Lo scopo e i temi dello spettacolo che Gianfranco Jannuzzo propone ancora oggi all'Acacia, «Girgenti amore mio», sono tutti nel titolo, che cita l'antico nome di Agrigento, la sua città natale.
Jannuzzo dice, infatti, che «questo spettacolo è il tentativo sincero e appassionato di dialogare con le proprie radici». E di conseguenza, ecco che nell'impianto scenografico di Salvo Manciagli dilagano i frammenti di colonne dei templi greci, mentre non ci si dimentica di piazzare sulla sinistra l'ingresso e un tavolino del caro vecchio bar di una volta, calamita inesauribile di uomini e storie: gli uomini e le storie che qui l'attore girgentino incastona, per la regia di Pino Quartullo, in un campionario sospeso fra l'iperbole e la cronaca, la risata e la riflessione, lo sberleffo e la tenerezza.
Per esempio, ci racconta il caso del ragazzino pelle e ossa che avvicina un tale intento ad ingozzarsi in riva al mare e, avendogli comunicato che non mangia da tre giorni, si sente rispondere: «Te lo puoi fare il bagno, te lo puoi fare». E specularmente, sul versante dell'attualità più bruciante, compare poi, sempre per fare un esempio, il sindaco di Pizzo Siculo, i cui abitanti si chiamano pizzini. Senza contare il dottissimo filologo che propone una vertiginosa traduzione in greco del verso «Il grillo disse un giorno alla formica», per concludere che Orietta Berti è assai meglio di Esopo.
Infine Jannuzzo tira fuori l'impresa di pompe funebri partenopea che vende un sarcofago egiziano autentico con citofono incorporato in caso di morte apparente. Tanto per ricordarci che tutto il mondo è paese. E a ribadirlo, completano lo spettacolo, garbato e accattivante, le variazioni liriche sulla donna e sul mare siciliani scritte insieme con Angelo Callipo: che è di Caserta.
Enrico Fiore
(«Il Mattino», 22 novembre 2009)
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