Pubblico qui di seguito (dividendola in tre parti perché questo blog accetta solo messaggi di un certo numero di righe) l'intervista uscita oggi, a firma di Enzo Ciaccio, sul quotidiano on line «Lettera43.it».
«È convinto che "certe morti sono emblematiche" e che la prematura scomparsa di personaggi come il drammaturgo Annibale Ruccello (che morì a 30 anni) o l’attore Massimo Troisi (che se ne andò a 40 anni) vada interpretata come una sorta di preveggente uscita di scena, anzi un atto di autodifesa "rispetto ai tempi beceri che oggi viviamo e con i quali Ruccello e Troisi mai si sarebbero ritrovati in sintonia".
Enrico Fiore, critico teatrale nato a Napoli, per gli operatori culturali che contano rappresenta il teatro napoletano: ha raccontato - severo e giusto - quello degli Anni 60 dei grandissimi Totò, Nino Taranto, Peppino ed Eduardo De Filippo, e degli Anni 90 di Toni Servillo e Mario Martone ("Lo ricordo all’esordio, aveva 17 anni") e dello stesso Troisi, il cui talento Fiore scoprì grazie a un fortuito passaggio in auto. E quello di oggi, che a lui appare ridotto a "puro scambio commerciale" nel nome della "necessità di assicurarsi la sopravvivenza", ma anche in grado di far riempire gli stadi a interpreti come Alessandro Siani, uno "tutto forma e niente contenuto".
Nell’intervista di Fiore con "Lettera43.it", il racconto e gli aneddoti legati all’epoca d’oro del teatro napoletano e lo sguardo - disincantato - sulla realtà attuale.
DOMANDA. Come ha conosciuto Massimo Troisi?
RISPOSTA. Una sera, dopo uno spettacolo, un giovanotto che ancora non si chiamava Enzo De Caro mi offrì un passaggio in auto. Non ho la patente, accettai. All’arrivo a casa, a Castellammare, il giovanotto disse: "dotto’, faccio teatro con due amici, presto le chiederemo di venire a vederci".
D. Mantenne la promessa?
R. Due mesi dopo, mi telefonò per invitarmi al teatro Sancarluccio. Era il 1977: lui, Lello Arena e Massimo Troisi (il trio de La Smorfia) recitavano in "Così è (se vi piace)", titolo che parafrasava il "Così è (se vi pare)" di Pirandello.
D. Come fu lo spettacolo?
R. Rimasi sbalordito dalla loro originalità.
D. Perché erano così speciali?
R. Rispetto al solito cabaret politicamente schierato, La Smorfia agiva sul linguaggio: demoliva retorica e luoghi comuni su Napoli usando l’iperbole, il paradosso, la dimensione surreale e poi riconduceva il tutto alla quotidianità dell’uomo comune.
D. Qualche esempio?
R. Il monologo con il Padreterno: senza saperlo, Troisi lì fece surrealismo, espressionismo, dadaismo.
D. Le ricordava qualcuno o qualcosa?
R. L’innocenza autodidatta di Raffaele Viviani, il più grande fra gli autori napoletani, che non a caso oggi viene ripreso da nomi di rilievo internazionale come Cristoph Marthaler e Robert Wilson.
Enzo Ciaccio
(1 - continua)
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