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Messaggi del 20/01/2017

 

Allied - Un'ombra nascosta

Post n°13580 pubblicato il 20 Gennaio 2017 da Ladridicinema
 

Allied, è un film che ha tutte le caratteristiche per essere definito un film "classico" della vecchia Hollywood, sia a livello di struttura, sia per il tema sentimentale che prova a scatenare sia per le immagini che ci mostra, ma che non convince totalmente nonostante il dramma che ci va raccontando per via forse di qualcosa che manca a livello di anima del film. E' essenzialmente una storia d'amore più che un thriller, con Brad Pitt e Marion Cotillard che si prestano bene a questo film dove l'amore è un inganno e un campo di battaglia ma in realtà è incertezza. Questa però è solo una copertina della storia che ci narra Robert Zemeckis, che sa perfettamente come costruire un'ottima copertura nascondendo una struttura molto più complessa, ovvero la guerra e le sue difficoltà. L'amore è così un passo a due complesso, metafora della guerra tra due nazioni umane e diverse. Il regista così si inserisce come un'ombra nella coppia e diventa un terzo elemento sempre presente

 
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L'ora legale

Post n°13579 pubblicato il 20 Gennaio 2017 da Ladridicinema
 
Tag: trailer

 
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Arrival

Post n°13578 pubblicato il 20 Gennaio 2017 da Ladridicinema
 
Tag: trailer

 
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Nebbia in agosto

Post n°13577 pubblicato il 20 Gennaio 2017 da Ladridicinema
 

Titolo originale: Nebel im August

Poster

Germania del Sud, inizio anni 40. Ernst è un ragazzino orfano di madre, molto intelligente ma disadattato. Le case e i riformatori nei quali ha vissuto l'hanno giudicato "ineducabile”, ed è stato confinato in un'unità psichiatrica a causa della sua natura ribelle. Qui però si accorge che alcuni internati vengono uccisi sotto la supervisione del dottor Veithausen. Ernst decide quindi di opporre resistenza, aiutando gli altri pazienti, e pianificando una fuga insieme a Nandl, il suo primo amore. Ma Ernst è in realtà in grave pericolo, perché è la dirigenza stessa della clinica a decidere se i bambini debbano vivere o morire.

  • SCENEGGIATURAHolger Karsten Schmidt
  • FOTOGRAFIAHagen Bogdanski
  • MONTAGGIOTina Freitag
  • MUSICHEMartin Todsharow
  • PRODUZIONE: Una produzione di Ulrich Limmer di Collina filmproduktion, in co-produzione con DOR Film (Vienna), STUDIOCANAL Film, ARRI Media, B.A. Produktion, Ernst Eberlein Filmproduktion.
  • DISTRIBUZIONE: Good Films
  • PAESE: Germania
  • DURATA126 Min
SOGGETTO:

Basato sull'opera eponima di Robert Domes. Basato sulla storia vera del tredicenne tedesco Ernst Lossa.

 
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L'ora legale

Post n°13576 pubblicato il 20 Gennaio 2017 da Ladridicinema
 

Poster

In un paese della Sicilia, Pietrammare, puntuale come l'ora legale, arriva il momento delle elezioni per la scelta del nuovo sindaco. Da anni imperversa sul paese Gaetano Patanè, lo storico sindaco del piccolo centro siciliano. Un sindaco maneggione e pronto ad usare tutte le armi della politica per creare consenso attorno a sé. A lui si oppone Pierpaolo Natoli, un professore cinquantenne, sceso nell'agone politico per la prima volta, sostenuto da una lista civica e da uno sparuto gruppo di attivisti per offrire alla figlia diciottenne, Betti, un'alternativa in occasione del suo primo voto. I nostri due eroi Salvo e Valentino sono schierati su fronti opposti: il furbo Salvo, manco a dirlo, offre i suoi servigi a Patanè, dato vincente in tutti i sondaggi; mentre il candido Valentino scende in campo a fianco dell'outsider Natoli a cui è legato, come peraltro Salvo, da un vincolo di parentela in quanto cognato. Al di là della rivalità, però, entrambi mirano ad ottenere un "favore" che potrebbe cambiare la loro vita: un gazebo che permetterebbe di ampliare la clientela, e quindi gli incassi, del piccolo chiosco di bibite posto nella piazza principale del paese.

 
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Dopo l'amore

Post n°13575 pubblicato il 20 Gennaio 2017 da Ladridicinema
 

Titolo originale: L'économie du couple

Poster

Dopo 15 anni di matrimonio, Marie e Boris decidono di divorziare. Dal momento che Boris non può permettersi un'altra casa, devono continuare a vivere insieme. Una situazione molto complicata perché nessuno dei due è disposto a cedere.

 
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Arrival

Post n°13574 pubblicato il 20 Gennaio 2017 da Ladridicinema
 

Poster

Quando un misterioso oggetto proveniente dallo spazio atterra sul nostro pianeta, per le susseguenti investigazioni viene formata una squadra di élite, capitanata dall'esperta linguista Louise Banks. Mentre l'umanità vacilla sull'orlo di una Guerra globale, Banks e il suo gruppo affronta una corsa contro il tempo in cerca di risposte - e per trovarle, farà una scelta che metterà a repentaglio la sua vita e, forse, anche quella del resto della razza umana.

 

NOTE:

Presentato in concorso al Festival di Venezia 2016.

 
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Amarcord: Il Signore Degli Anelli – La Compagnia Dell’Anello da badtaste

Post n°13573 pubblicato il 20 Gennaio 2017 da Ladridicinema
 

Sembrava impossibile.

 

Noi tolkieniani avevamo perso la speranza.

Il testo era più ostico dell’Odissea, più sacro per alcuni de La Bibbia e più difficile da portare sullo schermo de L’Ulisse di Joyce.  La sfortuna che si era abbattuta su qualsiasi tipo di produzione che ci avesse provato era nota. Dal Ralph Bakshi del cartone animato del 1978 con molto rotoscope, al John Boorman della versione live action quasi realizzata che divenne invece Excalibur (incontrai Boorman nel 2005 e ancora gli rodeva tanto).

Nessuno era riuscito a tradurre Il Signore Degli Anelli di J.R. R. Tolkien in immagini in movimento da quella fatidica uscita in libreria del 29 luglio 1954.
Se provavi un approccio scanzonato per non dire satirico (come volevano i Beatles), potevi trovare orde di fan (“Il mio deplorevole culto” lo definiva il maestro di understatement J.R.R. Tolkien) pronte ad ucciderti. Se arrivavi produttivamente non preparato… potevi cadere dentro il Fosso di Helm e non uscirne più (la versione animata di Bakshi arriva alla Battaglia del Fosso di Helm e non riesce a proseguire). Se pensavi al fatto che Lucas, genio, avesse depredato il testo sacro per il suo Guerre Stellari… ti veniva lo sconforto e pensavi: “Perché mai si dovrebbe uscire al cinema con qualcosa che tutti diranno che ricorda Guerre Stellari senza avere la possibilità di spiegare che casomai è Lucas che ha preso qualche spunto da un testo letterario del 1954?”.

“Fantasy movies don’t make money” dicevano i produttori a Hollywood

Poi c’era la faccenda del fantasy. “Fantasy movies don’t make money” dicevano i produttori a Hollywood. C’era il precedente di Dungeons & Dragons (2000) che aveva fatto infuriare gli amanti del gioco di ruolo (inventato nel 1974 da Gary Gygax e Dave Arneson ispirati, indovinate un po’, da cosa?), inorridire i critici e fatto flop al botteghino.
Per tutte queste ragioni… capirete che per un tolkieniano italiano pure tanto jacksoniano, quel contesto storico era pieno di incognite, speranze, paure, riflessioni. Ce l’avrebbe fatta il nostro amatissimo Peter Jackson nell’epica impresa di portare Tolkien al cinema nella sua Nuova Zelanda?
Si seguì passo passo la produzione grazie all’esplosione del web (TheOneRing.net offriva info costanti sulla faccenda così come tanti altri siti di cinema già autorevoli e potenti, soprattutto nel mondo anglosassone). Eravamo eccitatissimi. Chi scrive andò a Londra per le prime di tutti e tre i film in compagnia di un appassionato tolkieniano di nome Alessandro Moroni, in arte Verdefoglia.

Alessandro era un opinionista eccellente che scriveva sui forum. Specialmente uno.

Non dimenticherò mai i brividi che provai alla prima londinese di quel dicembre 2001 de La Compagnia Dell’Anello in compagnia di Verdefoglia.
Alla fine del film ci bastò un’occhiata per capirci: Peter Jackson ce l’aveva fatta.
Era riuscito a portare Tolkien al cinema. Ci sarebbero state discussioni, polemiche (Tom Bombadil? Ha fatto benissimo a eliminarlo! Lo penso e ripenso tutt’ora perché Bombadil è un problema ANCHE dentro il libro; Sauron fisico? Accipicchia se c’è pure nel libro! Verdefoglia scrisse un saggio bellissimo al riguardo). Eravamo jacksoniani o antijacksonianibidelli della Terra di Mezzo (Verdefoglia li chiamava così i superortodossi; come si incazzavano!). Si parlava di cinema, letteratura, adattamenti, casting, tradimenti, storie di adattamenti e tradimenti (Kubrick che tradì King su Shining), facce, effetti speciali, dettagli, mostri, parole, elfico (quenya o sindarin?).

Ci siamo divertiti.

Poi c’era anche la politica. Non spaventatevi perché è una storia divertente. Quasi esilarante.
In Italia Tolkien era di destra. Sicuro. Incontrovertibile. Lo scriveva La Repubblica ogni tre mesi dai primi anni ’80Tolkien era di destra anzi diciamola tutta: proprio fascista.
C’erano stati i Campi Hobbit del Fronte della Gioventù e del Fuan, c’erano stati i saggi di Gianfranco De Turris e l’attivismo culturale di un giovane Umberto Croppi.
Dai: Tolkien era di destra. Lo sapevano tutti.

Tolkien era di destra. Logico. Ma solo in Italia, però. Unico paese al mondo

Ma non è logico? Un racconto sulla necessità di distruzione del potere assoluto, sull’unione delle razze, sul rispetto per qualsiasi tipo di razza, sulla donna che comanda, sull’eroe nanetto con i piedi deformi, sui guerrieri alti, biondi e ariani che crollano di fronte a un minuscolo anello, su re che si inchinano davanti a dei contadini, su comunità di coltivatori hippie che vogliono solo festeggiare, mangiare e fumare costantemente del tabacco che, però, sembra proprio marijuana.
Tolkien era di destra. Logico. Ma solo in Italia, però. Unico paese al mondo. Nell’università di Berkeley, in California, alcuni strafattoni andavano in giro con le magliette Frodo Lives.

Eserciti di hippie bivaccavano davanti alla casetta di Tolkien con lui che, papista cattolico conservatore parecchio fuori di testa però, li guardava dal suo interno borghese con un misto di incredulità e strano divertimento (“Il mio deplorevole culto”).
Ma in Italia… Il Signore Degli Anelli era di destra. Era così  e basta.
Allora, dopo anni e anni e anni in cui lo scrivente (purtroppo di sinistra) si vedeva arrivare sguardi di odio e diffidenza quando, nel suo ambientino orribile di sinistra, diceva che amava alla follia Tolkien… il film di Jackson avrebbe risolto anche quell’ultimo, piccolo, problema. Io lo sapevo.
Natalia Aspesi scrisse che era un testo “naziskin”. È vero. Fu pubblicato. Da qualche parte dovrei avere ancora il ritaglio di giornale. Era il momento in cui Jackson aveva portato un pezzetto di film a Cannes per una preview. Era metà 2001.

“Naziskin”La Repubblica pubblicò un articolo del genere.

Allora fu divertentissimo: quando intervistai Christopher Lee (scoop mondiale: lui mi lanciò da giurato al Festival di Verona in elfico –quenya– l’incantesimo che Saruman lancia alla Compagnia sulle vette del Caradhras per costringerli a passare per Moria, parecchi mesi prima rispetto all’uscita mondiale de La Compagnia Dell’Anello; registrai grazie a Sandro Avanzo di Radio Popolare e sparammo l’incantesimo in rete) e gli dissi che una giornalista italiana molto importante su un quotidiano italiano borghese liberal (leggi: di sinistra) mooooolto importante aveva definito Il Signore Degli Anelli un libro naziskin… Christopher Lee trasalì e per poco non lanciò un incantesimo anche a lei. L’uomo che aveva stretto la mano a J.R.R. Tolkien (l’unico del cast) rimase inorridito, sgomento, indignato (conosceva molto bene l’Italia e sapeva cosa era stato il fascismo) e mi disse che avrebbe voluto incontrare quella signora per guardarla negli occhi e dirle di vergognarsi. Ma Tolkien era di destra. Dai. Lo sapevano tutti.

Continuammo a divertirci: ogni volta che si incontrava un talent straniero (David Wenham-Faramir) gli si raccontava la bella favoletta italiana (“Ma lo sai che Tolkien qui da noi, fin dalla prima stampa per Rusconi del 1974, è considerato un libro di destra? Un libro fascista?“) con finale fantastico dedicato sempre a quel naziskin della Aspesi.

O si mettevano a ridere, o non ci credevano o si incazzavano veramente.

Tutto questo per dire: La Compagnia Dell’Anello volle dire anche questo.
Rompere il gioco sclerotizzato del solito paese piccolo, retrogrado, provinciale e ridicolo: l’Italia.
Emblematico fu un incontro con Gianfranco De Turris, intellettuale di destra che aveva contribuito alla cooptazione del testo di Tolkien. Fu una chiacchiera molto interessante.
Gianfranco, gran signore, ammise tutto. Era il gioco dei ’70. Ci si sparava e divideva su tutto.

E perché l’Arte non avrebbe dovuto far parte del gioco?

Alcuni intelligenti ragazzini di destra si presero (e mica potevano avere solo EvolaPound e Céline?) Tolkien, mentre a sinistra russavano perché avevano tanta, tanta altra roba et voilà: Tolkien è di destra. Furono dei geni a destra e i soliti deficienti, presuntuosetti, arroganti e idioti a sinistra (erano gli stessi anni in cui non ci dimostrammo in grado di prendere il mano il paese politicamente).

Ma il film di Jackson… distrusse tutto questo. E con Gianfranco si rideva insieme di come è buffa la Storia, la Vita e forse anche l’Arte. Amavamo entrambi Tolkien ma ognuno di noi due sapeva benissimo che non si poteva stare troppo a tirare per la giacchetta il grande testo di un pazzo del ‘900.
Il Signore Degli Anelli è un mistero. Di destra? Di sinistra? È un mistero.
Uno dei più affascinanti di sempre in Letteratura.
Perché fare mitologia nel ‘900? Perché voler distruggere il potere?
La Compagnia Dell’Anello di Peter Jackson aiutò tanti di noi a risolvere qualcosa.
A mandare a quel paese certe persone (e certi ambienti), ma soprattutto a vedere sul grande schermo personaggi che ognuno di noi, nel mondo, aveva immaginato nella sua cameretta in modo diverso.
Quel film ci aveva permesso di ritrovarci tutti insieme ad essere felici.
Perché il nostro libro preferito di sempre… era finalmente diventato l’immagine dei nostri pensieri.

 
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Il Signore degli Anelli – La Compagnia dell’Anello: l’inizio di un grande viaggio da bad taste

Post n°13572 pubblicato il 20 Gennaio 2017 da Ladridicinema
 

È difficile ripercorrere in maniera esaustiva i ricordi del periodo in cui Il Signore degli Anelli – La Compagnia dell’Anello arrivò nelle sale. Potrei descrivere la metà di loro a metà e dedicare a meno di metà di loro metà dello spazio che meriterebbero. Forse, posso provare a raccontare cosa ha significato, per me, aspettare un film che è stato importante prima, durante e dopo il suo arrivo al cinema.

La prima volta che sentii nominare il romanzo di Tolkien fu in tenerissima età quando, a casa con la febbre, vidi per la prima volta La Storia Infinita: davanti al bisbetico signor Koreander, Bastian elencava una serie di romanzi per ribadire il suo interesse per la lettura. Quando nominò Il Signore degli Anelli, per qualche ragione pensai automaticamente a una oscura presenza sulla sommità di una montagna che contemplava i possedimenti in suo potere. La febbre non mi aveva reso un veggente: poco prima avevo sentito dai grandi l’espressione “anello di terra” e dunque associai il termine “anello” a “terreno” visualizzando una presenza che, proprio come un Oscuro Signore, rimirava con soddisfazione i suoi domini. Quando iniziai a leggere i romanzi di Tolkien, Sauron lo immaginai immediatamente così, mentre diedi a Sam, a Merry e a Pipino i volti dei miei più cari amici. A distanza di anni, il volto che allora diedi a Sam è ancora con me a tenermi buona compagnia. Chissà dove sono Merry e Pipino. A pochi giorni dall’uscita del film nelle sale, non leggevo il romanzo di Tolkien da un po’. Neanche alcuni singoli capitoli, come spesso mi capita ancora oggi sia con Il Signore degli Anelli che con Il Silmarillion. Da quando avevo iniziato a interessarmi ai tre film in produzione, tentavo (con scarsissimo successo) di fare tabula rasa dell’idea della Terra di Mezzo che avevo sviluppato autonomamente negli anni. In effetti, col tempo, nella mia personalissima Terra di Mezzo avevo messo un po’ di tutto, anche sulla base dei luoghi conosciuti durante alcuni viaggi, rimescolandoli con le parti descrittive del romanzo in una sorta di grog immaginifico tra la visione di Tolkien e la mia di lettore. Poco prima dell’uscita del film, mi trovavo in una situazione strana: avevo letto sui magazine e seguito in rete praticamente tutto ciò che era possibile seguire e avevo riflettuto talmente a lungo su questi film che le aspettative nella mia testa avevano fatto una sorta di giro completo tornando al punto di partenza. Di fatto, avevo deciso di andare al cinema con una specie di tranquillità paradossale: avevo pensato talmente tanto a questo film che il fatto che uscisse davvero era quasi una delusione. Non poteva restarsene lì, sospeso in un limbo, bello e inarrivabile come un’idea, il film che nessuno era mai riuscito a realizzare?

In giro si sentiva e si leggeva parecchio: c’era chi pensava che Il Signore degli Anelli fosse il film “finalmente possibile”. Era il progetto che molti produttori avevano accarezzato o inseguito, scontrandosi con una valanga di muri di pietra, a partire dai budget e dalle tecnologie insufficienti a rendere giustizia alla portata del libro. In sostanza, l’uscita de La Compagnia dell’Anello sembrava una sorta di occasione unica e irripetibile di dimostrare il punto di arrivo di un secolo di ambizioni sul grande schermo. Volendo generalizzare (parecchio), una delle idee che serpeggiavano era che se Jackson avesse azzeccato il film, sarebbe stata una sorta di piccola “fine della storia” alla Fukuyama. Una domanda, tanto legittima quanto del tutto strampalata, era: se il cinema fosse riuscito a realizzare degnamente Il Signore degli Anelli, il film di Jackson sarebbe stato una specie di “ultimo grande film” della storia? Se oggi sono portato a ritenere che (per quanto riguarda la Storia con S maiuscola) Fukuyama si sbagliasse, mi sento invece di dire che la trilogia dell’Anello è stata, almeno per me, l’ultimo evento cinematografico a segnare un “prima” e un “dopo”. Come avvenuto, per ragioni diverse e in generazioni diverse, con Star WarsTerminator 2 o Jurassic Park. Anni fa, andando a vedere Avatar, ho avvertito la grande capacità di un artigiano di altissimo livello di confezionare il top di gamma di una scuderia, prendendo solo il meglio dei pezzi in circolazione e “non badando a spese”. Ma nel gennaio di 15 anni fa, guardando il primo dei tre film di Jackson, ho avvertito la capacità a tutto tondo di un narratore di portare alla luce qualcosa di grande a partire da tanti minuscoli dettagli: visivi, drammaturgici, sonori, e molto altro. Sono ancora convinto, a oggi, che buona parte della straordinaria riuscita dei tre film si debba a una moltitudine di piccole attenzioni che hanno avvicinato Il Signore degli Anelli a una enorme fetta di pubblico poco o nulla interessata non solo ai romanzi di Tolkien, ma al genere tutto. Questi film, dopotutto, dovevano piacere a una grande quantità di persone che non avevano dimestichezza con la saga letteraria. Io stesso, poi, temevo il rovescio della medaglia dell’aver letto e riletto i romanzi. Poi è successo qualcosa. Al cinema, ho avuto la sensazione che Peter Jackson volesse tranquillizzarmi e permettermi di godere appieno del suo film senza tenermi nell’inquietudine del dubbio fino alla fine. Due singoli e piccoli momenti, in particolare, mi hanno aiutato a predispormi bene relativamente presto: il primo è stato il salto di Frodo sul carretto di Gandalf, il secondo il duello tra Gandalf e Saruman.

Quando Frodo abbraccia Gandalf per la prima volta, dopo averlo apostrofato come ritardatario, l’evidente differenza tra le dimensioni dello Hobbit e quelle dello Stregone è tanto macroscopica quanto del tutto naturale e mai enfatizzata. Ricordo che molta gente si mise a indicare lo schermo, stupendosi di qualcosa che, per gli abitanti della Terra di Mezzo, era invece nell’ordine naturale delle cose. Poco dopo, però, Gandalf sbatte goffamente la testa a casa di Bilbo, proprio perché è troppo alto per una casa Hobbit! Jackson si stava rimangiando quella naturalezza della vita ordinaria del mondo Tolkieniano? No. Pian piano, stava ricostruendo per immagini la spontaneità del famoso mondo “parallelo ma coerente” del professor Tolkien: ciò che era buffo non era mai grottesco, ciò che era grave non era mai pomposo, ciò che era spaventoso non era mai gratuito. E tutto era immerso in un contesto reale e mai artefatto: la Nuova Zelanda è il nostro pianeta, il perfetto set a cielo aperto fatto di una natura incontaminata ma riconoscibile come “nostra”. Di fatto, la Terra di Mezzo di Jackson non era il teatro di un fantomatico “fantasy realistico”, ma di un racconto fotorealistico. È stato questo il passaggio che mi ha permesso di entrare in relazione con il film come con i libri: ho visto la coerenza di fondo del grande racconto di Tolkien trasposta in una coerenza fotografica e in una familiarità ambientale. E, probabilmente, è stata anche l’intuizione che ha reso possibile raggiungere e toccare le corde di un pubblico vasto, potenzialmente insofferente ai film con “gnomi, fate, orchi e fattucchierie di sorta”. Dopo il prologo sulla storia ancestrale e sugli eventi epocali ai tempi della prima caduta di Sauron, l’immersione nella Contea e nella cultura Hobbit ha scaldato il cuore di chi ha amato il romanzo e ha piacevolmente spiazzato chi si aspettava quasi tre ore di incantesimi colorati, parentele impronunciabili e baracconate di trucco e parrucco. La prova del nove, poi, è stata nella scena del duello tra Gandalf e Saruman. Dopo le prime sequenze nella Contea, ero già predisposto molto bene verso il film: ma un attimo prima che i due stregoni iniziassero a darsele di santa ragione ho pensato “Se ho capito bene Jackson, duelleranno senza che si veda pressoché nulla”. Quando tempo dopo visionai i contenuti speciali del film, vidi Jackson che ammetteva effettivamente di “detestare quei film nei quali i maghi si lanciano strani raggi luminosi dalle mani”. Quel duello, innanzitutto, è un duello di nervi tra due volontà che Saruman vince con vigliaccheria, appropriandosi di un bastone che non gli appartiene. Ancora oggi, rivederlo mi ricorda il momento nel quale ho capito che La Compagnia dell’Anello aveva le carte non solo per piacermi, ma per entrarmi in testa e non uscirne mai più.

Negli anni, anche per via della malcelata curiosità che ho di capire tutto ciò che è diverso da me, mi sono chiesto spesso cosa avesse avuto di speciale questo film per molte persone poco sensibili al genere: notavo che La Compagnia dell’Anello mieteva consensi a livello trasversale, anche tra coloro dai quali mi sarei aspettato scarso interesse o un semplice “ah sì, è fatto molto bene”. Le spiegazioni, come spesso accade, sono molte e sfumate l’una nell’altra, ma penso che uno dei motivi sia stato il talento di Jackson di mostrare molto (avendo una grossa macchina produttiva a disposizione) senza tuttavia rinunciare a far lavorare l’immaginazione delle persone. Andando al cinema, l’idea di compartecipare all’immaginazione altrui richiede una certa dose di eleganza, proprio per smontare la semplificazione che “leggendo usi la tua immaginazione, vedendo un film subisci inevitabilmente quella di qualcun altro”. Jackson ha indubbiamente seguito il suo punto di vista, con un focus sulla storyline di Frodo che porta l’Anello e con una forte caratterizzazione visiva tra sublime per il bene e mostruoso per il male, ma ha anche lasciato al pubblico la possibilità di comprendere che ciò che stava guardando era una parte del tutto: grande la storia mostrata sul grande schermo, ma solo una minuscola frazione di una cosmogonia enormemente più vasta che, saltuariamente, veniva fuori con piccoli dettagli. Quando la Compagnia avverte la presenza del Balrog nelle miniere di Moria, l’espressione di Galdalf non comunica paura o sgomento, ma gravità e dolore: Galdalf pensa, evidentemente, che mai avrebbe desiderato che i suoi amici vedessero qualcosa di tanto malvagio. Sembra una sciocchezza ma è anche da qui che lo spettatore “esce” per un momento dal film, incasellandone gli eventi in qualcosa di molto più grande, almeno fino a che il “fuggiamo!” di Galdalf non lo riporta, quasi strattonandolo, al “qui e adesso” del ponte di Kazhad-Dum. Anche Saruman, aizzando gli Uruk-hai, accenna alle antiche malvagità di Morgoth che portarono alla nascita degli Orchi, creati come beffa della bellezza e della perfezione degli Elfi. In qualche modo il film, pur proponendo un impianto visuale elaboratissimo, spronava costantemente gli spettatori a immaginare: il pubblico non subiva il film, ma lo faceva suo e ne riempiva i confini che sfumavano nel mito. In tutta la sua enormità, La Compagnia dell’Anello iniziava a mostrare le più incredibili ambientazioni della Terra di Mezzo, ma non rinunciava mai al potere evocativo sugli spettatori: quando Boromir spiega perché non si entra con facilità a Mordor, siamo noi a essere chiamati a immaginare tutto ciò che racconta, prima ancora di poterlo vedere nei film successivi. È anche per questo che, uscito dal cinema, pensai che né la nostra Storia né quella del cinema erano finite: avevamo i mezzi per adattare per immagini qualsiasi cosa ma non avevamo dimenticato che è indispensabile un buon narratore per essere emotivamente coinvolti. Ancora oggi sono convinto che valga per tutte le grandi storie, quelle che contano davvero.

 
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