Come più volte ho avuto modo di osservare, il vero tema dell'«Otello» non è la gelosia, ma il linguaggio. E lo dimostra per l'appunto il personaggio, Jago, che costituisce il motore dell'azione. Già Giraldi Cinthio - l'autore della novella, la settima della terza decade dei suoi «Hecatommithi», che fu la fonte di Shakespeare - aveva messo l'accento sulle «alte e superbe parole» con cui Jago maschera il proprio «vilissimo animo». E non a caso, poi, dalla stessa Desdemona l'Alfiere viene definito «parolaio» (atto II, scena I).
Infatti, Jago, allo scopo di catturare gl'interlocutori oggetto delle sue trame, spinge la propria capacità di padroneggiare il linguaggio sino al punto d'identificarsi - per essere più convincente - con quello delle vittime prescelte. La prima delle quali, giusto Otello, dovrà quindi constatare: «Perdio! Costui mi fa l'eco; come se nel suo pensiero nascondesse un mostro troppo orrendo per farlo vedere» (atto III, scena III). Ed è qui - ben al di là della trama, abbondantemente melodrammatica - la moderna e geniale consistenza della tragedia in questione: Jago, per trasferire il «mostro» che ha creato nella mente e nell'animo del Moro, non trova di meglio che adottare, appunto, le parole dello stesso Otello.
Con ogni evidenza, siamo di fronte a un'applicazione ante litteram della formula sartriana del linguaggio come «corpo verbale». Ma, rispetto a tanta sottile razionalità, Nanni Garella - regista dell'allestimento di «Otello» che l'Arena del Sole presenta al Mercadante - non sa far altro che mescolare l'ovvietà (scrive nelle sue note che quella tragedia «è un dibattito sulla natura umana») con l'incongruità (ambienta l'intera azione su una spiaggia, compresa l'uccisione di Desdemona su una duna ad onta che si continui a parlare di letto e lenzuola).
Non risultano più congrui, del resto, né le cadenze comiche (forse non volute) che spesso Massimo Dapporto attribuisce a Otello né i sussulti nevrotici o gli ammiccamenti monelleschi (forse fin troppo voluti) che di tanto in tanto Maurizio Donadoni appioppa a Jago. E fra gli altri componenti del cast si distingue appena Federica Fabiani nei panni di Emilia.
Penso, per concludere, al video dell'«Otello» con cui Carmelo Bene, rifiutando i funerali, volle congedarsi dal pubblico: a poco a poco, la faccia di Otello diventava bianca e quella degli altri personaggi sempre più nera; e a un certo punto Jago - lo Jago padrone assoluto del linguaggio, lo Jago «tutto cervello», per ripetere l'aurea definizione di Gabriele Baldini - strappava una pagina da un libro, l'appallottolava e la divorava.
Enrico Fiore
(«Il Mattino», 10 gennaio 2013)
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