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Messaggi del 05/01/2015

 

La musica piange Pino Daniele, il cardiologo: “La sua vita era appesa a un filo” da la stampa

Post n°12037 pubblicato il 05 Gennaio 2015 da Ladridicinema
 
Tag: musica, news

Il 59enne cantautore napoletano, colpito da un infarto, ha chiesto alla compagna di essere trasportato a Roma dove lavora il suo medico di fiducia. Sul web il dolore di colleghi e fan
LAPRESSE

Pino Daniele era nato il 19 marzo 1955

05/01/2015
FULVIO CERUTTI (AGB)

È morto Pino Daniele. Il cantautore napoletano, che avrebbe compiuto 60 anni il prossimo 19 marzo, è stato colpito nella notte da un infarto mentre si trovava nella sua casa di campagna in Toscana. La sua vita «era appesa a un filo e lui lo sapeva bene. Ogni giorno era un giorno di vita in più guadagnato». Sono le parole del cardiologo che aveva in cura il cantante, Achille Gaspardone, che esprime «grandissima tristezza», pur sottolineando che «purtroppo, la fine era nell’evoluzione stessa della malattia» dell’artista.  

 

La chiamata al 118 e la decisione del viaggio in auto a Roma  

L’artista ha accusato un malore ieri sera mentre si trovava nella sua casa toscana, un podere isolato nelle campagne tra i comuni di Magliano e Orbetello (Grosseto), in Maremma. Intorno alle 21.15 è stato anche chiamato il 118 che, spiega la Asl di Grosseto, ha inviato un’ambulanza con un medico che però, prima di arrivare, è stata fermata quando si trovava non lontano dall’abitazione. Il cantautore ha infatti chiesto alla compagna di farsi portare in auto all’Ospedale S. Eugenio di Roma, lì lavora il suo cardiologo di fiducia. Un tragitto lungo circa 120 chilometri. Pino Daniele «è giunto cadavere al Pronto Soccorso dell’Ospedale S. Eugenio di Roma» ha detto il medico, Achille Gaspardoni, Direttore UOC di Cardiologia . «Sono state fatte tutte le manovre di rianimazione - ha aggiunto - ma era già morto».  

 

In cura da 27 anni , tutti i fratelli cardiopatici  

Pino Daniele, ha spiegato Gaspardone, «aveva una gravissima malattia alle coronarie da 27 anni, una patologia che era stata trattata e che era stata potuta “portare avanti” grazie ad interventi di angioplastica». All’artista, precisa il suo cardiologo, «erano state effettuati ben 4 interventi di angioplastica negli anni». Purtroppo, ha affermato, la fine «non è stata una sorpresa, ma proprio grazie agli interventi e procedure effettuati ha potuto vivere fino alla soglia dei sessanta anni». «Ho sentito Pino qualche giorno fa, dopo Capodanno, stava bene». A dirlo è Carmine, uno dei fratelli del cantautore. «Purtroppo in famiglia siamo sei fratelli, tutti cardiopatici - ha aggiunto l’uomo, davanti all’obitorio del S.Eugenio - Pino voleva farsi visitare dal suo cardiologo di fiducia, il primario di questo ospedale, un amico».  

 

La notizia sul web  

A dare per primo la notizia è stato Eros Ramazzotti che ha scritto un messaggio all’alba sul suo profilo Instagram: «Anche Pino ci ha lasciato. Grande amico mio, ti voglio ricordare con il sorriso mentre io, scrivendo, sto piangendo - scrive alle 2.08 di questa mattina il cantante di “Terra Promessa” -. Ti vorrò sempre bene perchè eri un puro ed una persona vera oltre che un grandissimo artista. Grazie per tutto quello che mi hai dato fratellone, sarai sempre accanto al mio cuore. Ciao Pinuzzo...». Dopo l’annuncio del cantautore romano, sono arrivate anche le conferme di altri protagonisti del mondo della canzone come i Negramaro (“Ho appena sentito Eros, è tutto maledettamente vero: il nostro Pino Daniele non c’è più... una notte senza fine”), Fiorella Mannoia (“Pino Daniele ci ha lasciato. Un dolore immenso, sono attonita, non trovo altre parole”) e Laura Pausini (“Ho appena saputo che Pino è volato in cielo.. Sono molto scossa, immobile nel letto...”) che hanno condiviso il loro dolore su Twitter e Facebook. 

 
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Il Teatro stabile di Catania ricorda il giornalista Pippo Fava ucciso dalla mafia 30 anni fa da nuovosud.it

Post n°12036 pubblicato il 05 Gennaio 2015 da Ladridicinema
 

Il Teatro stabile di Catania ricorda il giornalista Pippo Fava ucciso dalla mafia 30 anni fa

Una riflessione su Giuseppe Fava alla vigilia dell’anniversario della sua barbara uccisione. E’ la proposta del giornalista Nino Milazzo, presidente del Teatro Stabile di Catania, che fu legato al collega e amico da un profondo rapporto di stima e collaborazione. L’appuntamento è per domenica 4 gennaio alle ore 17 nei locali della Scuola d’Arte drammatica dello Stabile, intitolata ad Umberto Spadaro e sita nel Palazzo della Cultura (ex Platamone, in via Vittorio Emanuele). Insieme a Nino Milazzo, interverranno Elena Fava, presidente della Fondazione intitolata al padre, e il critico teatrale e letterario Sergio Sciacca. L’evento sarà curato dal regista Federico Magnano San Lio.
L’approfondimento su Fava - giornalista, scrittore, drammaturgo - prenderà le mosse dal lavoro teatrale “Il proboviro. Opera buffa sugli italiani”, pubblicato nel 1972 e messo in scena dallo Stabile etneo nello stesso anno. Regia, scene e costumi erano di Virginio Puecher, cast stellare con – tra gli altri - Turi Ferro, Umberto Spadaro, Michele Abruzzo, Ida Carrara, Fioretta Mari, Tuccio Musumeci, Pippo Pattavina, Maria Tolu.
Le pagine più significative del testo rivivranno adesso nella lettura affidata agli attori Aldo Toscano, Liliana Lo Furno, Francesco Russo, Camillo Mascolino, Giampaolo Romania, Alessandro Idonea.
Dalla morte di Fava sono passati 31 anni. La sera del 5 gennaio del 1984, davanti al teatro “Verga” di Catania, cadde in un agguato mafioso; un vile assassinio avrebbe consegnato per sempre ai posteri l’immagine di un uomo e intellettuale coraggioso. Pronto a combattere e morire per gli ideali di libertà e giustizia in cui credeva. Pronto a denunciare la situazione socio-politica italiana degli anni Settanta. Non solo attraverso i suoi articoli e i suoi “Siciliani”, ma anche attraverso il romanzo e la forma del “teatro-documento”.
Fava preconizza il pericolo di un disfacimento morale della nazione e il suo teatro diviene il luogo della rappresentazione che svela la corruzione del potere, in una società sempre più soggiogata dalla cultura e dalla violenza mafiosa.
In questa visione, “Il proboviro” si sviluppa come una pièce satirica surreale, che oscilla tra i toni aspri e quelli poetici, per restituire un’impietosa e nitida radiografia della politica. Un ex impiegato è ridotto in miseria a causa dei soprusi del potere, mentre un malvagio imprenditore corrompe con il denaro giudici e politici. E chi è caduto nella rete lasciandosi corrompere, non sa più se lo ha fatto per avidità, debolezza, o peggio per paura.
Fava descrive così un affresco cha appare sempre più attuale, in un società messa ancora di fronte all’emergenza di una gravissima “questione morale” da risolvere guardando ai valori della democrazia, come affermava proprio trent’anni fa Enrico Berlinguer.

 
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“I mafiosi stanno in parlamento”: 31 anni senza Giuseppe Fava da siciliainformazioni.com

Post n°12035 pubblicato il 05 Gennaio 2015 da Ladridicinema
 

 

“I mafiosi stanno in parlamento”: <br /> 31 anni senza Giuseppe Fava

Ucciso il 5 gennaio 1984 a Catania e poi oggetto di una campagna denigratoria, solo nel 94 le parole di un pentito fanno riaprire il caso

Giuseppe Fava muore la sera del 5 gennaio 1984, freddato da cinque colpi di pistola sparati alla nuca mentre si trova ancora a bordo della sua Renault 5, con la quale è andato a prendere la nipote che recita in “Pensaci, Giacomino” al Teatro Verga di Catania.

Un’esecuzione mafiosa in piena regola ma che nessuno vuole ammettere. Le autorità parlano di delitto passionale prima, di movente economico poi. Lo stesso sindaco di Catania Angelo Munzone il giorno del funerale – a cui sono presenti solo il questore, alcuni membri del Pci e il presidente della Regione Santi Nicita – archivia la questione sostenendo che “a Catania la mafia non esiste”.

Viene messa in giro la voce che Fava era un puppo, un omosessuale che adescava ragazzini davanti le scuole. Il punto è che Giuseppe Fava con il suo lavoro dà fastidio alla mafia ma anche alla politica e all’imprenditoria catanese. E così viene ucciso due volte, prima da Cosa nostra e poi da chi lo calunnia.

Fava nasce nel 1925 a Palazzolo Acreide, in provincia di Siracusa, a diciotto anni si trasferisce a Catania dove si laurea in giurisprudenza ma sceglie la carriera di giornalista. Nel 1956 viene assunto dall’Espresso Sera dove diventa caporedattore fino al 1980, quando a lui viene preferito un giornalista “più governabile”.

A Roma conduce la trasmissione di Radiorai “Voi e io”, collabora con il Corriere della Sera e con Il Tempo e scrive i suoi romanzi.

Negli anni Ottanta torna in Sicilia e a Catania assume la direzione del Giornale del Sud. Una redazione fatta di giovani cronisti che Fava trasforma in un giornale coraggioso, in prima linea nella denuncia dei traffici illegali di Cosa Nostra e dei legami fra il clan di Nitto Santapaola, politici e imprenditori locali. La sua esperienza come direttore però dura poco.

La gestione del giornale viene affidata a una nuova cordata di imprenditori e ufficialmente Fava viene licenziato per divergenze sulla linea editoriale. In realtà, i nuovi editori risulteranno poi “amici” stretti dei boss di Cosa Nostra catanesi.

Ma il giornalista di Palazzolo Acreide non si dà per vinto. Fonda una cooperativa e nel 1982 esce un nuovo mensile “I Siciliani” le cui inchieste fanno subito rumore.

Il suo articolo “I quattro cavalieri dell’apocalisse mafiosa”, un’inchiesta sulle attività illecite dei quattro imprenditori catanesi Carmelo Costanzo, Gaetano Graci, Mario Rendo e Francesco Finocchiaro e di altri personaggi tra cui Michele Sindona che Fava collega con il boss Nitto Santapaola, è la goccia che fa traboccare il vaso.

“In quel periodo non c’era una voce a favore di Fava – ricorda il pentito Angelo Siino, definito il ministro dei Lavori pubblici di Cosa Nostra e uomo di riferimento dei Santapaola – Veniva denigrato in tutte le maniere, non solo all’interno del fatto mafioso, ma soprattutto della politica”.

E ancora: “Aveva quel suo foglio dove io attingevo delle notizie che non capivo come potesse avere. Evidentemente era un osservatore attento della situazione mafiosa e politico-affaristico-mafiosa della zona. Era molto attento a queste cose e per questo pagò”.

Fra Natale e Capodanno del 1983, Giuseppe Fava riceve in dono dal cavaliere Gaetano Graci, nuovo proprietario del Giornale del Sud che lo aveva licenziato, una quantità enorme di ricotta e una cassa di bottiglie di champagne. Il messaggio mafioso è chiaro: ti ridurremo in poltiglia e brinderemo sulla tua bara.

Nella sua ultima intervista, rilasciata il 28 dicembre 1983 a Enzo Biagi, Fava dirà: “Vorrei che gli italiani sapessero che non è vero che i siciliani sono mafiosi. I siciliani lottano da secoli contro la mafia. I mafiosi stanno in parlamento, i mafiosi sono ministri, i mafiosi sono banchieri, sono quelli che in questo momento sono al vertice della nazione”.

Il 5 gennaio 1984 Giuseppe Fava viene ucciso a Catania. Ci vorranno dieci anni prima che il suo omicidio venga riconosciuto un delitto di mafia. Dieci anni di insulti, di menzogne, di depistaggi, volti ad impedire che Fava potesse diventare un simbolo della lotta alla mafia, a nascondere quegli intrecci fra politica, imprenditoria e mafia catanese che le sue inchieste avevano portato alla luce.

Ironia della sorte sarà proprio un pentito, Maurizio Avola, a far riaprire il caso del giornalista. E’ il 1994 quando Avola parla, si accusa dell’omicidio e racconta delle parole di condanna del boss Nitto Santapaola.

“Non può essere stato semplicemente un omicidio di mafia, di questo ne sono certo – dirà Angelo Siino – Perché al di là degli articoli, Fava ai mafiosi faceva danno sì ma non straordinario. Ne faceva molto di più all’imprenditoria coinvolta e ai politici”.

Nel 1998 si conclude a Catania il processo “Orsa Maggiore”: per l’omicidio Fava vengono condannati all’ergastolo il boss Nitto Santapaola come mandante, Marcello D’Agata e Francesco Giammusso come organizzatori e Aldo Ercolano e Maurizio Avola come esecutori.

La Corte d’Appello nel 2001 ha assolto Marcello D’Agata e Francesco Giammusso, mentre la sentenza della Corte di Cassazione nel 2003 ha confermato le condanne all’ergastolo per Santapaola e Ercolano e ha ridotto a 7 anni per patteggiamento la condanna di Maurizio Avola.

 
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Giuseppe Fava: il ricordo del giornalista messo a tacere con le pallottole da Cosa Nostra

Post n°12034 pubblicato il 05 Gennaio 2015 da Ladridicinema
 

A 31 anni dal suo omicidio, il ricordo di Giuseppe Fava – giornalista ucciso per mano di Cosa Nostra – è ancora vivo nella sua città, Catania. Le sue parole riecheggiano come macigni: “A che serve vivere se non c’è il coraggio di lottare?”

giuseppe-fava-2

“Io vorrei che gli italiani sapessero che non è vero che i siciliani sono mafiosi, i siciliani lottano da trenta secoli contro la mafia. I mafiosi stanno in Parlamento, i mafiosi a volte sono ministri, i mafiosi sono banchieri, i mafiosi sono quelli che in questo momento sono ai vertici della nazione” – queste le parole pronunciate da Giuseppe Fava in una delle ultimissime interviste rilasciate dal giornalista solo sette giorni prima di quel tragico 5 Gennaio del 1984, quando veniva ucciso per mano di Cosa Nostra. È morto per queste parole?

Alle 21.30 circa del 5 Gennaio del 1984, Giuseppe Fava viene freddato con cinque colpi di arma da fuoco calibro 7.65 sparati alla nuca, in via dello Stadio a Catania. Succede raramente che in un caso di omicidio il movente sia così chiaro fin dal primissimo momento: Giuseppe Fava è stato ucciso dalla mafia per la storia della sua vita e per il suo lavoro, per il suo impegno come giornalista, per le denunce continue fatte in quegli anni nei suoi articoli e nelle sue interviste. Fava, infatti, in quegli anni in cui l’attività mafiosa era in pieno fermento, ha descritto chiaramente la realtà catanese di allora, descrizione ancora oggi attuale di ‘un società messa di fronte all’emergenza di una gravissima questione morale da risolvere guardando ai valori della democrazia’.

Quando cinque proiettili di una pistola calibro 7,65 lo colpirono alla testa quella sera del 5 gennaio del 1984, la prima ipotesi fu proprio quella della pista mafiosa catanese che portava dritti ad un nome, quello di Nitto Santapaola, capo indiscusso e alleato dei “villani” di Corleone. Ci vollero però vent’anni prima che una sentenza del tribunale accertasse cosa ci fosse dietro l’omicidio del giornalista siciliano. Per l’omicidio Fava sono stati condannati in maniera definitiva Benedetto Santapaola e il nipote Aldo Ercolano oltre a Maurizio Avola che ha patteggiato una condanna a sette anni.

All’epoca Catania e i catanesi manifestarono la loro solidarietà per la morte di Giuseppe Fava rispettando un minuto di silenzio, un minuto che poteva e potrebbe ancora oggi sembrare un’intera vita per quanti non trovano il coraggio di denunciare, così come invece ha sempre fatto Giuseppe Fava. A 31 anni dal suo assassinio, ilricordo di Giuseppe Fava, dell’uomo, del suo coraggio e del suo talento, è vivo in quella città, Catania, che lui amava profondamente. Il grido di Fava, messo a tacere con le pallottole, ancora è vivo nella mente dei catanesi e, più in generale, degli italiani: “A che serve vivere se non c’è il coraggio di lottare?”.

 
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Il boxoffice del weekend premia Si accettano miracoli e American Sniper da comingsoon

Post n°12033 pubblicato il 05 Gennaio 2015 da Ladridicinema
 

05 gennaio 2015

Il boxoffice del weekend premia Si accettano miracoli e American Sniper

 

Il primo posto, nella classifica del boxoffice del weekend italiano, è abbastanza scontato: Si accettano miracoli di e con Alessandro Siani conferma la prima posizione del giorno di Capodanno, totalizzando 7.100.000 euro.

American Sniper di Clint Eastwood, interpretato da Bradley Cooper, uscito sempre a Capodanno, si assesta sui 5.600.000, ma va notato che la sua media per sala di ben 11.570 euro è appena più alta di quella di Siani, 11.430, con 140 sale in meno.
Risale dal quarto al terzo posto il cartoon Disney delle feste, Big Hero 6, che ha incassato 1.670.000 euro e ha raggiunto finora i 7.660.000.

Quarta posizione per l'apprezzatissimo The Imitation Game con Benedict Cumberbatch eKeira Knightley: il suo 1.660.000 euro sembra debole in assoluto, specialmente con quella concorrenza, ma la media per sala in altri momenti sarebbe di tutto rispetto, perché si parla di 6.300 euro.
Casca bruscamente dal primo al quinto posto, com'era fisiologicamente inevitabile dopo una performance notevole, Il ricco, il povero e il maggiordomo di Aldo, Giovanni e Giacomo: a questo giro porta a casa solo 1.480.000, per un totale ormai granitico di 12.320.000.

Da notare che il Big Eyes di Tim Burton, tra le uscite della settimana, non ha superato l'ottava posizione, incassando 1.115.000 euro.

 
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Game of Thrones 5: Martin, tra futuro della serie e Nozze Rosse da melty

Post n°12032 pubblicato il 05 Gennaio 2015 da Ladridicinema
 

Pubblicato 3 giorni fa da Lai M.

In una recente intervista George R. R. Martin ha voluto approfondire alcuni aspetti di Game of Thrones, raccontando il futuro della serie e dei romanzi e ripercorrendo un evento importantissimo del passato. Ecco le sue dichiarazioni.George R. R. Martin si racconta

Il 2015 sarà certamente l'anno di Game of Thrones 5. La serie tornerà tra qualche mese, i mini teaser hanno iniziato a invadere la rete e si attendono sviluppi e nuovi spoiler su quella che sarà la trama della prossima stagione. Nel frattempo George R. R. Martin continua il suo lavoro con la stesura dei romanzi, con il penultimo capitolo della saga delle Cronache del Ghiaccio e del Fuoco che è stato nuovamente rimandato e non ha ancora una data di uscita ufficiale. Lo scrittore va avanti molto lentamente con la stesura e la serie si sta sempre di più avvicinando al suo punto zero, quello in cui gli eventi narrati all'interno dei romanzi saranno raggiunti. In una recente intervista lo scrittore si è detto parecchio preoccupato di questa “sinistra” eventualità, che purtroppo sembra essere via via sempre più vicina e terribile. “Lo show sta decisamente raggiungendo i romanzi – ha raccontato - Non c’è alcun dubbio che la serie si stia muovendo più velocemente rispetto alla mia stesura dei libri. C’è stato a un certo punto, un paio di anni fa, in cui mi sono spaventato per questo aspetto. Il mio dovere è quello di finire i romanzi nel modo più forte possibile. Non posso accelerare il processo augurando che sia più rapido”. In definitiva, sembra proprio che dovremmo rassegnarci a due prodotti iniziati alla stessa maniera che andranno però a finire in modo totalmente diverso e non ci sarà davvero nulla per impedirlo.

 

Tra le altre cose, Martin ha ripercorso alcuni punti salienti del romanzo, del suo processo creativo e del suo modo di approcciarsi alla saga. Molto interessanti le sue dichiarazioni riguardo uno dei momenti chiave del romanzo e della serie tv. Stiamo parlando, naturalmente, delle Nozze Rosse, uno degli eventi più incredibili che si siano mai visti nella letteratura e nella serialità televisiva moderna. Per lo scrittore si è trattato di un evento davvero difficile da raccontare prima e digerire poi: “Non riuscivo a scriverle quando ci sono arrivato, sono andato oltre. Ho finito il resto del libro lasciandoci un buco – ha ammesso -Sapevo che stava per arrivare ma è stato molto difficile da scrivere ed è stata la cosa più dura che io abbia mai scritto. Sono ritornato indietro e mi sono obbligato a scrivere quella scena perché è stato doloroso uccidere quei personaggi che ho creato e con cui ho vissuto così a lungo”. Un dolore che si è poi riversato anche nel cuore di numerosi fan che si sono sentiti traditi da quanto successo, sorpresa che è stata pari a quella vissuta dagli spettatori all'interno della serie tv: “Quando il libro è stato pubblicato abbiamo avuto una tremenda reazione. Ho ricevuto lettere infuriate che dicevano 'Non leggerò mai più le tue opere'. La versione televisiva è andata in onda tredici anni dopo e sapevo, essendoci già passato, che avremmo ricevuto una simile reazione”. Un evento terribile che ha segnato indelebilmente lettori e spettatori. Vedremo se in Game of Thrones 5 arriveranno eventi altrettanto terribili.

 
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Oliver Stone racconta il colpo di stato della Cia in Ucraina da contropiano

Post n°12031 pubblicato il 05 Gennaio 2015 da Ladridicinema
 

 

  •  Sabato, 03 Gennaio 2015 11:06
  •  Oliver Stone

 

Oliver Stone racconta il colpo di stato della Cia in Ucraina

"Ho intervistato Viktor Yanukovych per quattro ore a Mosca per un nuovo documentario in lingua inglese prodotto da ucraini. E' stato il legittimo presidente dell'Ucraina fino a quando improvvisamente è stato rimosso il 22 febbraio di quest'anno. 
Racconterò i dettagli nel documentario, ma sembra chiaro che i cosiddetti "tiratori" che hanno ucciso 14 uomini della polizia, ne hanno feriti circa 85 e hanno assassinato 45 civili che protestavano, erano provocatori infiltrati dall'estero. Molti testimoni, tra cui Yanukovich e funzionari di polizia, credono che questi individui stranieri siano stati introdotti da gruppi filo-occidentali con lo zampino della CIA.
Ricordate il cambio di regime/colpo di stato del 2002, quando Chavez è stato temporaneamente estromesso, dopo che manifestanti pro- e anti-Chavez erano stati colpiti da misteriosi cecchini nascosti in palazzine di uffici? Assomiglia anche alla tecnica usata all'inizio di quest'anno in Venezuela quando il governo legalmente eletto di Maduro è stato quasi rovesciato con l'uso di violenza mirata contro i manifestanti anti-Maduro. 
Basta creare un bel po' di caos, come ha fatto la CIA in Iran nel '53, in Cile nel '73 e in innumerevoli altri colpi di stato e il governo legittimo può essere rovesciato. E' la tecnica del soft power americano noto come "Regime Change 101".
In questo caso il "massacro del Maidan" è stato descritto dai media occidentali come il risultato dell'instabile, brutale governo filorusso di Yanukovich. Bisogna ricordare che Yanukovich il 21 febbraio fece un accordo con i partiti di opposizione e tre ministri degli esteri dell'UE - che volevano sbarazzarsi di lui andando a elezioni anticipate. 
Il giorno dopo il patto era già senza più valore, quando gruppi radicali neonazisti armati fino ai denti costrinsero Yanukovych a fuggire dal paese dopo ripetuti tentativi di assassinio. Il giorno successivo è stato varato un nuovo governo filo-occidentale, immediatamente riconosciuto dagli Stati Uniti (come nel golpe contro Chavez 2002). Una storia sporca in tutto e per tutto, ma nel tragico seguito di questo colpo di stato, l'Occidente ha raccontato la versione dominante, quella della "Russia in Crimea". Mentre la vera versione è "gli USA in Ucraina". 
La verità non va in onda in Occidente. Si tratta di una manipolazione surreale della storia che si sta verificando ancora una volta , come durante la campagna elettorale di Bush pre-Iraq, quella delle armi di distruzione di massa. Ma credo che la verità verrà finalmente fuori in Occidente, mi auguro in tempo per fermare un'ulteriore follia. Per una comprensione più ampia, si veda l'analisi di Pepe Escobar "Un nuovo arco di instabilità in Europa" che indica la crescente instabilità nel 2015, in quanto gli Stati Uniti non possono tollerare l'idea di una qualsiasi entità economica rivale. Si rimanda anche alla decima puntata de "La Storia mai raccontata", dove discutiamo i danni degli imperi coloniali del passato, che non hanno permesso la nascita di paesi economicamente competitivi."

 
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"The Interview": censura o marketing? da megachip

Post n°12030 pubblicato il 05 Gennaio 2015 da Ladridicinema
 

«Pertanto, al di là delle implicazioni commerciali della questione riguardante "The Interview", bisognerà tener d'occhio quelle inerenti la politica interna/estera degli Usa...» [Stefano Paterna]

sabato 3 gennaio 2015 13:14

di Stefano Paterna

La Sony ha ritirato dalle sale la mediocre pellicola su un attentato ordito dalla CIA ai danni del leader nordcoreano, dopo aver subito un pesante attacco e minacce di attentati da parte di misteriosi hacker. Obama e l'FBI hanno messo Pyongyang sul banco degli imputati, ma molti esperti informatici hanno dubbi su questa pista. La non esaltante popolarità del presidente americano può ben spiegare invece il motivo di questo approccio aggressivo.

Un nuovo modo di farsi pubblicità? Non è da escludere che tutte la vicenda che riguarda il ritiro del film "The Interview" da parte della Sony sia solo un tentivo (riuscito finora) di attirare l'attenzione su un'opera piuttosto mediocre e che altrimenti avrebbe assai faticato ad attirare l'attenzione dell'opinione pubblica.

Certo, per ora la pellicola non sarà distribuità nelle sale, anche se la piattaforma di condivisione "Bit Torrent" e il gruppoAnonymous si sono in vario modo "offerti" di distribuirla sul webin un impeto encomiabile a favore della difesa della libertà di parola.

È vero anche che l'attacco hackeristico che la compagnia di origine giapponese ha subìto con la diffusione di moltissime e-mail e materiale di uso interno (circa 38 milioni di file) ha prodotto un danno di immagine ed economico non facilmente calcolabile (dipenderà anche dall'esito delle cause che gli stessi dipendenti della Sony intendono portare avanti per la insufficiente protezione dei loro dati personali). Tuttavia, solo il tempo potrà affermare con sicurezza se tutta la vicenda dovrà essere incolonnata dal lato delle perdite secche o da quello delle entrate.

Ancora più dubbia è l'origine nordcoreana dell'attacco informatico e delle minacce di attentati in versione 11 settembre che la Sony ha subìto tra la fine di novembre e la metà di dicembre. L'FBI e Obama hanno puntato il dito sul regime di Pyongyang, seguiti dalle "truppe di complemento" costituite ad esempio dai media nostrani. Ma diversi esperti informatici non sono di questo parere. A detta di nomi quali Marc Rogers e Rob Graham, il rapporto FBI non sarebbe supportato da prove definitive. Si tratterebbe in realtà di malware già utilizzato e potenzialmente utilizzabile da diversi soggetti. Non sarebbe stata trovata quindi la "pistola fumante" in mano alla Corea del Nord.

L'elemento più evidente che possono sbandierare i fautori del perfido attacco totalitario alla libertà di pensiero è un comunicato della KCNA, l'agenzia di stampa ufficiale nordcoreana, datato 7 dicembre che non esclude che l'azione possa essere stata portata a compimento da imprecisati simpatizzanti del peraltro grottesco, brutale e paramonarchico regime guidato da Kim Jong-un.

Pare un po' pochino. Non bisogna sforzarsi molto per ricordare che nel 2000 il film sulla Rivoluzione Americana "The Patriot" diRoland Emmerich, con Mel Gibson come protagonista, provocò feroci polemiche da parte britannica. L'esercito inglese vi veniva raffigurato come una barbara truppa d'occupazione, in sostanza assimilabile ai nazisti.

È comprensibile che al di là della natura del regime in questione, un paese possa non gradire un film prodotto all'estero (in una nazione storicamente ostile come gli Usa) in cui viene descritto un complotto ordito dalla Cia per assassinare il proprio leader. Pertanto, al di là delle implicazioni commerciali della questione riguardante "The Interview", bisognerà tener d'occhio quelle inerenti la politica interna/estera degli Usa.

Con Obama in grave crisi di popolarità, c'è nulla di meglio di una piccola guerra fredda informatica, stile XXI° secolo?

 

(26 dicembre 2014)

 
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Consigli per ‘mirare’ al film giusto: ennesimo grande Clint da olivierobeha.it

Post n°12029 pubblicato il 05 Gennaio 2015 da Ladridicinema
 


American Sniper, Clint Eastwood
 
American Sniper, Clint Eastwood

Non perdetevi “American Sniper”, l’ultimo capolavoro di un cineasta diventato con gli anni formidabile regista da attore inespressivo quale era o sembrava negli “spaghetti western”. Se si pensa che a 84 anni Eastwood gira un film come questo sulla guerra in Iraq, ci si rende conto della straordinaria vitalità dell’uomo sotto ogni punto di vista. Un film con grandi attori usati alla perfezione, un film a più strati, di cui ognuno può cogliere il senso e l’orrore. La guerra, l’uomo, le vittime, il patriottismo, la “tecnica” in un record del cecchino, il reducismo irriducibile ma fino a un certo punto ecc.: Clint fa contemporaneamente “opere di realtà” con la suprema bravura della finzione propria della settima arte. Come (quasi) sempre negli ultimi vent’anni, chapeau.

o.b.

 
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