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Monicelli, senza cultura in Italia...
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Messaggi di Ottobre 2017
Post n°14056 pubblicato il 17 Ottobre 2017 da Ladridicinema
© foto di Daniele Buffa/Image Sport |
La Juventus sbarcherà ufficialmente su "Netflix" nel 2018 con un docu-film di 4 puntate della durata 1 ora l'una, che faranno vedere ai tifosi le tappe di avvicinamento dei giocatori bianconeri a una partita, allenamenti compresi, o come gli stessi vivono la vita di ogni giorno. Federico Palomba, Co-Chief Revenue Officer del club, commenta questa partnership tra "Netflix" e la Juventus: "È motivo di orgoglio per Juventus essere la prima società di calcio protagonista di un Netflix Original Documentary. Progetti di questo tipo confermano la nostra vocazione all’innovazione e a essere a tutti gli effetti uno Sport Entertainment brand, ma anche la volontà di raggiungere i fans bianconeri di tutto il mondo e i milioni di utenti di Netflix, che potranno grazie a questo documentario conoscere la Juventus a 360 gradi".
Post n°14055 pubblicato il 17 Ottobre 2017 da Ladridicinema
3.8 di 5 su 35 voti TRAMA DOVE NON HO MAI ABITATO: Dove non ho mai abitato segue i conflitti emotivi di Francesca (Emmanuelle Devos), 50 anni, unica figlia di un famoso architetto di Torino (Giulio Brogi), al quale fa visita solo in rare occasioni. Da molti anni infatti, Francesca vive a Parigi con la figlia adolescente e il marito Benoît (Hippolyte Girardot), un finanziere sulla sessantina, in apparenza riservato ma paterno e protettivo nei suoi riguardi. A causa di un infortunio domestico che costringe l'anziano padre a letto, la donna vola a Torino per fare le veci del genitore nel progetto di una villa su un lago per una giovane coppia. Sul lavoro incontra l'architetto Massimo (Fabrizio Gifuni), suo coetaneo concentrato sulla carriera e impegnato in una relazione aperta con l'indipendente Sandra (Isabella Briganti). Dopo un difficile primo approccio, tra Massimo e Francesca si instaura una forte sintonia professionale che sfocia in un sentimento profondo e passionale. Per la prima volta nella vita, entrambi dovranno confrontarsi veramente con se stessi e i loro più autentici destini...
Post n°14054 pubblicato il 17 Ottobre 2017 da Ladridicinema
Post n°14053 pubblicato il 17 Ottobre 2017 da Ladridicinema
Titolo originale: Ninjago Lego Ninjago - Il Film è un film di genere animazione, family, azione del 2017, diretto da Charlie Bean. Uscita al cinema il 12 ottobre 2017. Durata 101 minuti. Distribuito da Warner Bros. . TRAMA LEGO NINJAGO - IL FILM: Terzo lungometraggio per il grande schermo ispirato ai mattoncini LEGO e basato sull'omonima serie animata per la Tv. In LEGO Ninjago - Il film, una tremenda minaccia si abbatte sulla lontana terra di Ninjago, un paese "assemblato" per assomigliare al Giappone feudale ma con la più avanzata tecnologia dei mattoncini componibili. Lo spietato signore della guerra Lord Garmadon è intenzionato a ridurre in mille brick ogni città che incontra sul suo cammino, seminando panico e terrore tra gli sprovveduti abitanti. Un indisciplinato gruppo di sei adolescenti si riunisce sotto la guida del vecchio Sensei Wu (Jackie Chan), maestro di kung fu tanto spiritoso quanto saggio, il quale promette di allenarli come guerrieri ninja e Mastri Costruttori. Grazie ai loro poteri elementali, i prescelti possiedono l'abilità di sconfiggere mostri, pilotare giganteschi mecha e dragoni volanti. Ma c'è una sfida più grande che attende uno di loro: Lloyd il Ninja Verde (Dave Franco) dovrà affrontare in battaglia il suo stesso padre, nient'altri che il perfido villain principale. Al fianco del giovane ninja si schiereranno i fratelli Kai e Nya, il focoso ninja rosso e la tenace dominatrice dell'acqua, il nidroid del ghiaccio Zane, il flemmatico Cole, guerriero della terra, e lo stravagante ninja blu, Jay. PANORAMICA SU LEGO NINJAGO - IL FILM: Pur non registrando incassi stratosferici, L'universo cinematografico Legoinaugurato dalla Warner Bros con The Lego Movie nel 2014 si sta rivelando un appuntamento con le risate e il nerdismo doc, grazie al modo in cui la Lego da anni rilegge i miti della cultura popolare. Nel caso tuttavia del franchise Lego Ninjago, il discorso è più autoreferenziale, sebbene ci si inchini a un certo cinema action di arti marziali in quel di Hong Kong (in originale il maestro Sensei Wu è doppiato non a caso dal mitico Jackie Chan). Il mondo Lego Ninjago è nato nel 2011, parallelamente come serie tv animata e set di costruzioni legato a essa, in una sinergia multimediale che negli ultimi quindici anni ha permesso all'azienda danese di reggere il colpo di una cultura dell'infanzia completamente mutata. La serie animata per la tv, ideata dai fratelli Hageman anche cosoggettisti del lungometraggio, vanta ormai sette stagioni e uno stuolo di bimbi appassionati alle movimentate vicende dei sei ninja. Il film Lego Ninjago, la cui uscita al cinema in Italia è prevista per il 12 ottobre 2017, è stato anticipato dal divertente cortometraggio The Master, con protagonista proprio Wu, disponibile su iTunes in abbinamento a The Lego Batman Movie. Lego Ninjago è diretto da Charlie Bean, al suo esordio nella regia cinematografica, ma veterano dell'animazione tv da decenni: nel suo curriculum s'incontrano lavori sempre per la Warner (Tiny Toons Adventures, Batman), ma anche per la Disney (Tron Uprising, Timon & Pumbaa) e per Cartoon Network (Il laboratorio di Dexter, Le superchicche). Come al solito, l'animazione è affidata allo studio di effetti visivi Animal Logic: il gran lavoro svolto da questo gruppo ha permesso di trattare l'animazione in CGI alla stregua di una stop-motion, culturalmente legata ai mattoncini Lego dopo svariati esperimenti artigianali dei fan su YouTube e altrove. La tecnica dell'Animal Logic consiste nel renderizzare le animazioni saltando fotogrammi intermedi, in modo tale da sottrarre fluidità ai movimenti e centrare quel caratteristico e buffo movimento a scatti, non troppo articolato, pur usando una pipeline interamente digitale. Sono stati i registi e sceneggiatori Phil Lord & Chris Miller a lanciare il fenomeno Lego al cinema col citato The Lego Movie (che avrà un seguito nel 2019): costato 60 milioni di dollari, un budget relativamente contenuto per un film animato, ne ha portati a casa nel mondo 469. Lego Batman, secondo atto del franchise basato su uno dei personaggi più divertenti proprio di The Lego Movie, ha registrato invece incassi al boxoffice per 310 milioni, per un costo più elevato di 80. Anche se finora il fenomeno dei lungometraggi Lego sembra aver entusiasmato più gli Stati Uniti, dove in proporzione il responso al botteghino è stato più solido che nel resto del mondo, il fascino internazionale dei mattoncini perdura e si rimette alla prova con questo Lego Ninjago, la cui uscita è prevista anche in IMAX 3D. CURIOSITÀ SU LEGO NINJAGO - IL FILM: Per contribuire a realizzare l'azione nello stile e nei toni che i filmmaker ricercavano, Jackie Chan non solo ha interpretato il Maestro Wu, ma ha coinvolto la sua famosa squadra di stunt per coreografare i combattimenti, apportando le mosse che lo hanno contraddistinto e le spettacolari esecuzioni dei movimenti, abilmente avvolti in un senso dell'umorismo.
Ancora una volta, i realizzatori hanno lavorato con la premiata società di effetti speciali Animal Logic e hanno accolto i designer della sede aziendale della LEGOin Danimarca, per creare e testare i modelli. L'obiettivo era che tutte le costruzioni LEGO che appaiono sugli schermi, dai Mech ai Mall ai chioschi per hot dog, potessero essere riprodotti fisicamente.
Come i suoi predecessori, Lego Ninjago - Il Film è realizzato mattoncino su mattoncino, ciascuno reso individualmente e posizionato virtualmente al suo posto come se fosse un modellino in plastica.
Post n°14052 pubblicato il 17 Ottobre 2017 da Ladridicinema
Blade Runner 2049 (guarda la video recensione) vince un weekend caratterizzato da incassi modesti, tant'è che lo stesso leader lo chiude senza riuscire a superare i 4 milioni di euro dopo due settimane di permanenza in classifica. Non particolarmente interessanti i dati delle new entry: L'uomo di neve, tratto da un popolare bestseller, non riesce a superare il milione di euro e chiude con 900mila euro complessivi, mentre Lego Ninjago - Il filmincide poco e finisce molto distante dal primo Lego Movie e dalla versione con Batman come protagonista. Resiste, spinto dal sabato e dalla domenica, Emoji - Accendi le emozioni, che arriva ad un globale da 2,5 milioni, tutto sommato accettabile per un film animato di quel tipo. Davvero modeste le performance delle altre new entry: Nove lune e mezza si ferma a 380mila euro, mentre 40 sono i nuovi 20 e Il Palazzo dei Vicerè terminano in fondo alla classifica, mentre le altre nemmeno ci entrano. Piccola soddisfazione, si fa per dire, per Ammore e Malavita (guarda la video recensione), che riesce finalmente a passare il milione di euro complessivo. In ogni caso, i numeri non vanno bene: questa settimana arrivano IT, gli animati Vita da Giungla: Alla riscossa - Il film e Monster Family, La Battaglia dei sessi, Nemesi e l'italiano Brutti e Cattivi, mentre da oggi apre Loving Vincent, in release limitata a tre giorni. Sulla carta gli incassi dovrebbero salire e non di poco, ma è chiaro che il cinema in Italia sta vivendo un momento di grossa difficoltà.
Post n°14051 pubblicato il 17 Ottobre 2017 da Ladridicinema
"Quanto potrà mai durare la democrazia in questo paese?" Al massimo un paio d'anni e si torna indietro. È questo quello che pensano ancora le alte sfere all'indomani della fine di una delle più terribili dittature del dopoguerra, quella argentina. Ne è certo anche Arquimedes Puccio, tranquillo e abitudinario padre di famiglia, che riesuma senza scrupoli l'agghiacciante pratica del sequestro per applicarla ai giovani ricchi del suo vicinato, per conto terzi e per guadagno personale. Trent'anni dopo il clamoroso arresto del clan Puccio, Trapero racconta questa storia stringendo l'obiettivo su Alejandro, il figlio rugbista di Arquimedes, diviso tra l'obbedienza cieca al patriarca e il dissonante rumore di fondo della coscienza e di un'età naturalmente rivolta al futuro. E chi meglio di Pablo Trapero, verrebbe da pensare, dopo che il regista ha raccontato i peggiori abissi del suo paese riuscendo nell'arte acrobatica di affondare nel dramma senza mai impastarlo di retorica. Tutta via questo è un altro film. Non solo non c'è il Trapero più intenso, ma nemmeno il maestro del montaggio, qui gestito in pieno stile hollywoodiano, alla maniera di un "Blow" e affini. Non fosse per la crudeltà dei fatti narrati, e tirando l'affermazione con l'elastico, si potrebbe quasi parlare di commedia per Il Clan, relativamente al trascorso stilistico del regista, sia chiaro. Dall'uso scanzonato della musica ("Just a Gigolo - I ain't got nobody" sottolinea il bisogno di Puccio di avere i figli dalla sua parte, non potendo fidarsi di nessun altro allo stesso modo) al gusto dell'ingenuità nel racconto della scalata sportiva di Alex, del romance con Monica (Stefania Koessl) e del loro sogno svedese, ci sono tutte la caratteristiche di un film di sicuro appeal, ma decisamente più allineato col gusto medio di questo genere di biopic, persino televisivo, che sulla personalità autoriale che il regista ha mostrato fino ad ora. Guillermo Francella, che non a caso è un volto notissimo della televisione argentina con un curriculum principalmente leggero, quando non di comico puro, qui subisce un'ulteriore trasformazione dopo l'uso che di lui ha fatto Campanella (Il segreto dei suoi occhi) e passa radicalmente di là dalla barricata, da vittima a carnefice, conservando però quell'aria da amico della porta accanto e quell'affettuosa empatia che qui servono il gioco. L'immediatezza magistrale della regia di Trapero e l'amara ironia che attraversano il film senza interruzioni, garantiscono un risultato comunque impeccabile, specie perché il ritratto che viene fatto di padre e figlio non sfocia mai nella fascinazione per il male. Il successo di pubblico in Argentina, dove il caso ebbe un fortissimo impatto sull'opinione pubblica, è stato, come prevedibile, immediatamente molto grande.
Post n°14050 pubblicato il 17 Ottobre 2017 da Ladridicinema
Howard è il manager di maggior successo di una grande azienda. Colpito dalla tragedia della morte della figlia di sei anni, non riesce a tornare a vivere. I suoi tre migliori amici e colleghi di lunga data vengono a sapere che ha scritto delle lettere, al Tempo, all'Amore e alla Morte, e assoldano tre teatranti perché impersonino queste entità astratte e dialoghino con Howard, scuotendolo e riportandolo alla consapevolezza che la sua vita non è finita. Nemmeno in mano ad un grande autore visionario, un copione come questo, sarebbe stato al sicuro; meno che mai nelle mani di David Frankel e di un cast troppo curiosamente assortito, dove i grandi attori -Norton e Winslet- rimangono malamente schiacciati nelle loro potenzialità e soltanto Helen Mirren riesce a emergere come merita, ma la fa con un personaggio da commedia, lanciato come una trottola impazzita su un tappeto ultra drammatico. Non che una dose di leggerezza non sia contemplata in partenza, lo è senza dubbio, ma non è quella della commedia, bensì quella sentimentale del "Canto di Natale" dickensiano, che il film riprende esplicitamente nelle figure dei tre attori che, come angeli, vedono in profondità nelle vite dei loro interlocutori. Anche qui, però, le forzature non mancano, e soprattutto diventa sempre più chiaro, strada facendo, che in Collateral Beauty sono contenuti due film che non s'incontrano se non in maniera illusoria, soltanto apparente. Da un lato, il melodramma con Will Smith e Naomie Harris, film "impossibile" per il suo portato tragico, affrontato senza mai levare le lacrime dagli occhi, a colpi di invenzioni singhiozzanti (il domino, le lettere) e con un twist finale che sarebbe stato più adatto ad un cortometraggio che ad un progetto con queste ambizioni. Dall'altro lato, un film dal sapore più indipendente e dal soggetto più singolare, su una piccola compagnia di attori pagati per uscire dalla comfort zone del loro teatrino off Broadway e misurare la loro arte con un'esigenza della vita vera, un terreno su cui non possono sbagliare, pena l'aggravamento di una sofferenza già insopportabile. Una prova difficile, che Keira Knightley rischia di fallire, non tanto nella finzione, ma sul palcoscenico principale, quello del film stesso.
Post n°14049 pubblicato il 17 Ottobre 2017 da Ladridicinema
La famiglia Day è stata massacrata ormai molti anni fa. Per quel crimine la sorella più piccola è stata il testimone fondamentale utile a condannare il fratello maggiore. Dopo diversi decenni la non più piccola Libby è una donna mai realizzata, che per molto tempo ha vissuto con i soldi che elemosinava al paese, chiedendo pubblicamente donazioni in quanto "orfana", e che ormai stanno finendo. Un gruppo di appassionati di casi di cronaca irrisolti la contatta e si offre di corrisponderle un compenso per sottoporsi ad alcune domande. La cattiveria con cui si ritrova accusata da loro di aver incastrato il fratello smuove qualcosa nel suo animo cinico e lentamente la porta a voler approfondire cosa accade, sempre più consapevole di aver accusato qualcuno senza realmente essersi resa conto degli eventi. Dark Places in nessun momento cerca di mascherare la sua provenienza letteraria (il libro "Nei luoghi oscuri" di Gillian Flyn, stessa autrice di "L'amore bugiardo" da cui è stato tratto Gone Girl). Il film si dipana con il medesimo passo di un romanzo, raccontando in parallelo la storia che si svolge nel presente e quella che si svolge nel passato, lasciando così che ci siano due centri emotivi, quello dell'intreccio di ieri e quello dell'intreccio di oggi. È sempre chiaro che dal primo deriva il secondo ma anche che quell'evento sanguinoso che ha cambiato tutto è solo un pretesto, utile ad indagare i movimenti di questi personaggi e soprattutto a stupire. La soluzione, le motivazioni e la maniera in cui si arriverà a scoprire cosa sia successo giocano infatti in un terreno che sta tra Cormac McCarthy e l'ingiustizia dei fratelli Coen. Eppure Gilles Paquet-Brenner sceglie di non somigliare a nessuno. Al regista francese, nel momento di mettere in film e quindi comprimere questa trama, non è interessato l'elemento prettamente narrativo, sbrigato con diligenza ma senza particolare impegno. La storia è chiara e ben esposta, perché lo spazio che Paquet-Brenner ha ritagliato per sè è quello realmente filmico, quello delle immagini. Se Dark Places fosse solo composto dal racconto degli eventi saremmo di fronte ad un adattamento di pregevole fattura e ad un buon thriller, per fortuna Paquet-Brenner cerca di andare oltre e mentre il passato sbriga le incombenze più pressanti (raccontare i perché e i per come), il presente annega il volto della vera protagonista in un mare di disperazione. Non sarà mai l'esito della ricerca della protagonista il vero apice emotivo della storia. Quello lo scopriamo nei flashback e ci viene mostrato e raccontato con dovizia di dettagli. L'apice semmai sta nella maniera in cui dentro Charlize Theron, sempre in jeans e cappello da baseball, si fa strada la consapevolezza di aver intrapreso un percorso di purificazione che fa rima con abisso. Più scende in basso nella scoperta di tutto ciò che aveva nascosto a se stessa più non può smettere. È la forza di volontà di una persona nel proseguire in un martirio di scoperte il centro reale attorno a cui ruota il film. Non è certo la prima volta che assistiamo ad una presa di coscienza da parte di personaggi che indagano il proprio torbido passato. Eppure, la maniera in cui Dark Places si muove in ambienti malsani e nella morbosità generale (elemento dato per acquisito che mai viene messo in dubbio eppure è sempre presente) coglie lo stesso la forza del cinema. Il racconto per immagini di come Libby Day un giorno decise che sarebbe uscita dalla sua disperazione scoprendo le verità sulla tragedia che colpì la sua famiglia, è un'odissea di posti infernali, un road movie quasi videoludico in cui ogni schema ha una caratterizzazione e un mostro non da combattere ma da accettare. Di passaggio in passaggio, di incontro in incontro Libby si avvicina alla verità ma non ci interessa (tanto ci sono i flashback a mostrarcela), quello che ci interessa sempre di più è come quel volto arrabiato che Charlize Theron sfoggia dalla prima inquadratura sia costretto a resistere alla sua apocalisse personale e Dark Places, quest'inferno ha realmente capito come dipingerlo.
Post n°14048 pubblicato il 17 Ottobre 2017 da Ladridicinema
Assoldati dai Sovereign ma poi braccati da questi per aver rubato delle preziose batterie, i guardiani della galassia si dividono in due gruppi: Rocket e Groot se la vedono con i Ravagers di Yondu, mentre Star-Lord conosce finalmente il padre, Ego, scoprendo molti segreti inaspettati sulla propria natura semi-umana. Non se l'aspettavano in molti nel 2014, ma I Guardiani della Galassia ha saputo sdrammatizzare una space opera ad elevato rischio di ridicolo, restituendo quell'attitudine disincantata, da spacconi, con cui Han Solo o Jack Burton hanno salvato fantasy e sci-fi dalla noia seriosa dei biografi nerd. Tanto da poter portare tranquillamente ad affermare che lo scanzonato spirito originario di Guerre stellari alberghi più nel film di James Gunn che in quanto sia avvenuto alla saga degli Skywalker negli ultimi trent'anni. Per il secondo episodio della serie, ultimo atto prima delle attese Infinity Wars che vedranno Guardiani e Avengers lottare insieme, James Gunn si trovava quindi di fronte a un pericolo più temibile di un mostro dallo spazio esterno: la paura di non essere all'altezza dell'originale oppure di tradirne l'essenza. Per non sbagliare Gunn ha scelto la soluzione più semplice: premere sull'acceleratore, insistere sul "di più" e "meglio". Effetti 3D ai massimi livelli - la sequenza di uccisione del mostro tentacolare è impressionante, anche se sembra più che altro uno showcase fieristico - colonna sonora onnipresente, con riferimenti intratestuali ancor più marcati (che rasentano l'eccesso stucchevole con "Father and Son" di Cat Stevens); battute acide e scurrili in bocca a Drax e Rocket Raccoon in ogni occasione. Seguendo un curioso fil rouge da "ultimi giorni della disco music" che ha innervato molto cinema recente - da Tutti vogliono qualcosa di Richard Linklater in giù - I Guardiani della Galassia Vol. 2insiste nuovamente sul periodo di passaggio tra '70 e '80, punto di svolta nella storia degli Stati Uniti d'America, rivivendolo attraverso le audio cassette di Peter Quill. Quest'ultimo, di fronte a una duplice figura paterna, espone ancor più le proprie debolezze, nel nome di una scomposizione e ricomposizione del macho in una nuova forma di eroe che non disdegna di mostrare il suo lato tenero e vulnerabile, con una donna forte al proprio fianco. Per l'occasione la generazione dei macho cinematografici anni Ottanta rivive quasi al gran completo, in una parata di stelle action che fa pensare più a I Mercenari della Galassia che ai Guardiani della stessa: tra un Kurt Russell padre-padrone-dio che di nome fa Ego e un Sylvester Stallone re dei ladri trovano posto persino Michelle Yeoh e Ving Rhames, con contorno di un Michael Rooker eternamente Henry, pioggia di sangue. Tre anni soltanto separano questo sequel dal capitolo originario, eppure l'attesa è stata spinosa per chi ha amato il film e sperato ardentemente che l'umano (o mezzo tale) Peter Quill, l'aliena Gamora, il guerriero Drax, il procione Rocket e quella meravigliosa invenzione a metà tra uomo e albero che risponde al nome di Groot tornassero a raccontarci di loro. Non c'era motivo di dubitare delle buone intenzioni in questo senso, non solo perché il primo capitolo tracciava apertamente la strada per una narrazione tutta da proseguire, alla ricerca del padre del protagonista, ma anche e soprattutto perché il grande successo riscosso dallo stesso non poteva che suonare da conferma. Il secondo capitolo dei Guardiani della Galassia, inoltre, fa parte da tempo di un piano dei Marvel Studios - la cosiddetta Fase Tre - di produzione massiccia, rapida e seriale dei film basati sui Marvel Comics, improntato quasi a imitare il ritmo dei fumetti, con film pensati su misura per ogni personaggio (o gruppo di personaggi) e altri in cui gli stessi si uniscono insieme, in occasione di un evento crossover che ha come cardine il team degli Avengers e i film ad esso dedicati. Ma l'industria cinematografica non è la sola ad aver tamburellato le dita con una certa apprensione fino alla conferma ufficiale della messa in produzione di questo secondo capitolo sotto la migliore delle costellazioni, vale a dire, cioè, con James Gunn alla regia e lo stesso Gunn e Nicole Perlman alla sceneggiatura. Anche l'industria musicale, infatti, attendeva il suo sequel, quel "Awesome Mix Vol. II", che promette meraviglie (Fleetwood Mac, Bowie, Jay and the Americans) e che andrà a bissare anche in questo caso il successo di vendite della prima playlist. Un caso fortunato? No, o non solo. Le ragioni che stanno dietro la fortuna dei Guardiani della Galassia non sono affatto insondabili e irrepetibili: non c'è dubbio che l'ottimo equilibrio tra avventura e umorismo, con le reminiscenze del primo Guerre Stellari che porta con sé, siano da contare tra queste, così come, appunto, l'equilibrio stesso tra originalità e citazione. Al novero dei motivi più facilmente attribuibili all'apprezzamento generato da questo progetto cinematografico, c'è da aggiungere poi la sua natura di elogio dell'unità nella diversità e, non ultimo, la personalità di un regista di gran lunga più aperto e onesto alle richieste dei fan di molti altri colleghi. L'impegno di James Gunn per tenere sotto controllo gli spoiler è noto, così come la sua disponibilità nei confronti della comunità che discute on line del suo lavoro. A chi, per esempio, insinuava che il personaggio di Baby Groot fosse una scelta dettata da una certa furbizia commerciale, in previsione del carico di merchandise che verrà modellato e venduto a sua immagine e somiglianza, Gunn ha risposto raccontando di aver dapprima concepito il sequel molto più avanti nel tempo rispetto alla fine del primo capitolo, ma non funzionava, ed è stata la continuità temporale con il punto in cui abbiamo lasciato i Guardiani ad ispirarlo nel verso giusto, continuità che ha implicato la ripresa di Baby Groot. In altre occasioni, Gunn è stato costretto anche costretto a chiedere ai fan di moderare i toni (l'insistenza della rete nel domandare il trailer del secondo volume sfociava non di rado nell'insulto), e lo ha fatto, al solito, con grande eleganza. La stessa che mette nel suo lavoro e che lo rende tanto ricercato.
Post n°14047 pubblicato il 17 Ottobre 2017 da Ladridicinema
Billy Lynn è l'eroe della Bravo Squad, un plotone di soldati americani reso famoso dalla registrazione video di un loro combattimento in Iraq. Billy e i suoi commilitoni sono richiamati temporaneamente in patria per partecipare allo spettacolo che si tiene durante l'intervallo di una partita di football americano. Ma la sorella di Billy, Kathryn, è preoccupata dalle sue condizioni di salute e cerca di convincerlo a non tornare in Iraq. Il non-autore più premiato dall'Academy Awards, Ang Lee, intreccia in Billy Lynn i due rami principali della sua eterogenea filmografia: l'osservazione delle contraddizioni della American way of life (Brokeback Mountain) e l'esplorazione di nuovi percorsi del medium cinematografico (La tigre e il dragone, Vita di Pi). Come tocca regolarmente agli esperimenti più audaci, che intendono abbracciare una nuova tecnologia, anche Billy Lynn è probabilmente destinato a essere scarsamente considerato da un punto di vista artistico e a essere ricordato nei manuali principalmente per i suoi primati statistici. Innanzitutto perché saranno pochissimi a poter usufruire del film al massimo delle sue potenzialità, visto che poche sale al mondo lo proietteranno coerentemente rispetto a come è stato girato, ovvero in HFR (120 frame al secondo, cinque volte la normale frequenza), 4k di risoluzione e 3D. Guardare Billy Lynn senza l'ausilio di questo apparato tecnologico significa perlopiù rimanere perplessi di fronte alla quantità e alla qualità dei primi piani su cui Ang Lee insiste o alla confusione degli eventi che caratterizza le convulse scene di guerra sul fronte iracheno. L'intento di Ang Lee, evidenziato dall'ordinarietà di molte inquadrature e di buona parte dei dialoghi, è di coinvolgere lo spettatore in un azzardo tecnologico, che superi la forma cinematografica tradizionalmente intesa per contaminarla con l'esperienza di eventi mediatici - reportage televisivo, videogame - che hanno già da tempo superato il limite dei 24 fps. Non a caso sono le sequenze più stranianti, dai flashback bellici all'assurdo carrozzone dello show delle Destiny's Child, a usufruire maggiormente di una soggettiva videoludica e ad agevolare il transfert nella mente, al limite del deragliamento, di Billy. Un'operazione concettuale e stimolante - con alcuni tocchi originali, come la scelta di rendere Beyoncé una figura aliena e remota, inquadrata solo di spalle e riconoscibile per i capelli biondi - che rischia di essere relegata nel dimenticatoio per i limiti che denota sui "fondamentali" cinematografici e per la difficoltà di essere fruita come originariamente inteso. A rimanere, nella sua nuda retorica, sarà soprattutto la visione critica del rapporto tra America e show business e tra guerra e sua spettacolarizzazione, che non va oltre una banalizzazione di quanto già raccontato (meglio) in Redacted o Flags of our Fathers.
Post n°14046 pubblicato il 13 Ottobre 2017 da Ladridicinema
40 sono i nuovi 20 Home Again - DATA USCITA: 12/10/2017
- GENERE: Commedia, Sentimentale
- NAZIONALITA': USA
- ANNO: 2017
- REGIA: Hallie Meyers-Shyer
- CAST: Reese Witherspoon, Michael Sheen, Candice Bergen
Dove non ho mai abitato Dove non ho mai abitato - DATA USCITA: 12/10/2017
- GENERE: Drammatico
- NAZIONALITA': Italia
- ANNO: 2017
- REGIA: Paolo Franchi
- CAST: Emmanuelle Devos, Fabrizio Gifuni, Giulio Brogi
Il palazzo del Viceré Viceroy's House - DATA USCITA: 12/10/2017
- GENERE: Biografico, Drammatico, Storico
- NAZIONALITA': Gran Bretagna, India, Svezia
- ANNO: 2017
- REGIA: Gurinder Chadha
- CAST: Hugh Bonneville, Gillian Anderson, Manish Dayal
L'altra metà della storia The Sense of an Ending - DATA USCITA: 12/10/2017
- GENERE: Drammatico
- NAZIONALITA': Gran Bretagna
- ANNO: 2017
- REGIA: Ritesh Batra
- CAST: Charlotte Rampling, Jim Broadbent, Michelle Dockery
Lego Ninjago - Il Film Ninjago - DATA USCITA: 12/10/2017
- GENERE: Animazione, Family, Azione
- NAZIONALITA': USA
- ANNO: 2017
- REGIA: Charlie Bean
L'uomo di neve The Snowman - DATA USCITA: 12/10/2017
- GENERE: Thriller
- NAZIONALITA': Gran Bretagna
- ANNO: 2017
- REGIA: Tomas Alfredson
- CAST: Michael Fassbender, Rebecca Ferguson, Charlotte Gainsbourg
Made in China Napoletano Made in China Napoletano - DATA USCITA: 12/10/2017
- GENERE: Commedia
- NAZIONALITA': Italia
- ANNO: 2017
- REGIA: Simone Schettino
- CAST: Simone Schettino, Tosca D'Aquino, Benedetto Casillo
- DATA USCITA: 12/10/2017
- GENERE: Biografico, Drammatico
- NAZIONALITA': Italia, Belgio
- ANNO: 2017
- REGIA: Susanna Nicchiarelli
- CAST: Trine Dyrholm, John Gordon Sinclair, Anamaria Marinca
Post n°14045 pubblicato il 09 Ottobre 2017 da Ladridicinema
Post n°14044 pubblicato il 09 Ottobre 2017 da Ladridicinema
Blade Runner 2049 vince il weekend, ma per un soffio non riesce a superare i 2 milioni complessivi, fermandosi a poche migliaia di euro dal traguardo. È comunque un buon risultato per il film, che ha portato al cinema quasi 270mila persone, anche se conferma che il genere fantascientifico in Italia fatica sempre parecchio (ma visti i dati americani, stavolta non c'è da stupirsi). Rispetto ad altri film dello stesso genere, Blade Runner 2049 è partito meglio di Arrival (quasi il doppio degli incassi) e leggermente peggio di Interstellar e The Martian. Buon weekend per Emoji - Accendi le emozioni, che, a due settimane dall'uscita, supera i 2 milioni di euro complessivi, mentre i due film italiani in classifica non rescono ancora a passare il singolo milione, visto che Ammore e Malavita (guarda la video recensione) si ferma a poco meno di 600mila euro e Chi m'ha visto tocca quota 990mila euro. Cars 3 (guarda la video recensione) sfrutta l'ultimo weekend di buona raccolta per arrivare a 7,5 milioni di euro complessivi, ma non riuscirà a passare gli 8 milioni, Come ti ammazzo il bodyguard esordisce con poco più di mezzo milione di euro, mentre Noi siamo tutto si conferma molto popolare, specie tra i teenagers e arriva a 3,2 milioni complessivi. In testa alla classifica italiana resta ovviamente Cattivissimo Me 3 (guarda la video recensione), attualmente a 17,8 milioni di euro, seguito da Dunkirk (guarda la video recensione) con 8,6 milioni. Questa settimana arrivano in sala 40 sono i nuovi 20, Lego Ninjago - Il film e L'uomo di neve.
Post n°14043 pubblicato il 05 Ottobre 2017 da Ladridicinema
Ammore e malavita è un film di genere commedia, musicale, noir del 2017, diretto da Marco Manetti, Antonio Manetti, con Carlo Buccirosso e Claudia Gerini. Uscita al cinema il 05 ottobre 2017. Durata 133 minuti. Distribuito da 01 Distribution. Due mondi distanti si incontrano nella pellicola partenopea di Marco e Antonio Manetti, Ammore e malavita. Ciro (Giampaolo Morelli) è un temuto killer di Napoli, una delle due "tigri" - accanto a Rosario (Raiz) - al servizio di don Vincenzo (Carlo Buccirosso) detto "o' re do pesce", e dell'astuta moglie donna Maria (Claudia Gerini). La giovane infermiera Fatima (Serena Rossi) è una ragazza onesta e sognatrice, finita per sbaglio in una situazione pericolosa. Ciro riceve l'incarico di sbarazzarsi di quella testimone indesiderata che "ha visto troppo", ma le cose non vanno come previsto. I due si trovano faccia a faccia, si riconoscono e riscoprono l'uno nell'altra, l'amore mai dimenticato della loro adolescenza. Per Ciro c'è una sola soluzione: tradire don Vincenzo e donna Maria e uccidere chi li vuole uccidere. Inizia così una lotta senza quartiere sullo sfondo degli gli splendidi scenari dei vicoli di Napoli e il mare del golfo. Tra musica e azione, amore e pallottole. PANORAMICA SU AMMORE E MALAVITA: Maestri indiscussi dei generi cinematografici, che padroneggiano con disinvoltura pur cambiandone (ma non stravolgendone) le regole, i Manetti Bros. hanno voluto percorrere, con Ammore e Malavita, la strada del musical, anche se non hanno abbandonato del tutto l'amato noir, o crime-movie. La scelta di un filone che è rifiorito di recente grazie a La La Land ha permesso ai registi romani di allontanarsi non dalla verosimiglianza, che resta sempre il loro obiettivo, ma dal realismo a tutti i costi e dal discorso sociale. Cantando e ballando (aiutati dal coreografo Luca Tommassini), i personaggi del nuovo film dei fratelli Manetti non invitano insomma a una riflessione sul degrado di una città o sulla piaga della criminalità organizzata, ma esprimono liberamente i loro stati d'animo e diventano gli eroi sentimentali di un racconto che si rifà perfino a certe commedie con Totò e alla sceneggiata napoletana, senza dimenticare i film di John Woo e allusioni a 007. Di brani musicali, la colonna sonora di Ammore e Malavita ne contiene quindici, scritti da Nelson e arrangiati da Pivio e Aldo De Scalzi, storici collaboratori di Marco e Antonio. Laddove il team ha dato il meglio è stato in una versione italiana di "What a Feeling" di Flashdance intitolata "L'amore ritrovato" ed eseguita da Serena Rossi. Come lei, altri attori del film hanno una certa dimestichezza con le note, a cominciare da quel Raiz (al secolo Gennaro Della Volpe) che è stato la voce degli Almamegretta prima di diventare solista. In "Na Na Land" cantano anche alcuni membri del cast del film, Claudia Gerini, Carlo Buccirosso e Giampaolo Morelli. Quest'ultimo è "l'attore feticcio" dei Manetti, che lo hanno diretto in tv ne L'ispettore Coliandro e al cinema in Piano 17 e in Song e'Napule, con cui Ammore e Malavita ha in comune l'ambientazione partenopea. Come nel film precedente del duo (in cui c'erano sia Buccirosso che la Rossi), Napoli è davvero uno dei personaggi della storia e non ha niente a che vedere con la città cupa e disperata di Gomorra & Co. Piuttosto si impone come luogo delle emozioni forti e gioiose, come scenario "sopra le righe" nel quale non c’è posto per le immagini da cartolina e le Vele di Scampia sono diventate addirittura un'attrazione turistica. Presentato in concorso alla settantaquattresima edizione del Festival di Venezia, Ammore e Malavita somiglia in qualche modo a West Side Story per l'elemento di "criminalità", ma il musical che più ha ispirato i registi è stato Grease, visto e rivisto prima del lavoro di sceneggiatura per capire come sposare i dialoghi con le canzoni senza interrompere il ritmo della narrazione.
Post n°14042 pubblicato il 05 Ottobre 2017 da Ladridicinema
Blade Runner 2049 è un film di fantascienza del 2017, diretto da Denis Villeneuve, con Ryan Gosling, Harrison Ford, Jared Leto e Robin Wright, al cinema dal 5 ottobre 2017, distribuito da Warner Bros. Pictures Italia. Il film è ambientato 30 anni dopo i fatti raccontati nel primo Blade Runner diretto da Ridley Scott e tratto dal racconto di Philip K. Dick. LA durata del film è di 152 minuti. Blade Runner 2049 ora in programmazione in 870 Sale Trova Cinema - DATA USCITA: 05 ottobre 2017
- GENERE: Fantascienza, Thriller
- ANNO: 2017
- REGIA: Denis Villeneuve
- ATTORI: Ryan Gosling, Harrison Ford, Ana de Armas, Jared Leto, Sylvia Hoeks, Robin Wright, Mackenzie Davis, Dave Bautista, Lennie James, Wood Harris, Edward James Olmos, Carla Juri, Barkhad Abdi, David Dastmalchian, Hiam Abbass, Mark Arnold
- PAESE: USA
- DURATA: 152 Min
- DISTRIBUZIONE: Warner Bros. Italia
In Blade Runner 2049, lo si può intuire dal titolo del sequel diretto da Denis Villeneuve, sono trascorsi trent'anni dai fatti accaduti nel film originale, diretto nel 1982 da Ridley Scott. Dopo una serie di violente rivolte avvenute nel 2020, i replicanti prodotti dalla Tyrell sono stati messi al bando. Nello stesso anno, un grande black out che ha distrutto quasi completamente ogni dato digitale del pianeta, e gravi cambiamenti climatici hanno dato il via a una stagione di carestie, cui si è sopravvissuti solo grazie alle colture sintetiche della Wallace, una società con a capo il misterioso Neander Wallace (Jared Leto) che - grazie a quei profitti - ha poi ha acquisito anche le tecnologie della Tyrell, sviluppando così una nuova serie di replicanti completamente ubbidienti all'uomo e dalla longevità indefinita. Nel 2049 a Los Angeles regna quindi un ordine apparente: o almeno fino quando l'Agente K (Ryan Gosling), uno dei Blade Runner incaricati di ritirare i vecchi modelli che ancora vivono in clandestinità, fa una strana scoperta nel corso di una missione, dissotterrando così un segreto rimasto tale per anni, la cui rivelazione potrebbe rivelarsi un evento catastrofico. Seguendo gli ordini dei suoi superiori, K indaga per trovare ogni persona legata a quel segreto, per nascondere così definitivamente ogni traccia di quanto va insabbiato a tutti i costi. Nel corso delle sue indagini, K inizirà a nurtire dei dubbi sulla moralità del suo operato, e arriverà a incrociare la sua strada con quella di Rick Deckart(Harrison Ford), svanito nel nulla trent'anni prima senza lasciare alcuna traccia di sé. PANORAMICA SU BLADE RUNNER 2049: Era il 1982. Philip K. Dick morì quell'anno a marzo, e Blade Runner, il film che Ridley Scott ha diretto proprio a partire da un racconto di Dick, viene presentato al mondo alla fine di giugno. Blade Runner, il film che ha aperto un nuovo capitolo nella storia del cinema di fantascienza, inventandosi quasi dal nulla l'estetica cyberpunk: William Gibson avrebbe pubblicato il suo "Neuromante" solo due anni dopo, e fino a quel momento aveva all'attivo solo una manciata di racconti. Blade Runner, uno dei film più amati, citati e studiati di tutta la storia della sci-fi e forse del cinema tutto, di cui esistono ben sette cut diversi: l'ultimo, del 2007, quello che dovrebbe aver garantito a Scott la piena e totale libertà artistica che fino a quel momento gli era stata negata. Poco importa, però, in quale versione lo si guardi: quello del regista inglese è uno di quei capolavori cui il tempo non toglie efficacia, e ci voleva quindi del coraggio, quando non della sana incoscienza, per prendersi sulle spalle l'onere di dirigerne un sequel di cui si parla e si vocifera dai primi anni Duemila. Inizialmente era stato lo stesso Ridley Scott ad accarezzare l'idea di dare un seguito al suo film, e qualche anno fa era andato davvero vicinissimo a realizzarlo davvero, per poi decidere di fare un passo indietro, e restare legato al progetto solo come produttore. Al suo posto, dietro la macchina da presa, ci sarebbe stato Denis Villeneuve.
Ma a garantire la continuità e il rispetto del film originale, in Blade Runner 2049, non c'è solo la presenza di Scott in veste di produttore: c'è anche lo stesso sceneggiatore del film del 1982 Hampton Fancher, qui coadiuvato da Michael Green, e ovviamente c'è la presenza del Rick Deckart originale, Harrison Ford. La trama del film, anzi, è costruita attorno a Deckart, svanito trent'anni prima e ora cercato da un nuovo Blade Runner, interpretato da Ryan Gosling, per via di una complessa indagine che sta conducendo e che punta diretta a quel suo misterioso predecessore. Oltre a Harrison Ford, nel cast di Blade Runner 2049 torna anche Edward James Olmos nei panni di Gaff, mentre tutti nuovi sono gli altri interpreti, da Robin Wright a Bautista, passando per Ana de Armas, Mackenzie Davis, Sylvia Hoeks, Jared Leto e Hiam Abbass. Se poi Villneuve si è caricato sulle spalle oneri (ma anche onori) della regia, a prendersi la responsabilità di venire dopo la famosissima e celebrata colonna sonora di Vangelis è l'islandese Jóhann Jóhannsson, che col regista canadese ha già lavorato in Prisoners, Sicario e Arrival.
In arrivo nelle sale di mezzo mondo all'inizio di ottobre (in Italia l'uscita al cinema è prevista per il 5 ottobre 2017, per essere precisi), Blade Runner 2049 sembrerebbe avere tutte le carte in regola per essere presentato in settembre al Festival di Venezia e a quello di Toronto, dove già Villeneuve fu protagonista lo scorso anno con Arrival. CURIOSITÀ SU BLADE RUNNER 2049: Nonostante il timore che un sequel avrebbe potuto intaccare l'originale, il regista Denis Villeneuve non ha saputo dire di no a Blade Runner 2049. "So che i fan entreranno in sala impugnando una mazza da baseball" ha dichiarato in un'intervista, "ma lo rispetto, perché si tratta di arte. E l'arte è un rischio. Questo sarà sicuramente il più grande della mia vita". Lo stesso Harrison Ford si è arreso di fronte alla sceneggiatura di Blade Runner 2 che ha definito "una delle migliori che abbia mai letto", tornando a indossare i panni di Rick Deckard nell'universo fantascientifico popolato da replicanti e agguerriti cacciatori di taglie. Accanto a lui fa il suo ingresso l'agente K, personaggio ideato e modellato sull'attore Ryan Gosling, prima scelta, unica scelta possibile secondo Villeneuve, che per Niander Wallace invece sperava di ingaggiare David Bowie. La morte del cantante ha deviato l'attenzione su Jared Leto, attore premio Oscar forte di un simile background musicale. Per ritrarre l'enigmatico personaggio cieco, Leto ha indossato lenti opache che annebbiavano la vista. Le riprese del sequel di Blade Runner si sono svolte a Budapest tra l'estate e l'autunno del 2016. Un episodio viene ricordato dal cast e dalla troupe: durante una scena d'azione Ford ha involontariamente colpito Gosling in faccia con un pugno mal calibrato. Per farsi perdonare, l'agente veterano si è offerto di dividere una bottiglia di whiskey con il blade runner alle prime armi.
Post n°14041 pubblicato il 05 Ottobre 2017 da Ladridicinema
Ammore e malavita Ammore e malavita - DATA USCITA: 05/10/2017
- GENERE: Commedia, Musicale, Noir
- NAZIONALITA': Italia
- ANNO: 2017
- REGIA: Marco Manetti, Antonio Manetti
- CAST: Carlo Buccirosso, Claudia Gerini, Giampaolo Morelli
Blade Runner 2049 Blade Runner 2049 - DATA USCITA: 05/10/2017
- GENERE: Fantascienza, Thriller
- NAZIONALITA': USA
- ANNO: 2017
- REGIA: Denis Villeneuve
- CAST: Ryan Gosling, Harrison Ford, Ana de Armas
Come ti ammazzo il bodyguard The Hitman's Bodyguard - DATA USCITA: 05/10/2017
- GENERE: Azione, Commedia
- NAZIONALITA': USA
- ANNO: 2017
- REGIA: Patrick Hughes
- CAST: Ryan Reynolds, Samuel L. Jackson, Salma Hayek
Renegades - Commando d'assalto Renegades - DATA USCITA: 05/10/2017
- GENERE: Azione, Thriller
- NAZIONALITA': Francia, Germania
- ANNO: 2017
- REGIA: Steven Quale
- CAST: J.K. Simmons, Ewen Bremner, Sullivan Stapleton
Post n°14040 pubblicato il 04 Ottobre 2017 da Ladridicinema
In arrivo l’ennesimo Russiagate per Vladimir Putin e l’apparato del Cremlino. In questo caso verte sul referendum catalano. A nemmeno 24 ore dal termine delle votazioni che hanno visto la larga vittoria degli indipendentisti catalani, alcuni osservatori iniziano a chiedersi se ci possa essere stata l’ingerenza di attori esterni. Dalle ultime presidenziali americane ad oggi c’è un filo conduttore che legherebbe tutte le principali elezioni tenutesi nell’ultimo anno solare. La Russia di Vladimir Putin. Secondo El Pais c’è la Russia dietro il Referendum È stato il quotidiano spagnolo El Pais, giornale cartaceo non sportivo più letto in Spagna, a lanciare le prime accuse contro il Cremlino. Il primo articolo di questo genere è uscito lo scorso 28 settembre con il titolo “Hacker russi aiutano a tenere aperti i siti sul luogo delle votazioni per il Referendum catalano”. Nello stesso pezzo, oltre che una smaccata posizione pro Madrid (si fa riferimento al referendum come “illegale”), si può leggere un’accusa diretta contro Mosca. Nello specifico secondo la Guardia Civile spagnola “un gruppo di hacker con sede in Russia e paesi satelliti starebbe creando link permanenti così da avere molte copie per rendere visibili i luoghi delle votazioni, un fatto che renderà impossibile l’azione della polizia e magistratura spagnola nel chiuderli”. La polizia di Madrid aveva infatti tentato, inzialmente riuscendoci, di oscurare tutti i siti che dessero le informazioni su dove recarsi per votare al Referendum. L’articolo conclude infine la sua accusa citando l’attività propagandistica pro referendum fatta da Julian Assange in questi giorni. Il fondatore di Wikileaks è, secondo El Pais, collegato direttamente al Cremlino. Ancora una volta le prove sono inconsistenti È stato poi il giornalista David Alandete, direttore aggiunto di El Pais, a rimarcare le accuse con due editoriali usciti entrambi il primo di ottobre. In entrambi si dà per scontato come la “macchina dell’ingerenza russa abbia intensificato i suoi sforzi sui social media per alimentare le divisioni nelle ultime ore prima del Referendum catalano sull’indipendenza tenutosi domenica”. Alandete elenca poi quelle che dovrebbero essere le “prove” di questa ingerenza. Una di queste sarebbe l’attività di Infowars, un portale d’informazione alternativa gestito dal cospirazionista Alex Jones. Su questo sito sarebbero uscite notizie “fake” apposite per creare disinformazione circa il Referendum catalano. El Pais risulta tuttavia più ermetico nel fornire spiegazioni sul presunto collegamento tra Infowars e il Cremlino. Secondo il quotidiano spagnolo Infowars avrebbe partecipato anche alla campagna di “disinformazione” che avrebbe favorito l’elezione di Donald Trump. Una prova che secondo El Pais è sufficiente a collegare i cospirazionisti di Infowars con Vladimir Putin. Lo stesso impianto accusatorio coinvolge il tabloid The Drudge Report, l’account Twitter @WillyClicks e Hamilton 68. Tutti colpevoli di essere al soldo di Mosca, senza che vi siano però prove a dimostrarlo. Vengono poi accusati i media russi Sputnik e RT per aver pubblicato articoli critici nei confronti del Governo di Madrid. Anche in questo caso viene citato Julian Assange come prova del coinvolgimento russo, nonostante lui stesso abbia sempre negato qualsiasi legame con il Cremlino. Le vere “bufale” ignorate dai media Come in tutti i Russiagate precedenti (quello americano, francese e tedesco) l’impianto delle accuse è insufficiente e i fatti portati come “prove” sono ben lontani dal dimostrare qualcosa di concreto. Risulta poi ambiguo questo atteggiamento da caccia alle streghe tenuto dai media europei nei confronti di un supposto intervento russo. La stessa solerzia tende infatti a sparire quando a ridosso di elezioni si sono verificate ingerenze, quelle sì reali e dirette, di rilevanti attori economici. Su questo portale è stato più volte scritto come alcune delle principali banche e gruppi finanziari della City londinese abbiano creato terrorismo psicologico prima del Referendum sulla Brexit. Previsioni catastrofiche che non si sono poi verificate. Dunque delle vere e proprie “fake news”. Le stesse millantate prima dell’insediamento di Donald Trump alla Casa Bianca. La Russia non ha nessun interesse nel sostenere l’indipendenza catalana A sottolineare poi l’insensatezza delle accuse contro il Cremlino vi sono poi delle ragioni geopolitiche non indifferenti. Sostenere l’indipendentismo catalano sarebbe per Vladimir Putin controproducente in termini assoluti. Sia perché legittimerebbe le velleità di indipendenza curde in Iraq, scatenando così nuovi inevitabili conflitti, in una zona che ha visto un importante impegno russo per la pacificazione. Sia perché verrebbero così legittimati e rafforzati tutti gli indipendentismi presenti nella Confederazione russa. Uno su tutti, quello ceceno. Proprio adesso con il recente “rientro a casa” dei jihadisti da Siria e Iraq, la Cecenia torna ad essere un problema spinoso per Mosca. Sostenere l’indipendentismo sarebbe dunque una scelta più che autolesionista per Vladimir Putin.
Post n°14039 pubblicato il 04 Ottobre 2017 da Ladridicinema
A poche ore dal referendum dell’1 ottobre, vale la pena soffermarsi sullo scenario politico che si è via via definito con maggiore chiarezza nelle ultime settimane a Catalunya. Arroccato nel rifiuto del referendum e nella negazione della dignità nazionale al popolo catalano, il governo del Partido Popular è ricorso alle armi tipiche della propria tradizione politica: la persecuzione giudiziaria per motivi politici, la censura e la sospensione dei diritti civili, culminata nell’ordine di impedire la consulta popolare mediante la creazione di una vera e propria zona rossa, estesa per 100 metri attorno ai seggi elettorali, un repertorio degno degli eredi del fascismo spagnolo. I popolari definiscono illegale il referendum d’autodeterminazione perché modifica la cornice costituzionale: nel 2011 però, quando le autorità europee imposero l’introduzione del principio del pareggio di bilancio nella costituzione spagnola, così da applicare l’austerità neoliberista, il PP e il PSOE cambiarono la carta magna dello stato in una sola notte, in piena estate e senza alcun dibattito popolare, allineandosi immediatamente alla troika. Allora come oggi, popolari e socialisti non consentono che il popolo esprima le propria volontà politica e si trovano schierati fianco a fianco al servizio dei poteri forti. Al servizio di un’oligarchia finanziaria che governa lo stato spagnolo dalla vittoria di Franco e che ha conservato i suoi privilegi anche grazie alle amnesie e alle connivenze di PP e PSOE. Perciò la Fondazione Francisco Franco prospera ancora indisturbata, i monumenti franchisti resistono in molte città e le grandi famiglie arricchitesi sostenendo il fascismo conservano intatto il loro potere. Davanti al blocco radicalmente contrario al referendum dell’1 ottobre, all’interno del quale va annoverato anche Ciudadanos (un partito nato sull’onda della protesta contro la corruzione ma di fatto stampella del PP e alfiere della spagnolizzazione di Catalunya), la sinistra di Podemos ha assunto una posizione quantomeno ambigua. Podemos e la galassia delle proprie organizzazioni federate, nello stato spagnolo e a Catalunya, a parole si dichiarano favorevoli al diritto all’autodeterminazione ma nei fatti sono contrari. Ada Colau ha detto che il referendum dell’1 ottobre è una mobilitazione come molte altre, quando si tratta invece di uno sforzo organizzativo nel quale è impegnato tutto un popolo (dai lavoratori agli studenti, dagli agricoltori ai vigili del fuoco, dai tipografi per la democrazia ai giovani che hanno replicato le pagine web censurate, dagli avvocati contro la repressione alla comunità educativa, dai partiti maggioritari nel Parlamento catalano al governo della Generalitat). Uno sforzo organizzativo genuinamente popolare a coronamento di un lungo percorso di lotta per l’autodeterminazione di Catalunya, che vanta una storia a favore della repubblica e inequivocamente antifascista. Pablo Iglesias ha sostenuto che se fosse catalano non andrebbe a votare (legittimando un atteggiamento d’indifferenza sul tema) e ha sostenuto che se Podemos fosse al governo i catalani non vorrebbero l’indipendenza. Questo invito a non votare, finora mai smentito, colloca di fatto Iglesias su una posizione parallela a quella del PP. Non senza dissensi interni, Podemos assume come inamovibile la cornice istituzionale spagnola (monarchica) e ne condivide in ultima analisi il nazionalismo. Altrimenti coglierebbe l’occasione rappresentata dal referendum dell’1 ottobre per far saltare in aria il blocco di potere rappresentato dal PP e per dichiarare la Repubblica a Catalunya come primo passo per l’apertura di una stagione di cambiamento in tutto lo stato spagnolo, a cominciare da Euskal Herria. Al contrario, Podemos subordina la possibilità di cambiamento a una propria vittoria elettorale, mostrando poco realismo, poca capacità di costruire alleanze e soprattutto esibendo un internazionalismo variabile in funzione della distanza da Madrid. Nel Parlamento catalano e nei quartieri però, la sinistra anticapitalista e indipendentista è organizzata nella Candidatura d’Unitat Popular (CUP) che rappresenta l’anima popolare del movimento per l’autodeterminazione di Catalunya, del quale raccoglie la storica eredità. La CUP è radicalmente impegnata nella costruzione del referendum e nella sua difesa dall’azione repressiva dello stato spagnolo, così come nella difesa del valore storico e del carattere vincolante, a Catalunya come sullo scenario internazionale, della consulta elettorale dell’1 ottobre: è impegnata cioè, nel caso in cui il SI risulti maggioritario, a garantire la proclamazione della Repubblica, così come previsto dalla legge di Transizione approvata dal Parlamento catalano. Oltre a uno scenario più favorevole per le forze della trasformazione a Catalunya e in Spagna, la nuova Repubblica rappresenterebbe anche una straordinaria opportunità per riaprire il dibattito sulla natura dell’Unione Europea e per la costruzione di uno spazio politico continentale finalmente irriducibile alle esigenze del capitale finanziario e imperialista. Uno spazio politico basato sulla solidarietà tra i popoli, che metta in discussione il dogma neoliberista e l’attuale strapotere del capitale, di cui da tempo è evidente la grande necessità. La CUP, schierata con il referendum, ha decisamente preso partito anche per un Europa dei popoli. Lo slogan della propria campagna per il SI, viure vol dir prendre partit, dovrebbe suonare familiare alla sinistra italiana: riecheggia infatti le celebri parole di Gramsci credo che vivere voglia dire essere partigiani. Davanti al referendum dell’1 ottobre la sinistra non può che essere partigiana, lontana dall’indifferenza, e prendere partito per il SI all’autodeterminazione e all’indipendenza di Catalunya.
Post n°14038 pubblicato il 04 Ottobre 2017 da Ladridicinema
Il 30 settembre 1950 nasceva Renato Zero, per lui una vita passata sul palco ed un record di vendite discografiche attualmente imbattuto. Ripercorriamo la sua strepitosa carriera. PUBBLICITÀ Renato Zero nasce a Roma il 30 settembre 1950, compie oggi 67 anni, 50 dei quali passati sul palcoscenico. Era infatti il 1967 quando Renato iniziava la sua carriera discografica. Dopo una lunga gavetta per lui il successo è arrivato nei primi anni ’70 e da quel momento non si è mai arrestato, malgrado qualche frenata d’arresto vissuta nel corso degli anni è sempre riuscito a riemergere e tornare ai vertici delle classifiche di vendita discografica. Proprio a riguardo delle vendite discografiche Renato Zero detiene un record di vendite insuperato. Renato Zero è infatti l’unico Artista ad aver raggiunto in Italia la vetta della classifica ufficiale di vendite discografiche per 5 decenni consecutivi. Vediamo tutti gli album di Zero che hanno toccato la vetta della classifica. Il primo album ad aver toccato la vetta è “EroZero” nel 1979, rimase al primo posto in classifica per ben 9 settimane. Negli anni’80 sono 5 gli album ad aver raggiunto il primato di vendite: “Tregua” nel 1980, primo in classifica per 11 settimane, “Icaro” nel 1981, “Artide e Antartide” del 1981, “Via Tagliamento 1965-70” nel 1982 e “Leoni si Nasce” nel 1984. Anche gli anni ’90 hanno visto Renato Zero molto presente nelle classifiche di vendita. Nel 1993 tocca all’album “Quando non sei più nessuno” raggiungere il primato, stessa cosa nel 1994 per l’album “L’imperfetto” e nel 1999 con l’album live “Amore dopo amore tour dopo tour”. Il suo album più venduto degli anni ’90 rimarrà comunque “Amore dopo Amore” del 1998 che pur non avendo mai raggiunto la vetta della classifica ha vendulto più di 1 milione di copie. Negli anni 2000 sono 4 gli album di Zero ad aver toccato la vetta: “La curva dell’angelo” del 2001, “Cattura” del 2003, “Il dono” del 2005 e “Presente” nel 2009. Anche gli anni ’10 lo hanno visto dominare le classifiche di vendita: nel 2013 con i due capitoli dell’album “Amo”, nel 2016 con l’album “Alt” ed anche nel 2017 con l’album “Zerovskij”. Record allo stato attuale insuperato da altri artisti Italiani e probabilmente anche negli anno ’20 Renato Zero potrà aggiungere un altro tassello a questo personalissimo record per renderlo ancora più difficile da raggiungere e da superare. Intanto rinnoviamo i nostri auguri a Renato Zero augurandogli tanti altri anni di successi discografici. Read more at http://news.fidelityhouse.eu/musica/tanti-auguri-a-renato-zero-67-anni-di-vita-di-cui-50-passati-sul-palcoscenico-301572.html#XH3vqygFiZh5I7Je.99
Post n°14037 pubblicato il 04 Ottobre 2017 da Ladridicinema
Tanti auguri Renato Zero! Il celebre cantautore italiano, nel 2017, compie 67 anni: non che li dimostri, considerando che Renato […] di GRAZIA_CICCIOTTI - 29 settembre 2017 08:29 Tanti auguri Renato Zero! Il celebre cantautore italiano, nel 2017, compie 67 anni: non che li dimostri, considerando che Renato ad ogni apparizione mediatica sembra sempre più giovane e pieno di grinta. Sarà indubbiamente merito del carattere assolutamente particolare di Zero, che viene considerato ormai un vero e proprio ‘cantattore’, o uno chansonnier – diremmo in altri tempi – capace di raccontare i propri testi, spesso ricchi di provocazioni. Eppure, nulla ha fermato Renato, neanche negli anni in cui era più difficile farsi capire: nella sua carriera, ha pubblicato 35 album, di cui 29 in studio e 6 live, e 4 raccolte musicali. Le canzoni scritte sono circa 500, mentre i dischi venduti sono ben 50 milioni: non a caso, è uno degli artisti italiani ad aver venduto il maggior numero di dischi e detiene il record come primo ed unico artista ad aver raggiunto il primo posto nelle classifiche italiane ufficiali di vendita in cinque decenni consecutivi. Brani come Il Triangolo, Cercami o I migliori anni della nostra vita sono del resto ormai iconici e indimenticabili. Dimostrano, inoltre, la grandissima vena artistica di Renato, capace di maturare insieme all’uomo: c’è l’artista, il personaggio e poi c’è semplicemente Renato. In tutti questi anni, il cantautore ci ha mostrato ogni sfumatura di sé, ogni eccesso, ogni emozione. E, anche per questo, è uno dei più amati della musica italiana.
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Inviato da: Mr.Loto
il 28/03/2022 alle 11:57
Inviato da: Mr.Loto
il 15/10/2020 alle 16:34
Inviato da: RavvedutiIn2
il 13/11/2019 alle 16:33
Inviato da: surfinia60
il 11/07/2019 alle 16:27
Inviato da: Enrico Giammarco
il 02/04/2019 alle 14:45