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Messaggi del 15/09/2018

 

La profezia dell'armadillo

Post n°14633 pubblicato il 15 Settembre 2018 da Ladridicinema
 
Tag: trailer

 
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La profezia dell'armadillo

Post n°14632 pubblicato il 15 Settembre 2018 da Ladridicinema
 

La profezia dell'armadillo è un film di genere drammatico, commedia del 2018, diretto da Emanuele Scaringi, con Simone Liberati e Valerio Aprea. Uscita al cinema il 13 settembre 2018. Durata 99 minuti. Distribuito da Fandango Distibuzioni.

Poster

Dall'acclamata opera a fumetti di Zerocalcare, La profezia dell'armadilloapproda sul grande schermo grazie all'esordiente Emanuele Scaringi. Il ventisettenne Zero (Simone Liberati) è un disegnatore spiantato del quartiere periferico di Rebibbia, più precisamente della Tiburtina Valley: terra di Mammuth, tute acetate, corpi reclusi e cuori grandi; un posto dove manca tutto ma non serve niente. Visto che con le vignette non si guadagna, tira avanti dando ripetizioni di francese e creando illustrazioni per gruppi musicali punk indipendenti. La sua vita è un saliscendi dai mezzi pubblici, un va e vieni da un capo all'altro della città per inseguire lavoretti occasionali e far visita alla Madre. Finché un giorno, di ritorno a casa, non lo attende la personificazione della sua coscienza critica, un vero Armadillo in placche e tessuti molli, pronto a conversare sulla vita, l'attualità e i massimi sistemi del mondo. Ad affiancare Zero nelle piccole imprese quotidiane, c'è Secco (Pietro Castellitto), l'amico di sempre. Presente anche quando la notizia della morte di Camille, vecchia compagna di scuola e primo amore del protagonista, non mette in discussione le poche certezze dell'artista dissacrante, evocando i dubbi e il senso di incomunicabilità che contagiano un'intera generazione di "tagliati fuori".

Presentato al Festival di Venezia 2018 nella sezione Orizzonti.

FRASI CELEBRI:

 

Dal Trailer Ufficiale del Film:

Armadillo (Valeria Aprea): Si chiama "Profezia dell'armadillo" ogni previsione ottimistica, fondata su elementi soggettivi e irrazionali, spacciati per oggettivi e logici, destinata ad alimentare delusione, frustrazione e rimpianti.
Zero (Simone Liberati): Potrebbe essere più chiaro?
Armadillo: Un vademecum per prendersela nel culo!

Zero: Tutto si muove all'interno dello schema madre del sistema: potere, avidità, sopraffazione, denaro. Ti dovevi vedere "L'odio", il dogma dei pischelli de tutte le periferie d'Occidente...
Blanka (Samuele Biscossi): Che so i film, quelli che se vede mi' padre?! Co' l'avvocati feroci, co' l'AIDS?

Zero: È normale che brucia, c'è pure scritto "spray al pepe-roncino"!
Secco (Pietro Castellitto): Sabato scorso ero bello riposato, a mezzogiorno 'na spruzzata fatta bene in faccia e poi riuscivo a intrattene' dei rapporti! Perché mi sto assuefando!

Zero: Senti, qual e il problema del computer?
Mamma (Laura Morante): Che hai fatto start?
Zero: Eh!
Mamma: E dopo start? Scrivo "cerca" e dove lo scrivo sulla scrivania?
Zero: Io non ce la faccio, ti giuro, guarda!
Mamma: Che fai?
Zero: T'ammazzo la pianta!
Mamma: Fermo!

Zero: Se mi lascia le generalità...
Adriano Panatta (se stesso): Adriano Panatta
Zero: Professione?
Adriano Panatta: Professione?!

Uomo: I zombie so' quelli che odiano l'aglio, no?
Zero: No, quelli so i vampiri! I vampiri so ricchi e fascinosi, invece i zombie so' proletariato
Uomo: Ma quanti anni c'hai te?
Zero: Ventisette!
Uomo: Ma n'è meglio la fregna, no eh?!

 


 
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Lucio Battisti, 5 marzo 1943 - 9 settembre 1998 da comingsoon

Post n°14631 pubblicato il 15 Settembre 2018 da Ladridicinema
 

09 settembre 2018 - Google+ Federica Carlino

Lucio Battisti, 5 marzo 1943 -  9 settembre 1998

Sono passati vent'anni da quando Lucio Battisti se ne è andato, lasciandoci con un'amarezza incontenibile, un canzoniere pieno di ricordi, lezioni ed emozioni, e una voce che continua a cantare e che ora, per fortuna, sono in tanti ad ascoltare. 

Nato a Poggio Bustone il 5 marzo del 1943, (ad un giorno di distanza dall'altro grande Lucio della musica italiana), ebbe un'infanzia ordinaria, come raccontò lui stesso in un'intervista del dicembre 1970: "I capelli ricci li avevo anche da bambino e così lunghi che mi scambiavano per una bambima. Ero un ragazzino tranquillo, giocavo con niente, con una matita, con un pezzo di carta e sognavo. Le canzoni sono venute più avanti. Ho avuto un'infanzia normale, volevo fare il prete, servivo la messa quando avevo quattro, cinque anni. Poi però una volta, siccome parlavo in chiesa con un amico invece di seguire la funzione - io sono sempre stato un grosso chiacchierone - un prete ci ha dato uno schiaffo in testa. Magari dopo sono intervenuti altri elementi che mi hanno allontanato dalla chiesa, ma già con questo episodio avevo cambiato idea."

Trasferitosi con la famiglia a Roma nel 1950, a 12 anni chiese ai genitori una chitarra in regalo, come premio per essere stato promosso in terza media: voleva imitare due ragazzi che abitavano nel suo condominio, che nel tempo libero suonavano il rock and roll. Per coltivare questo interesse, però, iniziò a trascurare la scuola con sommo dispiacere del padre Alfiero, che secondo la leggenda, preso da un raptus di rabbia, gli spaccò una chitarra in testa e lo minacciò di non firmare l'esenzione dalla leva militare, (alla quale aveva diritto essendo figlio di un invalido di guerra), se non avesse preso il diploma. La questione si risolse con la promessa di Lucio di completare gli studi, a patto che il padre firmasse l'esenzione e gli concedesse due anni per provare a migliorare le sue doti artistiche. Come da accordi, nel 1962 Battisti prese il diploma da perito elettrotecnico ed andò per la sua strada.

Iniziò a suonare dal vivo a Napoli, con i Mattatori, ma tornò a casa dopo pochi mesi per mancanza di soldi. A Roma, entrò a far parte del gruppo di Enrico Pianori, I Satiri, con i quali ebbe l'opportunità di suonare in Germania e in Olanda e di ascoltare alla radio la musica di Dylan e degli Animals. Successivamente, entrò nella formazione de I Campioni e si trasferì a Milano per tentare la fortuna da solista. Spronato dal leader del gruppo, Roby Matano, Lucio iniziò a scrivere canzoni e il 14 febbraio del 1965, durante un provino, venne notato da un'editrice musicale, Christine Leroux, responsabile del fortunato incontro con Giulio Rapetti, in arte Mogol. Fu proprio grazie al celebre paroliere che Battisti poté esordire da cantante: la Ricordi era totalmente contraria, perché lo considerava stonato e afono, ma Mogol minacciò di dimettersi se non avessero pubblicato il 45 giri che conteneva "Per Una Lira" (e "Dolce di Giorno"). Faceva così: 

Nel 1967 Mogol e Battisti iniziarono a lavorare da autori in coppia: scrissero i brani "29 settembre" e "Nel cuore, nell'anima", affidandoli alle sapienti mani dell'Equipe 84, e fecero interpretare a Riki Maiocchi "Uno in Più", una canzone-manifesto della cosiddetta linea verde, un silente movimento attraverso il quale Mogol intendeva rinnovare la tradizione musicale italiana; Battisti scrisse anche "Non prego per me" per Mino Reitano e suonò la chitarra in "La Ballata di Pickwick", cantata da Gigi Proietti
Oltre al suo lavoro da autore, Battisti proseguì la sua carriera solista pubblicando il singolo "Luisa Rossi/Era", che però non riscosse granché successo, e l'anno seguente "Prigioniero del mondo/Balla Linda". Questo, il suo primo videoclip: 

Con "Balla Linda" partecipò al Cantagiro 1968, arrivando quarto, e riuscì per la prima volta ad entrare nella hit parade con una canzone da lui interpretata, ottenendo anche un notevole successo negli Stati Uniti con la versione in inglese. 
Nel 1969 partecipò a Sanremo, in coppia con Wilson Pickett, presentando il suo primo vero successo: "Un'avventura". 
Il 4 marzo 1969 pubblicò il suo primo album eponimo, dal quale rilasciò come secondo singolo dell'anno "Acqua azzurra, acqua chiara/Dieci ragazze", con cui conquistò il pubblico dopo la partecipazione al programma televisivo Speciale per voi di Renzo Arbore. Nell'estate di quell'anno, fondò anche insieme a Mogol un'etichetta discografica indipendente, la Numero Uno - che coinvolgeva, tra gli altri, la Formula 3, Bruno Lauzi, Edoardo Bennato, Adriano Pappalardo e Oscar Prudente - e qualche mese dopo pubblicò il suo terzo singolo, "Mi ritorni in mente/7 e 40", con il quale raggiunse finalmente l'apice della hit parade. 

Continuando ad accumulare successi, sia da autore che da interprete, negli anni '70 Battisti raggiunse il culmine della popolarità ed iniziò a dimostrare un certo disprezzo per i mass media e per quei "dannati curiosi" e detrattori dei giornalisti, dai quali voleva essere giudicato esclusivamente per la sua musica.  Pubblicò un concept album, "Amore e non amore", e due dei suoi singoli più apprezzati: "Emozioni/Anna" e "Pensieri e parole/Insieme a te sto bene". 
Scaduto il contratto con la Dischi Ricordi, poté finalmente pubblicare il suo primo singolo con la Numero Uno: "La canzone del sole/Anche per te".  

Il 23 aprile del 1972 si esibì insieme a Mina in un duetto rimasto celebre, nel quale i due interpretarono un medley composto da "Insieme", "Mi ritorni in mente", "Il tempo di morire", "E penso a te", "Io e te da soli", "Eppur mi son scordato di te" ed "Emozioni". Fu l'ultima apparizione televisiva di Battisti: il giorno dopo pubblicò il suo primo album per la Numero Uno, "Umanamente uomo: il sogno", seguito nel novembre del 1972 da "Il Mio Canto Libero" e da "Il Nastro Caro Angelo" nel settembre 1973, anno in cui divenne padre del suo unico figlio. L'anno seguente, dopo un viaggio in Sudamerica con Mogol, pubblicò "Anima Latina" e nel 1975 partì nuovamente con Mogol per un viaggio negli Stati Uniti, dove scrisse una canzone ispirata dall'autostrada americana Interstate 5, "San Diego Freeway", che sarebbe poi diventata "Ancora Tu".

Dopo aver sposato la sua Grazia Letizia Veronese, nel 1976 iniziò a lavorare ad un album in lingua inglese per la RCA, inizialmente con l'aiuto della traduttrice di testi Marva Jan Marrow, e poi affidando l'incarico a Peter Powell. Nello stesso anno pubblicò un album in italiano, "Io tu noi tutti", e "Images", che però ottenne uno scarsissimo successo. Seguirono "Una donna per amico", nel '78, e "Una giornata uggiosa", che nel 1980 fu il quinto album più venduto in Italia. Fu anche l'ultima collaborazione con Mogol, per divergenze di interessi: "Il nostro rapporto è il rapporto di due persone di questo tempo che dopo tanti anni di lavoro assieme […] improvvisamente, per divergenze di interessi, si sono messi ognuno su una sua rotaia, su una sua strada, per cui adesso da quattro o cinque anni a questa parte ci vediamo al massimo un mese all'anno. […] È l'esperienza di due persone che stanno diventando completamente diverse."

Battisti continuò a scrivere con l'aiuto della moglie, autrice dei testi di "E già", un album che sorprese profondamente il pubblico per la brevità delle canzoni e gli arrangiamenti completamente elettronici. Tra il 1982 ed il 1983 pubblicò con Adriano Pappalardo gli album "Immersione" e "Oh! Era Ora", e durante le sessioni di registrazione conobbe il paroliere romano Pasquale Panella, con il quale iniziò una fruttuosa collaborazione, che durò fino al 1994. Furono gli anni più sperimentali di Battisti, che il grande pubblico non comprese mai a pieno. Lucio aveva iniziato ad interessarsi ai generi musicali che avrebbero preso il sopravvento di lì a poco: il rap - che ricambiò l'interesse campionando molti dei suoi brani - e la techno, esplorati nell'album "Cosa succederà alla ragazza", per finire con l'eurodance in "Hegel". 

Nel 1993 sfumò miseramente un progetto a tre con Adriano Celentano e Mina, come raccontò lo stesso Molleggiato in una lettera aperta, nella quale confessò di essersi dimenticato di richiamare Battisti dopo aver concordato con lui un appuntamento: "'Io dico che dovremmo vederci di più' - mi dicesti - 'per fare qualcosa insieme. Non necessariamente per il pubblico, ma per divertirci noi'.'Sono d’accordo. L’unico rischio è che se ci divertiamo troppo poi facciamo anche successo'. Cominciammo a ridere e scherzare. Ma forse avevo sottovalutato il tuo stato d’animo. Tre giorni dopo telefonasti dicendomi che se volevo saresti venuto volentieri a Galbiate a fare un quattro chiacchiere. Quel giorno avevo un appuntamento a Milano e per una serie di sfortunate coincidenze dimenticai di richiamarti come avevo promesso. Il giorno dopo telefonai a casa tua ma non rispose nessuno [...] Da quel momento ho cominciato a cercarti quasi ovunque. Ma tu eri sparito, neanche la Sony sapeva dov’eri. Finalmente dopo 20 giorni riesco a parlarti, e al telefono mi resi conto che quel giorno a Galbiate l’avevo fatta grossa. Il tono della tua voce era freddo. Per quanto forte e divertente fosse l’idea di fare un disco in tre, non era abbastanza per colmare l’amarezza che ti avevo procurato. Più parlavo e più mi rendevo conto di non essere credibile: le mie scuse risultavano mischiate a una richiesta di lavoro e quindi non del tutto disinteressate. “L’idea è bella” - mi dicesti - “ma ci devo pensare”.
“Capisco. Comunque io non ti telefonerò più. Qualora tu decida di dare il via a questo progetto, che mi sembra importante come regalo ai tuoi fans, sappi che io e Mina siamo pronti”.
Ma non c’era più spazio per una telefonata, l’orgoglio ormai, non solo tuo ma anche mio, aveva occupato tutti gli spazi possibili della “comprensione”. Forte del fatto che dovevi essere tu a darmi una risposta, io non ti telefonai più". 

Se solo le cose fossero andate diversamente, se solo la vita gli avesse concesso altri vent'anni, almeno, non ci ritroveremmo qui a scrivere:

Ciao Lucio, ti amiamo sempre un po' di più e abbiamo quasi paura di innamorarci troppo di te.

 
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Sinistra e sovranismo, le fake news del 'Manifesto' da marx21

Post n°14630 pubblicato il 15 Settembre 2018 da Ladridicinema
 


 fake manifestodi Carlo Formenti


Non leggo più il “Manifesto” da quando si è trasformato in organo ufficiale della sinistra “pariolina” (cioè da più di dieci anni) mi capita però di incocciare ancora in qualche articolo pubblicato dal quotidiano (ex)comunista perché lo trovo linkato su Facebook, o citato da altri siti (cioè raramente, non avendo molti amici nell’area clintoniana). In tali occasioni mi capita quasi sempre, non di incazzarmi (l’incazzatura scatta se le stupidaggini arrivano da persone che stimiamo), ma di stupirmi per ogni nuovo “salto di qualità” sulla via del liberismo.


L’ultima volta mi è successo cliccando su un link che rinviava a un articolo di Rachele Gonnelli, “Fassina celebra Patria e Costituzione e Badoglio” uscito il 9 settembre. Trattasi d’una parodia di cronaca del convegno fondativo dell’Associazione “Patria e Costituzione”, tenutosi l’8 settembre nella Sala della Protomoteca del Campidoglio. Partiamo da alcune bugie e imprecisioni che, in altri tempi e in un quotidiano serio, avrebbero squalificato il collaboratore chiamato a rendere conto di un evento pubblico: 1) la sala conterrebbe “al massimo un centinaio di persone” (erano il doppio a voler essere prudenti); 2) si insiste sulla mancata proiezione dell’annunciato videomessaggio della presidente dei “rossobruni” tedeschi Sarah Wagenknecht, come se i contenuti del testo di saluto di cui si è data lettura (derubricato dall’ineffabile Gonnelli a “letterina di generici auguri ai compagni italiani”) fossero sviliti dalla mancanza di immagini; 3) sempre sulla Wagenknecht, si spara una clamorosa fake news: Aufstehen (l’associazione fondata da Sarah e dall’ex segretario della Spd Oskar Lafontaine) non si è scissa dalla Linke, come scrive Gonnelli, ma conduce una battaglia interna sia alla Linke che alla Spd su posizioni di sinistra “sovranista” alla Mélenchon (quello che invece si tace, evidentemente disturba, è la notizia che l’associazione ha ottenuto in breve tempo più di 130.000 adesioni)

Il florilegio potrebbe continuare, ma veniamo ai “contenuti”. L’arzigogolata definizione di “badogliani” che viene appiccicata ai promotori dell’incontro Fassina e D’Attorre nasce dal riferimento all’8 settembre 1943, data dell’”armistizio del disonore” che lasciava in piedi la monarchia sabauda, (disonore perché si è tradito l’alleato tedesco? Spero di no, ma la formulazione è quanto meno ambigua). Del resto se la Gonnelli avesse qualche nozione storica sul periodo, saprebbe che la monarchia è rimasta in piedi perché gli accordi fra Urss e alleati lo prevedevano, come sarebbe stato successivamente chiarito dalla svolta di Salerno. Segue frecciata alla realpolitik tricolore di Togliatti, eppure dovrebbe essere passato abbastanza tempo dalle retoriche sessantottine sulla Resistenza come “rivoluzione tradita”, per consentire una valutazione più oggettiva degli eventi: senza quel compromesso la Resistenza italiana avrebbe fatto la fine di quella greca e noi non avremmo oggi una Carta che JP Morgan (e l’Europa ordoliberale) vogliono liquidare perché contiene troppe tracce di socialismo (cioè dei rapporti di forza che il movimento operaio fu in grado di far valere).

Poi le cose peggiorano ulteriormente: badogliano anche Vladimiro Giacché, perché non gli piacciono i trattati europei e osa affermare che non sono riformabili. Ora è chiaro che di economia la Gonnelli mastica poco o nulla per cui per contestare Giacché si deve aggrappare agli argomenti di Lionello Cosentino, l’unico Pd salito sul palco (un caso o un sintomo di dove sta andando a parare il Manifesto?). Curioso che poco sopra Gonnelli rinfacci a Fassina di non aver osteggiato il pareggio di bilancio in Costituzione: posso essere d’accordo, ma sono felice che abbia cambiato idea, mentre l’autrice dell’articolo sembrerebbe preferirlo nella versione “liberal progressista”. Di fatto, il liberal progressismo è ormai il contenitore ideologico che raccoglie i detriti di tutte le sinistre agonizzanti (socialdemocratiche e radicali) le quali, avendo da tempo cessato di rappresentare gli interessi popolari (populismo, ha detto qualcuno, è l’aggettivo che la sinistra usa quando si rende conto di non avere più alcun rapporto con il popolo), si nascondono dietro “la foglia di fico dei no border”, battuta di D’Attorre che ha fatto infuriare la Gonnelli che lo attacca dicendo che né lui né Fassina sono stati in grado di citare studi e ricerche che confermino che l’immigrazione è un problema per i proletari italiani. Visto che la questione non è nuova e la teoria marxista se ne occupa da un secolo e mezzo, le cito io alcuni “classici” che potrebbe consultare in merito agli effetti di dumping sociale prodotti dai flussi migratori: da Marx a Samir Amin passando per Arrighi, Wallerstein, Gunder Frank, Frantz Fanon per citarne alcuni…

Questa lunga digressione mi serve in realtà per ribadire un concetto che ho formulato nel mio intervento al convegno in questione, al quale ho partecipato come esponente di “Rinascita! Per un’Italia sovrana e socialista” (un’altra associazione politico culturale che si muove nel campo in cui è appena entrata a far parte  “Patria e Costituzione”). Rivolgendomi agli organizzatori, ho detto che, mentre capisco la loro volontà di recuperare quanto di buono può ancora esserci nella sinistra, penso al tempo stesso che si tratti di un’inutile perdita di tempo.

Gli insulti isterici e ridicoli (rossobruni, sovranisti, populisti, nazional socialisti, ecc.) con cui questa gente cerca di tamponare la crescita di un’area politica capace di coniugare la lotta per la riconquista della sovranità popolare e nazionale (due termini che Gramsci ci ha insegnato a considerare inscindibili) sono l’evidente conferma della loro disperazione per la perdita di qualsiasi capacità di rappresentanza degli interessi delle classi subalterne. Del resto fenomeni politici come France Insoumise, Aufstehen, parte di Podemos, lo stesso Corbyn e altri sono lì a dimostrare come la consapevolezza del processo di rinazionalizzazione della politica sia sempre più diffusa nella sinistra mondiale.

L’agitarsi scomposto del neoliberismo progressista ha l’unico effetto di rallentare il processo di costruzione di un’alternativa al populismo e al sovranismo di destra, perché i loro attacchi idioti e confusionari regalano continuamente voti all’avversario.

Carlo Formenti

(11 settembre 2018)

 
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