Approfittando del fatto che i teatri di prosa hanno concluso la stagione e sono chiusi, ho riempito il vuoto di qualcuna delle mie serate andando al Trianon Viviani. Ho assistito a tre concerti: quello d'addio di Mirna Doris, quello di M'Barka Ben Taleb (con la partecipazione di Gennaro Cosmo Parlato e di Enzo Gragnaniello) e quello della Nuova Compagnia di Canto Popolare. E propongo, al riguardo, alcune brevi considerazioni.
Tanto per cominciare, è un merito non da poco, per il Trianon Viviani, quello di essersi specializzato come teatro della canzone napoletana, e ovviamente della canzone napoletana d'autore. Infatti, il panorama di quasi tutti gli altri teatri napoletani risulta, al contrario, penalizzato e paralizzato da un'annosa e persistente mancanza d'identità: i loro cartelloni si somigliano in misura preoccupante, e non di rado ospitano spettacoli che, come in una vera e propria tournée cittadina, girano da un teatro all'altro durante la stessa stagione; con l'ulteriore aggravante, poi, che si tratta di una somiglianza fondata non su scelte di natura culturale, ma su criteri esclusivamente e biecamente commerciali.
Dovrebb'essere scontato, invece, che - per far fronte alla crisi che investe il teatro in generale - i suoi spazi deputati avrebbero bisogno, appunto, di proporsi come sedi di un'offerta mirata ed esclusiva: è chiaro, tanto per fare un paragone semplice semplice, che alla crisi reagirà meglio il fruttivendolo che offre solo lui gli avocado rispetto a quello che offre i soliti cavoli solitamente offerti anche da tutti i suoi colleghi e solitamente diventati insapori per l'abitudine inflitta al palato.
Il Trianon Viviani, dunque, fa benissimo a corredare il proprio nome della specificazione «il teatro della canzone napoletana». Dobbiamo leggervi non una mera indicazione circa l'attività spettacolare che programmaticamente vi si svolge, ma anche, e soprattutto, la sottolineatura della differenza fondamentale predetta. Come hanno dimostrato, giusto, i tre concerti ai quali ho assistito, è una differenza che chiama in causa i tre cardini su cui, sempre, dovrebbero girare il modo e la ragion d'essere di un teatro: la specificità della proposta, il linguaggio che la sostanzia e la storia degli artisti che di quella proposta e di quel linguaggio sono i portatori accertati e riconosciuti.
Non ho bisogno, adesso, di sprecare parole circa la pregnanza musicale e la comunicativa con gli spettatori che inveravano quei cardini nei concerti di Mirna Doris, di M'Barka Ben Taleb e della Nuova Compagnia di Canto Popolare. Aggiungo solo che, da tal punto di vista, i tre concerti in questione valevano più di almeno venti degli spettacoli di prosa che ho visto nell'ultima stagione a Napoli. E insomma, il Trianon Viviani potrebbe senz'altro ribattezzarsi, icasticamente, «Trianon Viviani, o della canzone».
Enrico Fiore
Per il commento ampiamente lusinghiero ringrazio Enrico Fiore non solo a titolo personale, ma anche a nome del consiglio di amministrazione – il presidente Maurizio D’Angelo e i consiglieri Antonio Coviello e Luigi Rispoli – nonché dei colleghi di lavoro. Le belle parole ci inorgogliscono, ma ci riempiono di responsabilità per un impegno ulteriore nella realizzazione del progetto di dare una casa alla canzone e alla musica napoletana.
Al di là del possibile conflitto di interesse trovo l’articolo ineccepibile. E mi permetto di sottolineare e rilanciare un suo concetto cardine: «la specificità della proposta». Sarebbe cosa buona e giusta se si aprisse in proposito un dibattito: perché le imprese del sistema teatrale e musicale vanno certamente sostenute, ma occorre anche considerare che lo scenario nazionale e locale è caratterizzato da tempo da risorse sempre più esigue e dalla necessità di implementare la cosiddetta «spending review» per migliorare l’efficienza e l’efficacia dell’intervento pubblico.
Paolo Animato
responsabile dell’ufficio stampa&comunicazione del Trianon – il teatro della canzone napoletana