«Gretel & Gretchen». Questo il titolo del testo di Claudio Buono in scena nel Piccolo Bellini per la regia di Gabriele Russo. E Gretchen è il nome che Gretel ha dato alla mazza con cui picchia sulle gambe e sulla testa di chi tarda a restituirle i soldi da lei prestati ad interesse. Ma è anche il nome di sua madre, perché, spiega Gretel, «i dottori mi dissero di proiettare l'immagine materna su qualcosa che avesse un ruolo positivo nella mia vita».
Insomma, il testo di Buono - vincitore l'anno passato del concorso per nuovi autori istituito da Latella - è una commedia nera che rovescia la celebre fiaba dei Grimm in una dimensione a metà fra il thriller e la seduta psicanalitica. Dalla casetta della strega fatta di dolci Hänsel e Gretel non sono mai usciti, nel senso che di gabbie se ne costruiscono una ad ogni passo che compiono.
La dipendenza dai dolci degli ormai trentenni fratelli costituisce, dunque, una più che evidente metafora. Così come Swidgard - la nipote della strega che li rimpinza di torte e bignè la cui unica magia è quella d'essere pieni di droga - rappresenta un'incarnazione del loro inconscio.
Ma mi affretto ad aggiungere che l'allestimento è di gran lunga inferiore al testo. A parte l'iperbole di quel palcoscenico letteralmente invaso dai dolci, per il resto sembra che Gabriele Russo sia rimasto a guardare, limitandosi a seguire il copione sul terreno del più pedissequo e ininfluente realismo.
Il peggio, però, è che i tre interpreti in campo - Diletta Acquaviva (Gretel), Gennaro Maresca (Hänsel) e Raffaella Pontarelli (Swidgard) - accoppiano l'impegno all'inadeguatezza, proponendo l'opposto di quanto dovrebbero: troppi strilli invece dei mezzi toni, troppe dichiarazioni invece delle allusioni, troppe parole mangiate invece di quelle valorizzate.
Enrico Fiore
(«Il Mattino», 12 febbraio 2012)
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