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Addio alla Bianchi, Regina del teatro

Post n°690 pubblicato il 06 Aprile 2013 da arieleO
 

Tra le più grandi attrici napoletane, Regina Bianchi - spentasi ieri nel sonno, a 92 anni, nella sua casa romana - era rimasta l'ultima di loro che avesse recitato sia con Raffaele Viviani che con Eduardo De Filippo. Ed era, oltre che una finissima interprete, anche una donna di carattere, a cominciare dal nome: poiché nel corso di tutta la carriera fu davvero una regina, per una sorta di aristocratico distacco dalle battute, spesso gravate dall'opzione del sentimentalismo, che le toccava pronunciare. E c'entra molto, al riguardo, pure il suo cognome d'arte.
   Lei, leccese di nascita e napoletana d'adozione, all'anagrafe portava il cognome di sua nonna paterna, d'Antigny. Lo abbandonò e lo sostituì con Bianchi a causa delle sanzioni fasciste contro la Francia. Dovette ripiegare su un finto cognome italiano: e a quel punto, spiegava, «preferii sceglierlo il più anonimo possibile». Ma non si può fare a meno di ricordare che si chiamava Bianchi anche quella Brigida che, corrente il Seicento, si distinse ad un tempo come squisita commediante e, addirittura, come autrice di sonetti, madrigali, canzoni, stanze e dialoghi per musica apprezzati perfino da Corneille, Racine e Molière.
   Insomma, visto il tratto aristocratico e orgoglioso di Regina, la scelta di quel cognome d'arte, proprio di quello, non pare tanto casuale. Così come pare un segno del destino la coincidenza fra il suo nome di battesimo e quello del personaggio di «Campagna napolitana», Reginella, nelle cui vesti lei, appena sedicenne, debuttò nella compagnia di Viviani. E accanto a Viviani, cambiando commedia ogni due o tre sere, fu capace di recitare in una sola stagione testi che andarono, tanto per intenderci, da «L'ultimo scugnizzo» a «Tuledo 'e notte» e «'Nterra 'a Mmaculatella».
   Poi, fermatosi per anno don Raffaele in ragione degli ostacoli che al suo teatro opponevano la borghesia e, appunto, il fascismo, ecco subito, per Regina Bianchi, l'altro incontro fatidico, quello con Eduardo. Rimase con lui dal '41 sino alla famosa litigata con Peppino, che, raccontava Regina, «mi addolorò moltissimo». Chiese dieci giorni di riposo e, invece, si allontanò per qualcosa come quindici anni. Ma quando tornò, Eduardo l'accolse a braccia aperte, quasi fossero trascorsi, appunto, solo quei dieci giorni.
   Infatti, le fece interpretare, senza esitazioni, nientemeno che «Filumena Marturano». E altrettanto decisivi furono gli altri titoli eduardiani appartenuti alla Bianchi: «Sabato, domenica e lunedì», «Il sindaco del Rione Sanità», «Ditegli sempre di sì», «Napoli milionaria!», «Questi fantasmi!»... Ma, in seguito, Regina seppe interpretare con uguale bravura anche autori apparentemente lontanissimi da lei come Lorca, Pirandello, Brecht, Goldoni, Maeterlinck e Hochhuth; e, per quanto riguarda il cinema e la televisione, basta citare i ruoli intensi che ebbe ne «Il giudizio universale» di De Sica, ne «Le quattro giornate di Napoli» di Loy, in «Kaos» dei fratelli Taviani, ne «I grandi camaleonti» di Fenoglio e in «Gesù di Nazareth» di Zeffirelli.
   L'ultimo saluto verrà dato a Regina Bianchi lunedì alle 11 nella parrocchia dei Sacri Cuori di Gesù e Maria, nei pressi di piazza Vescovio. Ma voglio concludere questo ritratto con le parole indimenticabili che Regina - come sempre decisa e modesta insieme - mi disse quando, una volta, le chiesi a chi si sentisse più legata, se a Viviani o a Eduardo.
   Non ci pensò neppure un momento, e rispose: «Non saprei scegliere, tra i due. Per me, oggi, sarebbe un'immensa gioia recitarli entrambi. Erano due grandi. Viviani, forse, era più umano. Mi chiamava "Picceré"; e l'unico consiglio che mi dava, prima di andare in scena, era per l'appunto: "Picceré, umano umano". Eduardo era più brusco, forse perché erano cambiati i tempi. Insomma, Viviani mi ha insegnato a camminare (non si fanno certi gesti, non si lanciano certi sguardi...) e Eduardo mi ha portato all'Università».
   Ciao, Regina. Tornerai con noi ogni volta che di nuovo incontreremo la gelida Filumena o l'intrigante Teresa di «Ditegli sempre di sì» o la cupa e amara Amalia di «Napoli milionaria!» o l'imponderabile Armida di «Questi fantasmi!».

                                                  Enrico Fiore

(«Il Mattino», 6 aprile 2013)

 
 
 
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