Tutto può essere considerata, l'Iliade, meno che un testo teatrale o teatralizzabile. Non tanto perché si tratta di un poema epico (ossia di una forma letteraria «chiusa», e fondata, secondo la retorica classica, sull'impersonalità del racconto), quanto, e specialmente, perché la sua materia è il mito: e il mito consiste di due cose che sul palcoscenico risultano assolutamente impraticabili, un'onnivora narratività e i sommovimenti profondi della psiche. Lo seppero bene Ibsen a teatro e Bergman, campione di un cinema per più versi vicino al teatro.
Ma Prospero Bentivenga, Carmen Luongo e Daniele Ventre non si son persi d'animo. E, con la regia del primo, hanno proposto a Villa Campolieto una loro riscrittura che riduceva l'Iliade a un autentico bignami: venticinque pagine di copione, in pratica una pagina per ciascuno dei ventiquattro canti di Omero, e un'ora e dieci di spettacolo. C'è stato bisogno, quindi, d'inventarsi un aedo che di tanto in tanto intervenisse a riassumere il moltissimo (si legga la quasi totalità) del poema che al pubblico veniva nascosto.
Peraltro, giacché l'aedo sedeva per l'appunto fra il pubblico, il suo continuo alzarsi e risedersi non era precisamente il massimo ai fini di una sia pur vaga ipotesi di concentrazione dello spettatore e di fluidità dello spettacolo. Il quale ultimo vantava il debutto come attore teatrale, nei ruoli di Agamennone e Priamo, del regista cinematografico Mimmo Calopresti: la cui inesperienza finiva, paradossalmente, per coincidere con l'immobilità del Potere. Da citare, fra gli altri, Agnese Nano (Ecuba) e Alessandra D'Elia (Cassandra).
Enrico Fiore
(«Il Mattino», 20 novembre 2009)
Inviato da: roberto
il 11/12/2013 alle 16:45
Inviato da: arieleO
il 12/11/2013 alle 09:39
Inviato da: floriana
il 11/11/2013 alle 19:40
Inviato da: Federico Vacalebre
il 16/10/2013 alle 17:14
Inviato da: arieleO
il 16/10/2013 alle 17:10