Lei, Beatrice, è una narcolettica che aspira a diventare maestra elementare; lui, Roberto, è un cleptomane che aspira a diventare scrittore d'improbabili favole. Non si potrebbero immaginare due tipi più diversi. Ma quando s'incontrano davanti al portone della psicologa dalla quale entrambi sono in cura, ecco scoccare il proverbiale colpo di fulmine che li trasforma in una coppia.
Questo, in estrema sintesi, il plot di «Ti ricordi di me?», la commedia di Massimiliano Bruno presentata al Diana. E dunque, è sin troppo facile capire che vi coesistono un tema superficiale e dichiarato (quello dell'amore che, per l'appunto, vince le diversità) e un tema profondo e mimetizzato (quello della presa di coscienza di sé che ripristina il rapporto con la vita e con il mondo).
Ovviamente, il testo dovrebb'essere capace di fondere i due temi in questione e di stabilire, fra le altrettante dimensioni drammaturgiche ad essi relative, un equilibrio nello stesso tempo significante e funzionale; e, soprattutto, dovrebb'essere capace di attribuire un peso uguale al romanticismo, alla riflessione e alla comicità che la situazione descritta mette in campo.
Ma tanto avviene solo in minima parte. A poco a poco la commedia scivola sul versante del cabaret o, nella migliore delle ipotesi, sul piano della sit-com di estrazione televisiva. E diventa piuttosto macchinosa e ripetitiva, sino ad incartarsi in tutta una serie di sottofinali pleonastici e ingarbugliati, con fughe e ritorni di una Beatrice che si scopre indecisa fra Roberto e il suo fidanzato storico.
Lo spettacolo, allora, si limita a reggersi - stante l'anodina regia di Sergio Zecca - sulla simpatia e la tenuta degl'interpreti: un'Ambra Angiolini spigliata e ironica e un Edoardo Leo che mescola, come deve, guasconerie e smarrimenti.
Enrico Fiore
(«Il Mattino», 5 febbraio 2013)
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