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Messaggi del 20/06/2014

 

Oliver Stone, il suo nuovo film sarà la storia della “talpa” Edward Snowden da il fatto quotidiano

Post n°11578 pubblicato il 20 Giugno 2014 da Ladridicinema
 

Il regista adatterà The Snowden Files: The Inside Story of the World’s Most Wanted Man, il puntuale resoconto dello scandalo NSA firmato dal giornalista del Guardian Luke Harding
Oliver Stone, il suo nuovo film sarà la storia della “talpa” Edward Snowden

E chi se non lui, Oliver Stone? Se Ken Loach a Cannes ne aveva tessuto le lodi, “è un eroe”, il collega d’Oltreoceano fa di più: Edward Snowden lo porta al cinema. È una notizia, ma non lo è: Stone è l’occhio dell’America contro, il guastatore dietro la macchina da presa, la talpa del Sistema. Dunque, come non considerare Snowden un fratello, un exemplum da inserire nella propria impegnata, appassionata – e arrabbiata – filmografia?

Dopo aver raccontato, con esiti alterni, il Vietnam (Platoon), Kennedy (JFK), l’11 settembre (World Trade Center) e Bush figlio (W.), dopo aver ritratto in doc Fidel Castro e Hugo Chavez, dopo aver ricostruito in tv la Untold History of the United States, poteva esimersi dal consegnare al buio in sala la gola profonda della National Security Agency stelle & strisce, di cui Snowden consegnò migliaia di documenti riservati all’ex editorialista del Guardian Glenn Greenwald nel giugno 2013? Il quotidiano britannico è della partita, perché con il fido produttore Moritz Borman Stone adatterà The Snowden Files: The Inside Story of the World’s Most Wanted Man, il puntuale resoconto dello scandalo NSA firmato dal giornalista del Guardian Luke Harding: “È una delle storie più importanti del nostro tempo. Una vera sfida”, l’ha salutata il regista. Per alcuni (la maggioranza) un traditore, per altri un patriota, Snowden ha incassato l’asilo temporaneo in Russia, ma starebbe considerando l’opzione Brasile: certo, viceversa, è che negli Usa lo attendono 30 anni di galera.

Eppure, da Repubblicano insofferente del programma di sorveglianza della NSA, avrebbe agito per amor di patria, e il “suo” regista certifica: “Per me, Snowden è un eroe. Ha rivelato segreti – diceva già l’anno scorso – che tutti dovremmo conoscere, ha dimostrato che gli Stati Uniti hanno ripetutamente violato il quarto emendamento”. Leaks chiamano leaks, e in cantiere c’è un altro film su Snowden , tratto dal libro di Greenwald No Place to Hide e patrocinato dai produttori di James Bond Michael Wilson e Barbara Broccoli, ma noi rimaniamo negli States, il cui cinema hollywoodiano e non si conferma il migliore antidoto agli Usa stessi, e Putin ci perdoni. Allargando le maglie dello showbiz, ibridando indagine ed entertainment, puntando alla testa e insieme alla pancia (e al cuore), l’America si racconta per quel che è, scandali, fallimenti e autopsie di una nazione compresi. Stone non è il solo a portare la croce sullo schermo, anzi. Dopo lo sminatore in Iraq diThe Hurt Locker, dopo la caccia a Osama bin Laden di Zero Dark ThirtyKathryn Bigelow non molla la presa sull’America oggi: dal libro del giornalista del New York Times Anand GiridharadasThe True American: Murder and Mercy in Texas, affiderà all’ottimo Tom Hardy il misconosciuto e famigerato Mark Stroman, l’autoproclamato “American terrorist” e “Arab slayer” che per “vendicare” l’11 settembre uccise due commessi, un pachistano e un indiano, e sparò in faccia al bengalese Raisuddin Bhuiyan. Sopravvissuto, l’uomo chiese invano una condanna più mite per Stroman, che venne giustiziato nel 2011. Abissi e redenzione made in the USA, che la Bigelow, unica regista donna ad aver vinto l’Oscar, porterà al cinema con il sodale sceneggiatore Mark Boal. E non è finita: archiviato il musical Jersey Boys, l’84enne Clint Eastwood presto trasformerà l’originario progetto di Steven Spielberg American Sniper, un’altra storia vera. Quella del Navy SEAL Chris Kyle (Bradley Cooper), il meglio cecchino nella storia dell’esercito Usa: dopo aver eliminato 160 nemici, “il diavolo di Ramadi”, come lo apostrofarono gli iracheni, è stato ammazzato l’anno scorso da un marine affetto da disturbo post-traumatico da stress. Fuoco amico, quello del cinema americano.

 
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La trilogia del dollaro in sala. Estate con Sergio Leone e Clint Eastwood da la repubblica

Post n°11577 pubblicato il 20 Giugno 2014 da Ladridicinema
 

Aggiornato il 18 giugno 2014

Il restauro della Cineteca di Bologna dei tre western del triennio '64-'66 ha dato l'occasione di ritrovare alcuni preziosi tagli che mostrano l'impassibile e statuario "uomo senza nome" alle prese con la pistola che non esce dal fodero o con una risata. Dal 19 giugno arriva "Per un pugno di dollari" nelle sale, a seguire "Per qualche dollaro in più" e "Il buono, il brutto e il cattivo"

Tre capolavori che hanno fatto la storia del western tornano restaurati sul grande schermo: Per un pugno di dollariPer qualche dollaro in più e Il buono, il brutto, il cattivo saranno nelle sale The Space Cinema, a partire dal 19 giugno nell'ambito del progetto Il Cinema Ritrovato. Al Cinema, promosso dalla Cineteca di Bologna per la distribuzione dei classici restaurati in sala, con il sostegno di Unipol Gruppo. L'uscita in sala della Trilogia del dollaro è realizzata grazie a Leone Film Group e Unidis Jolly Film.

Tre capolavori che hanno fatto la storia del western tornano restaurati sul grande schermo: Per un pugno di dollari, Per qualche dollaro in più e Il buono, il brutto, il cattivo saranno nelle sale The Space Cinema, a partire dal 19 giugno nell'ambito del progetto Il Cinema Ritrovato. Al Cinema, promosso dalla Cineteca di Bologna per la distribuzione dei classici restaurati in sala, con il sostegno di Unipol Gruppo. L'uscita in sala della Trilogia del dollaro è realizzata grazie a Leone Film Group e Unidis Jolly Film.


La Trilogia del dollaro è stata presentata nella nuova veste restaurata al 67° Festival di Cannes, per celebrare il 50° compleanno del suo primo capitolo Per un pugno di dollari, il film che nel 1964 lanciò l'icona western di Clint Eastwood, seguito nel 1965 da Per qualche dollaro in più e nel 1966 da Il buono, il brutto, il cattivo. Questa estate, a distanza di anni, torneranno sul grande schermo per far rivivere a tutti gli appassionati la magia del western e il fascino dell'uomo senza nome: il personaggio interpretato da Eastwood e che ricorre nei film di Leone. Il primo appuntamento in calendario è a partire dal 19 giugno con il film Per un pugno di dollari. Dal 3 luglio sarà sul grande schermo Per qualche dollaro in più e dal 17 luglio sarà la volta de Il buono, il brutto, il cattivo.
 
L'uomo senza nome, una maschera imperturbabile, che pronuncia poche frasi in tutto il film (tra cui la celebre al becchino "Prepara tre casse... volevo dire quattro") con un'ironia che non ammette sorrisi è il cowboy di Clint Eastwood in Per un pugno di dollari. Grazie al restauro sono stati ritrovati i tagli, gli errori, le risate che ormai tanto cinema americano ci ha abituato a vedere nei titoli di coda, negli extra dei dvd ma che sono quanto mai curiosi per un film del 1964 entrato nella storia del cinema.

Eastwood che non riesce a sfilare la pistola dalla fondina, il vento che gli scompiglia il poncho, Eastwood e Volontè occhi negli occhi scoppiano in una inopportuna risata, i ciak di "El magnifico" che era il titolo originale di "Per un pugno di dollari". Tutti questi tagli del film di Sergio Leone sono stati ritrovati in occasione del restauro della pellicola realizzato dalla Cineteca di Bologna e dalla Jolly Film


E così vediamo Eastwood che non riesce a sfilare la pistola dalla fondina, il vento che gli scompiglia il poncho, Eastwood e Volontè occhi negli occhi che scoppiano in un'inopportuna risata, i ciak di El magnifico (in italiano Il magnifico straniero) che era il titolo originale di Per un pugno di dollari. Ma soprattutto lui, Clint Eastwood che al di là della maschera cinematografica, è un uomo, un attore ancora lontano da essere la star che proprio grazie al successo di questa trilogia diventerà.

Nel 1964 Eastwood godeva di una certa notorietà negli Stati Uniti grazie ad una serie tvRawhide ma era ben lontano da essere un divo. Leone aveva in mente James Coburn e Charles Bronson, che aveva molto apprezzato nel film I magnifici sette che era ispirato, come il suo progetto, ad un film di Kurosawa. Ma erano attori troppo costosi e la produzione non poteva permetterseli così venne fuori il nome di Eastwood che sarebbe stato pagato decisamente di meno, 15.000 euro. Da parte sua l'attore californiano era stato colpito dalla sceneggiatura, sebbene tradotta in un inglese molto approssimativo e, spinto dalla moglie Maggie, aveva accettato di venire a Roma. La trilogia del dollaro in sala. Estate con Sergio Leone e Clint Eastwood

Sergio Leone sul set


Anni dopo i due racconteranno che al primo incontro erano entrambi piuttosto intimiditi. Della prima impressione che il regista ebbe di Eastwood dirà molti anni dopo in un'intervista: "Ciò che più di ogni altra cosa mi affascinò di Clint, era il modo in cui appariva e la sua indole. Nell'episodio Incident of the Black Sheep Clint non parlava molto... ma io notai il modo pigro e rilassato con cui arrivava e, senza sforzo, rubava a Eric Fleming tutte le scene. Quello che traspariva così chiaramente era la sua pigrizia. Quando lavoravamo insieme lui era come un serpente che passava tutto il tempo a schiacciare pisolini venti metri più in là, avvolto nelle sue spire, addormentato nel retro della macchina. Poi si srotolava, si stirava, si allungava... L'essenza del contrasto che lui era in grado di creare nasceva dalla somma di questo elemento con l'esplosione e la velocità dei colpi di pistola. Così ci costruimmo sopra tutto il suo personaggio".

Un personaggio che conquistò il pubblico. Il film costato 120 milioni, incassò quasi 2 miliardi e fu venduto in mezzo mondo. Eastwood in America neppure se ne accorse per via del titolo che tra le riprese e l'uscita era appunto cambiato come testimoniano i ciak. Per il secondo episodio della trilogia Eastwood ottenne un trattamento completamente diverso del primo film: 50.000 dollari, un biglietto di prima classe e una piccola percentuale sugli incassi. Leone avrebbe voluto cambiare genere, ma dopo un paio di progetti abortiti realizzò Per qualche dollaro in più che lo sceneggiatore Luciano Vincenzoni scrisse in nove giorni. Fu il campione di incassi della stagione '65-'66 aprendo la strada al terzo titolo. Leone per non replicarsi aumentò i protagonisti: Sentenza (Lee Van Cleef), assassino a pagamento, il Biondo (Eastwood), bounty-killer, e Tuco (Eli Wallach), fuorilegge messicano che, fanno società, pur senza alcuna fiducia reciproca, per la caccia a un tesoro nascosto.
 
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Matt Dillon: "Meglio le serie tv, oggi il cinema ha dimenticato gli esseri umani"

Post n°11576 pubblicato il 20 Giugno 2014 da Ladridicinema
 

Aggiornato il 19 giugno 2014

Accoglienza da superstar per l'attore al TaorminaFilmFest. La carriera con i grandi registi, l'esperienza dietro la macchina da presa, il piccolo-grande schermo: "Molti prodotti televisivi sono di una qualità irraggiungibile". Presto girerà un documentario sulla musica afrocubana degli anni Quaranta

TAORMINA - Lo avevano definito "il James Dean degli anni Ottanta", il tempo ha stemperato la sua bellezza patinata e gli ha donato rughe e fascino. Oggi Matt Dillon ha cinquant'anni, una lunga carriera con registi come Francis Ford Coppola, Arthur Penn, Gus Van Sant, Mike Figgis, Cameron Crowe, Anthony Minghella, un bel po' di cose da raccontare. Alla TaoClass del TaorminaFilmFest della quale è protagonista è accolto da orde di adolescenti urlanti, quando lui era all'apice della popolarità non erano ancora nati. "È una delle cose che mi piace di voi italiani, la generosità con cui sapete accogliere l'altro, la vostra sensibilità" commenta, mentre le ragazzine gli agitano gli smartphone davanti alla faccia e la giovanissima fidanzata lo guarda adorante, seduta in prima fila. "È un aspetto che emerge anche dal vostro cinema, che è stato ed è grande perché ha la capacità di raccontare le storie delle persone. Penso a Fellini e a I vitelloni, ad esempio, e a tanti altri maestri del passato e del presente che sanno tirare fuori una grande umanità dai personaggi". 

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    Matt Dillon, cinquant'anni, un'intensa carriera cinematografica scandita dai registi più quotati, si è presentato da divo alla TaoClass del TaorminaFilmFest, accolto dall'entusiasmo di un pubblico prevalentemente adolescente: quando lui era all'apice della popolarità molti di loro non era ancora nati...


Una fissazione, quella del lato umano delle storie. Lo ripete di continuo, durante la conversazione con il direttore artistico del Festival, Mario Sesti, e con il pubblico. Lui che di ruoli ne ha interpretati tanti e diversi, da buono e da cattivo (e da imbranato, come in Tutti pazzi per Mary) insiste: "In un film quel che conta è avere un buon personaggio, non è necessario che sia simpatico, non deve per forza piacere al pubblico, deve avere una sua storia - dice Dillon - devi restituirne l'intimità. Ho deciso di fare questo mestiere non per stare sotto ai riflettori, ma per girare lo specchio verso il pubblico e riflettere la verità della vita. Anche quando ho lavorato come regista, l'ho fatto sempre in questa chiave, con l'intenzione che lo spettatore vedesse se stesso e si potesse riconoscere almeno in parte". 

La sua passione per il cinema comincia con un debutto fortunato, dopo piccoli ruoli in altri film, con Francis Ford Coppola in I ragazzi della 56esima strada. Era il 1983, per alcuni fu un trampolino d'oro. C'erano Ralph Macchio e Patrick Swayze, Rob Lowe e Emilio Estevez, Tom Cruise e Diane Lane, Leif Garret e Tom Waits. "Coppola era una divinità - ricorda Dillon - noi giovani eravamo in costante venerazione, e in soggezione. Era un sogno lavorare con lui. La cosa più importante che mi ha insegnato è stata la fiducia in me stesso, mi ha convinto che potevo credere in quel che facevo. Allora era estremamente impulsivo, mentre eravamo sul set di I ragazzi lui decise che avrebbe fatto un altro film, Rusty il selvaggio, tratto da un libro dello stesso scrittore, S. E. Hinton. 'I grandi artisti rubano, o quanto meno prendono in prestito', diceva sempre. E dimostrava continuamente di avere un grande rispetto per il cinema e una grande conoscenza di quell'arte: per I ragazzi della 56esima strada volle un'atmosfera da film anni Cinquanta, una fotografia patinata, magniloquente. Rusty invece -  continua Dillon - gli piacque perché gli permetteva di fare un film d'autore, lo dedicò al padre, era una storia di fratelli, i legami familiari sono sempre stati una costante nel cinema di Coppola".

A catapultare Matt Dillon alla grande notorietà fu Francis Ford Coppola. Il film era "I ragazzi della 56esima strada", del 1983, e fu un trampolino d'oro per tanti attori. Nel cast c'erano Ralph Macchio, Patrick Swayze, Rob Lowe, Emilio Estevez, Tom Cruise, Diane Lane, Leif Garret, Tom Waits. "Coppola era una divinità", ha ricordato Matt Dillon al TaorminaFilmFest, "noi giovani eravamo in costante venerazione, e in soggezione. Era un sogno lavorare con lui"


Ma come è cambiato, oggi, il modo di fare cinema rispetto ai suoi esordi? "È cambiato così com'è cambiato il mondo. Oggi nessuno porta più l'orologio al polso perché tutti guardano l'ora sul telefonino. La tecnologia, gli effetti speciali, il 3D hanno avuto gran parte in questo cambiamento. Paul Newman aveva capito tutto già un sacco di anni fa - ricorda - una volta mi disse: le superstar del cinema degli anni Settanta sono state due robot e uno squalo, ovviamente si riferiva a Star Wars e al film di Spielberg. Oggi il cinema fa più attenzione alle 'cose' che alle persone. Per fortuna resiste il grande cinema d'autore, che mette al centro gli esseri umani e le loro storie. Penso anche al vostro Paolo Sorrentino e al suo La grande bellezza, vero e potente, specifico perché parla di Roma e dell'Italia ma anche universale, con la storia di un uomo che a un certo punto decide di non stare più dietro a ciò di cui non gli interessa niente. Capita a tutti noi".

Il cinema, oggi, è anche la tv. Che cosa ne pensa delle serie che per cast e qualità riescono a fare concorrenza alle superproduzioni cinematografiche? "Ne penso tutto il bene possibile, anche io ne ho girata una. Oggi il cinema propone molti prodotti interessanti ma vince l'intrattenimento. La televisione è più stimolante, ho appena finito di girare una miniserie per la Fox, si intitola Wayward Pines, un mistery drama dal romanzo di Blake Crouch, prodotto e diretto da M. Night Shyalaman, a metà strada fraLost Twin Peaks, anche se è impossibile paragonarsi a David Lynch... Interpreto l'agente Ethan Burke, incaricato di indagare sulla scomparsa di due federali nella cittadina di Wayward Pines, un luogo idilliaco in cui tutto sembra funzionare alla perfezione. Ma dopo un incidente automobilistico non ho più i miei documenti né la mia identità, nessuno mi riconosce e non riesco a comunicare con il resto del mondo. È avvincente, un dramma psicologico che sconfina nella fantascienza, un po' stile Stephen King. Diretta da un bravissimo regista come Shyamalan, ottimo narratore e grande leader". 

Dopo l'esperienza come regista con City of Ghosts del 2002, in cui aveva diretto se stesso, Matt Dillon sta per tornare dietro la macchina da presa, ma questa volta per un documentario e per parlare di musica, lui che è un grande appassionato di jazz. "È la storia di un grande cantante cubano degli anni Quaranta e della musica afrocubana, un talento brillantissimo che fu molto influenzato dal jazz americano dell'epoca e diede vita a una vera e propria scuola. Ho cominciato a lavorarci dieci anni fa, sono stato a fare delle ricerche in Messico, dove lui si era trasferito, poi ho lasciato stare ma adesso sto riprendendo in mano il progetto. È il bello dei documentari, puoi tornarci anche a distanza di anni e il lavoro è lì, che ti aspetta, per nascere un'altra volta". 
 
 
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