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Il teatro visto da Enrico Fiore

 

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« La rabbia di Licia MagliettaLa pazienza di Enrico Fiore »

La pazienza di Enrico Fiore

Post n°511 pubblicato il 15 Dicembre 2011 da arieleO
 

In merito a quanto riportato nei due post precedenti, rispondo a Licia Maglietta per brevi capitoli. E data la sua lunghezza, divido in due parti anche la risposta.

LA LETTERA
Stavolta, dice la Maglietta, ha scelto di scrivermi, anziché parlarmi per telefono, perché «lo scrivere» le dava «la giusta distanza, che non presuppone la giusta obiettività». Altre volte, invece, la Maglietta aveva scelto di parlarmi per telefono anziché scrivermi, e quasi non riusciva a farlo per la commozione che di continuo la prendeva. E tanto è accaduto nelle circostanze in cui mi telefonava per ringraziarmi dei giudizi entusiastici (vedi, per citare solo un esempio, quelli relativi allo spettacolo «De Ira (viaggio all'Averno)») che le avevo rivolto. Allora, stando alle sue parole, ero addirittura un genio, e dotato di una sensibilità e di una generosità da Guinness dei primati. Adesso, sempre stando alle parole della mia interlocutrice, mi ritrovo all'improvviso con la mente abbuiata, abbandonato dall'intelligenza e preda del livore. E come se non bastasse, son diventato pure un bieco maschilista e un difensore dell'«italietta televisiva». Il tutto esaltato, ancora a detta della Maglietta, dalla mia «cattiva fede». E meno male che è la stessa Maglietta a riconoscere, in apertura della lettera, che «giusta distanza» non è sinonimo di «giusta obiettività». La sua lettera, per chiudere su questo punto, rivela un evidentissimo stato di rabbia incontrollata: altrimenti non si capirebbe perché, poniamo, abbia scritto (sic) innocua con la «q».

I PIEDONI
Mi avevano fatto pensare alle sculture di Botero, e di conseguenza mi era parso che la Maglietta, in quanto regista, avesse dato sviluppo creativo a un'idea originale. Ma lei m'informa che Botero non c'entrava niente, e che si trattava del banalissimo «ridisegno» di un angelo della Cappella Sistina. Non c'è che dire, mi son proprio rincoglionito. E la generosità, ormai, mi è assolutamente vietata.

LA TRADUZIONE
Che fosse di Davide Tortorella la Maglietta ce lo dice solo adesso: dai manifesti del suo spettacolo e dal ciclostilato facente funzione di programma di sala non risultava. E comunque, era molto difficile accorgersene, visto (anzi sentito) che spesso le parole pronunciate sul palcoscenico risultavano - con tanti saluti alle «sottili sfumature» sbandierate dalla lettera - pressoché o completamente inintelligibili.

L'INGHILTERRA DI OGGI
La frase in cui si parla della «piccola folla eccelsa e avariata, spaccato tipico dell'Inghilterra di oggi» è di Bennett. Si riferisce ai suoi personaggi in generale, e l'«oggi», ovviamente, non chiama in causa questo o quell'anno in particolare, ma la nostra - insieme appariscente e fradicia - contemporaneità in generale.

IL TEATRO E IL PUBBLICO
Per riassumere, la Maglietta sostiene di aver portato uno spettacolo «colto e raffinato» in un teatro, il Delle Palme, ridotto a una sorta di corte dei miracoli e davanti a spettatori a loro volta ridotti a «un tubo digerente da cui ingurgitare ed evacuare», del tutto incapaci di «capire» il testo di Bennett e di null'altro preoccupati che di «bere coca cola e mangiare grassi dolciumi seduti in platea». E a parte la preoccupazione per il tasso di colesterolo di quegli spettatori e la discriminazione nei confronti di quanti di loro erano seduti in galleria (che facevano, non gli si permetteva né di bere né di mangiare?), la Maglietta, se non ho capito male, pretendeva che io mi scagliassi sia contro il Delle Palme sia contro l'orda subumana che, a suo dire, vi banchetta sguaiata durante gli spettacoli. E perché avrei dovuto farlo? Io la sera del 9 novembre scorso non ho notato, almeno nel mio raggio visivo, alcuno che bevesse o mangiasse. E poi non era quella (la recensione dello spettacolo) la sede adatta per sferrare l'attacco preteso, anche in ragione dello spazio (47 righe) che mi era stato messo a disposizione. Piuttosto, sarebbe il caso di chiedere alla Maglietta, visto che parla di «strambi e assurdi intrecci di programmazione»: perché c'è andata, al Delle Palme? perché ha accettato di esibirsi davanti al pubblico che con tanta ferocia dipinge? non lo sapeva (se proprio le cose stanno come le dipinge lei) in quale teatro sarebbe andata e davanti a quale pubblico si sarebbe esibita? e non lo sapevano nemmeno i suoi produttori, se non altro quei Teatri Uniti che le faccende napoletane dovrebbero conoscerle a memoria? o è sempre vero che i soldi non hanno odore e che gli abbonati (nel senso di quelli che permettono di elargire ai teatranti una quota degli incassi o un minimo garantito a prescindere dagli incassi) vanno bene anche se nello stesso tempo sono abbonati pure nel senso (di cretini) insinuato dalla Maglietta? e insomma, siamo sempre di fronte alla voglia di avere, insieme, la botte piena e la moglie ubriaca?

                                      Enrico Fiore - 1

 
 
 
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Data di creazione: 16/02/2008
 

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