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Il teatro visto da Enrico Fiore

 

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Un Pulcinella che odia la serenata

Post n°618 pubblicato il 07 Ottobre 2012 da arieleO
 

Se nell'ambito della tradizione culturale d'impronta contadina Pulcinella era una di quelle che tecnicamente si definiscono «maschere-anima di morto», con Petito il suo carattere demoniaco, trasferito completamente in questo mondo, diventa - rispetto al contesto urbano capitalistico e all'ideologia che lo connota - un indiscutibile e irriducibile segno di opposizione. E ce ne fornisce una prova esaustiva «'O Paparascianno», la commedia che, in un allestimento diretto da Laura Angiulli, apre la stagione della Galleria Toledo dopo il debutto nella sezione autunnale del Napoli Teatro Festival Italia.
   Basta considerare il modo in cui Pulcinella - qui chiamato a sventare i piani di Ambruosio, che vuol maritare la figlia Rita, innamorata di Frongillo, col vecchio e brutto (ma ricco) Paparascianno del titolo - smonta nella prima scena, e dunque in una scena collocata in posizione fortemente icastica, un archetipo sentimentalistico del calibro della serenata. Finisce, dice, o a mazzate o con sbattute di finestre e balconi o con il lancio di qualche vaso. E bella e significante è l'idea della Angiulli di affidare la serenata di Frongillo a un coro tutto in nero che - affogandoli in una figuratività da Kabarett espressionistico - richiama, insieme, Brecht, Beckett e Ionesco.
   Poi, però, alla regia lo spettacolo sfugge di mano. E tanto a partire dalla resa vocale del testo da parte degl'interpreti: c'è chi, poniamo, adotta la pronuncia corrente del napoletano, chi si compiace delle cadenze di Torre Annunziata e chi riproduce tal quale lo scritto, dimenticando (e davvero non è questione di secondaria importanza) che Petito, semianalfabeta, metteva sulla carta non i codici e le strategie della sintassi e dell'ortografia, ma solo la rappresentazione grafica dei suoni che si sarebbero sentiti sul palcoscenico.
   Ovviamente, per giunta, tale disparità si riflette dal piano vocale su quello formale. Gli attori in campo, tutti molto bravi, dimostrano grande impegno e altrettanta precisione, ma se ne vanno ognuno per conto suo: sempre per fare qualche esempio, Mariano Rigillo (Pulcinella) punta sulla stilizzazione, Marcello Romolo (Pescebannera) e Tonino Taiuti (Paparascianno) si attestano sul versante della macchietta e Alessandra D'Elia (Gesummina) ha guizzi nevrotici da marionetta disarticolata. Evidentemente, si tratta anche di una conseguenza del non indifferente salto generazionale (e di percorso, di scuola e di carisma) fra i più anziani e i più giovani componenti del cast.
   Per concludere, Laura Angiulli dovrebbe ritrovare la lodevole capacità di storicizzazione che dispiegò al suo primo approccio a Petito, l'allestimento, tre anni fa, de «Le dame vienesse Le dame napolitane Le dame apostice».

                                                            Enrico Fiore

(«Il Mattino», 7 ottobre 2012)

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