro di Paolo Sorrentino con 460mila euro e Maraviglioso Boccaccio di Paolo e Vittorio Taviani con 470mila euro, insieme a Mama di Vlado Skafar, coproduzione minoritaria con la Slovenia, che ha avuto 110 mila euro e sarà girato quasi interamente in Italia.

En plein, dunque, per l’Italia che, ricorda Nicola Borrelli, direttore generale per il Cinema e componente del Consiglio di amministrazione dell’istituto europeo, “è uno dei paesi fondatori di Eurimages e, assieme a Francia e Germania, è tra i maggiori contributori del Fondo. Il risultato - aggiunge ancora Borrelli - premia il nostro cinema migliore: questo ci rende orgogliosi e conferma le potenzialità di accesso al sostegno europeo. Del resto i recenti e meravigliosi successi della nostra cinematografia sono stati raggiunti non solo grazie a grandi autori, ma anche attraverso una solida struttura di coproduzione tra più paesi”.

“Non era affatto scontato - sottolinea Alessandra Priante, che ha rappresentato l’Italia in Eurimages per conto del MiBACT- Invece siamo riusciti a travolgere la concorrenza”.

Eurimages, che quest’anno festeggia il venticinquesimo anniversario, opera annualmente con un budget attorno ai 25 milioni di euro e sostiene in media 65 coproduzioni l’anno, tra cui documentari, film d’animazione e opere prime. Negli ultimi anni i film europei con il “marchio” Eurimages sono risultati tra i migliori in circolazione e spesso hanno raccolto i premi internazionali più ambiti: l’esempio più recente è La grande bellezza di Paolo Sorrentino, Oscar per il migliore film straniero e vincitore di Golden Globe, Bafta e European Film Awards.

 
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MiBACT: “Il senso del cinema e dell’audiovisivo per i territori”

Post n°11294 pubblicato il 20 Marzo 2014 da Ladridicinema
 
Tag: news

ssr18/03/2014
A Roma martedì 25 marzo, ore 10.30, presso la Biblioteca di Archeologia e Storia dell’Arte-Sala Crociera del Ministero dei Beni e delle Attività Culturali e del Turismo (via del Collegio Romano 27), si terrà il convegno “Il senso del cinema e dell’audiovisivo per i territori” promosso dalla DG per il Cinema-MiBACT in collaborazione conIstituto Luce Cinecittà e Italian Film Commissions.
Verrà presentato il Rapporto di ricerca realizzato dalla Fondazione Rosselli per Luce-Cinecittà con la supervisione della DG Cinema-MiBACT.

Di seguito il programma del convegno
10:30-11:30 - Conferenza stampa di presentazione della ricerca: Nicola Borrelli direttore generale per il Cinema-MiBACT, Francesca Traclò direttore Fondazione Rosselli, Bruno Zambardino docente di Economia e organizzazione del cinema e della tv, Sapienza Università di Roma, e Roberto Cicutto Amministratore delegato Istituto Luce-Cinecittà. 

11:30-12:30 - “Il ruolo dei territori a sostegno del cinema e dell’audiovisivo”: modera Bruno Zambardino, intervengono Stefania Ippoliti presidente Italian Film Commissions, Alessandra Tavernese coordinatore tecnico per la Commissione Beni ed Attività Culturale della Regione Calabria, Delegazione di Roma, Renzo Iorio, presidente di Federturismo Confindustria, Marco Cucco, Università della Svizzera italiana‐Faculty of Communication Sciences, Alberto Versace direttore generale Dipartimento Sviluppo e Coesione Economica, presidente “Sensi contemporanei”, Guido Cerasuolo presidente APE-Associazione Produttori Esecutivi e Arie Boher presidente Consiglio direttivo EUFCN.

12: 30-13:30 - “Casi studio: complessità produttive e coinvolgimento delle FC”: modera Paolo Di Maira direttore “Cinema&Video International”, Zoran il mio nipote scemo Igor Princic, produttore Transmedia; “Gomorra-la serie” Riccardo Tozzi, produttore Cattleya; Basilicata coast to coast, Arturo Paglia , produttore Paco Cinematografica, Don Matteo Luca e Matilde Bernabei , produttori Lux Vide.

 
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Quando c’era Berlinguer, Veltroni regista convince più del politico e firma un gioiello da il fatto quotidiano

Post n°11293 pubblicato il 20 Marzo 2014 da Ladridicinema
 

La pellicola sarà nelle sale dal 27 marzo. A quasi trent’anni dalla sua scomparsa, il ricordo dello storico segretario del Pci si scopre tristemente labile. Evaporato in una nuvola rossa, come gli amici fragili di De André e come quel senso di appartenenza che pareva naturale quando c’era lui e volergli bene – non solo per Benigni – era cosa scontata
Enrico Berlinguer

La parte più terribile di Quando c’era Berlinguer è quella iniziale. Studenti universitari e professoresse colpevolmente ridanciane esibiscono la loro ignoranza: “Berlinguer chi?” Domanda troppo difficile. “È quello che ha inventato la bomba?”, “No, le sue canzoni di sinistra non mi piacciono”. A quasi trent’anni dalla sua scomparsa, il ricordo di Enrico Berlinguer si scopre tristemente labile. Evaporato in una nuvola rossa, come gli amici fragili di De André e come quel senso di appartenenza che pareva naturale quando c’era lui e volergli bene – non solo per Benigni– era cosa scontata.

Il film, una produzione Sky realizzata da Palomar, sarà nelle sale da giovedì 27 marzo. A giugno verrà trasmesso su Sky Cinema, a ottobre diventerà un volume per Rizzoli. Veltroni ha firmato un gioiello di 110 minuti evitando la retorica, e non era scontato. Il regista, benché esordiente, convince più del politico: Quando c’era Berlinguer è la sua cosa più ispirata assieme al libro Il disco del mondo. Qualcuno la riterrà un’opera troppo indulgente, lamentando per esempio l’assenza di un riferimento alla benevolenza con cui il leader plaudì gli “eroici combattenti di Cambogia e Vietnam” e dimenticò le atrocità degli khmer rossi. E certo il contributo di Jovanotti, che Veltroni ha avuto la colpa (antica) di accreditare come “intellettuale”, è davvero esile.

Dettagli: c’è partecipazione ma non agiografia. C’è il giovane Enrico che saluta in stazione Togliatti, sul treno che porterà il presunto “Migliore” ai funerali di Stalin. E ci sono i dolori di Berlinguer, morto due volte come sostiene Veltroni, la prima dopo il sequestro Moro e la seconda a Padova. La ferita della vignetta su Repubblica di Forattini nel ’77, che lo disegnò come un borghese che sorseggiava tè sotto il poster di Marx mentre montava la rabbia dei metalmeccanici. La sconfitta a Torino, autunno 1980, nello scontro tra Fiat e operai. E la contestazione a Verona durante il 43esimo congresso Psi, maggio 1984. Craxi rivendicò quei fischi, che vedevano tra i firmatari noti statisti come Tremonti e Brunetta.

La differenza tra Berlinguer e Craxi era abissale, bastano alcune foto – mostrate dal film – a evidenziare il disprezzo reciproco. La pellicola vanta musiche originali di Danilo Rea e un brano inedito di Gino Paoli, oltre che i cameo vocali di Toni Servillo e Sergio Rubini. Veltroni fa molti passi indietro e lascia tutto il proscenio a Berlinguer. Dissemina giusto qualche ricordo personale, come il giovane Giuliano Ferrara che marciava ostentando il pugno chiuso o quel senso di cambiamento imminente che il regista visse in prima persona dopo il trionfo alle elezioni del ’76. Ogni generazione ha i suoi match point e fu allora che passò il treno. Invano. Il record del 34.4% alimentò entusiasmi destinati a sbriciolarsi rapidamente: chi sognava il cambiamento si trovò il monocolore del terzo governo Andreotti, quello della “non sfiducia”.

Da un giorno all’altro furono in tanti ad abbandonare il Pci, preferendo movimentismo e sinistra extraparlamentare. Neanche un anno dopo, nel febbraio ’77, il segretario della Cgil Luciano Lamafu cacciato dall’Università di Roma. De André e Bubola canteranno: “Capelli corti generale ci parlò all’Università/dei fratelli tute blu che seppellirono le asce/ ma non fumammo con lui non era venuto in pace/ e a un dio fatti il culo non credere mai”. Era già tutto finito. Uomo fuori sincrono, forse perché troppo avanti e forse perché graniticamente cristallino, Berlinguer inseguì l’alleanza nei Settanta e l’alternativa negli Ottanta. L’esatto opposto di Craxi. Berlinguer fu l’uomo dell’eurocomunismo e del lento strappo con l’Unione Sovietica.

Nessun dirigente comunista occidentale ha pronunciato parole dure come fece lui a Mosca nel ’69 e nel ’76: parole che rischiò di pagare con la vita, quando nel ’73 subì un attentato a Sofia verosimilmente ordito dal partito comunista bulgaro. Berlinguer aprì perfino alla Nato, senza peraltro che la Nato aprisse a lui.

Da abile comunicatore, rese pubblico il suo carteggio con il Monsignore di Ivrea Luigi Bettazzi. Voleva dimostrare che il dialogo tra cattolici e comunisti era l’unica strada, ancor più dopo il martirio di Allende in Cile e la lotta armata in Italia. Le Brigate Rosse, con l’omicidio Moro, strozzarono il compromesso storico nella culla. E Berlinguer morì la prima volta. Alberto Franceschini, uno dei fondatori delle Br, nel film rivendica odiosamente quella strategia. La pellicola vede sfilare Tortorella e Scalfari (più tronfio che arguto, e non è una novità), Ingrao (straziante) e Bianca Berlinguer, l’ex ministro socialista Claudio Signorile (respingente oggi come allora) e il capo-scorta Alberto Menichelli. Ci sono anche le lacrime di Giorgio Napolitano, che si commuove ripensando a quando c’era Enrico, e chissà se piangendo ha ripensato anche a quando il non ancora Re Giorgio attaccò Berlinguer per avere osato parlare di “questione morale”.

Il film si apre con una Piazza San Giovanni vista dall’alto. Sul prato di oggi svolazzano le prime pagine de l’Unità di ieri. Mai più quel sentirsi diversi: quel credere che il comunismo italiano potesse essere la scorciatoia ideale per una vita migliore. Proprio come raccontava Gaber, che Veltroni ovviamente cita. Berlinguer morì l’11 giugno 1984 a Padova a 62 anni. Si era sentito male, sul palco, quattro giorni prima. I compagni gli gridavano di riposarsi, ma lui niente. La sera prima, inaugurando la sezione ligure di Riva Tregoso, gli ultimi sorrisi. A Padova arrivò un uomo consunto. Le immagini del suo discorso, arricchite da chi quel giorno c’era e non ha ancora smesso di piangere, sono pressoché insostenibili. Bevve e si sentì male. Ictus. Eppure portò a termine il discorso con i vocaboli di sempre, per non sporcare l’addio. “Casa per casa, strada per strada”.

Mai più quel rigore timido, quel carisma gentile. Solo titoli di coda, dissolvenza e fine di un’epoca. Da fervido beatlesiano qual è, a Veltroni non spiacerà sapere che il suo film ha il garbo e il rigore cheMartin Scorsese distillò nel raccontare George Harrison e The Band. Vite materiali e spirituali. Ultimi valzer. Cadaveri di utopia.

Da Il Fatto Quotidiano del 19 marzo 2014

 
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Il Trono di spade, George R.R. Martin e il suo piano dettagliato da bestmovie

Post n°11292 pubblicato il 20 Marzo 2014 da Ladridicinema
 

Il Trono di spade, George R.R. Martin e il suo piano dettagliato per non farsi superare nella scrittura dalla serie tv

La quarta stagione incomincerà il prossimo 6 aprile su HBO

Francesca Cremonesi -16/03/2014
Il Trono di spade, George R.R. Martin e il suo piano dettagliato per non farsi superare nella scrittura dalla serie tv

La quarta stagione de Il trono di spade sta per cominciare: il prossimo 6 aprile HBO tornerà a regalarci nuovi episodi di questa fantastica serie tv tratta dai romanzi di George R.R. Martin. Ma nelle ultime settimane, in seguito allo speciale dedicato alla serie di Vanity Fair, si è tornati a parlare del fatto che sia complicato per lo show riuscire a stare dietro ai tempi di scrittura di Martin. Lo scrittore però, nonostante abbia affermato che il ritmo con cui lo spettacolo si muove su di lui è “allarmante”, ha un piano dettagliato per come le prossime stagioni (gli showrunner David Benioff e D. B. Weiss hanno intenzione di arrivare a una settima/ottava serie) possono essere allungate per dargli un po’ più di tempo: «La stagione che sta per iniziare copre la seconda metà del terzo libro. A Storm of Sword era così lungo che è stato diviso in due. Ma ci sono due libri oltre questo, A Feast for Crows e A Dance with Dragons. Quest’ultimo è lungo come A Storm of Sowrds, quindi ci potrebbero essere altre tre serie tra Feast e Dance, se decideranno di dividere in due come hanno fatto per Storms. Inoltre, Feast e Dance avvengono contemporaneamente, quindi non possono seguire il mio intento, possono combinarli insieme e farli in ordine cronologico. Spero che facciano così, almeno prima che possano raggiungermi avrò pubblicato The Winds of Winter, il che mi darebbe un altro paio d’anni. Ci potrebbero essere difficoltà per l’ultimo libro, A Dream of Spring, perchè avanzano molto velocemente».

Potrebbe essere un buon piano? Vi ricordiamo che dal 28 marzo in edicola potrete trovare lo speciale di Best Movie dedicato alla serie tv della HBO, che sarà acquistabile anche in versione multimediale e interattiva sugli store digitali.

FonteVanity Fair
FotoGetty Images

 
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