Ho avuto l'ennesima prova che l'estate non è ancora finita entrando nel carcere di massima sicurezza di Secondigliano. Ma stavolta è stato come un pugno nello stomaco. Ho visto decine e decine di bottiglie di plastica incastrate fra le sbarre dei finestroni: giacché nelle celle non arriva l'acqua calda, e quello è lo stratagemma escogitato per risolvere il problema (quando, appunto, lo permette un sole rovente). Questo, infatti, è ciò che tocca ai detenuti. Mentre si ubriacano d'attesa, non gli resta che reinventarsi la vita e ricostruirsi un'identità.
È quanto tocca, se ci pensiamo, anche a Vladimiro ed Estragone, gli smarriti e pure incrollabili fantaccini del Beckett di «Aspettando Godot». E ben a ragione, dunque, potremmo assumere come epigrafe dello spettacolo «Becker e Godò» - dato, giusto, nell'istituto di Secondigliano, a conclusione dell'ottava edizione della rassegna «Il carcere possibile» promossa dalla Camera Penale di Napoli e coordinata dall'avvocato Riccardo Polidoro - proprio la battuta decisiva che pronuncia Estragone: «Non succede niente, non viene nessuno, nessuno se ne va, è terribile».
Ecco, allora, che già in apertura dell'allestimento - curato da Maniphesta Teatro per la regia di Giorgia Palombi - vediamo mani che dalle quinte strisciano sulle tavole del palcoscenico ad afferrare ogni oggetto, per quanto sconosciuto, che capita loro a tiro; ed ecco, ancora, che sempre all'inizio gli attori si muovono con una benda nera sugli occhi. Se la toglieranno solo quando, trovato in terra il libro con i testi di Beckett, cominceranno a recitare e, cioè, da detenuti (per ciò stesso privati dell'identità) si trasformeranno in personaggi (dotati, al contrario, di un'identità in pari tempo certa e immutabile).
In breve, qui Beckett non è che uno dei tanti possibili tramiti per la riconquista di quell'identità. E si capisce, quindi, che l'aspetto più interessante e rilevante dello spettacolo consiste nel fatto che gli attori in campo lo riducono - il grande, famoso drammaturgo - per l'appunto alla propria misura di detenuti. Dice uno: «Ma chi è 'stu Beckett? Pe' mme è 'nu poco ricchione». E un altro sostiene, convinto, che Vladimiro ed Estragone sono due ergastolani.
Bravissimi Salvatore Carnevale, Salvatore La Rocca, Pasquale Spada e Gaetano Galloro. E davvero impagabile è il levarsi dalla bara di un Beckett anchilosato all'annuncio che, finalmente, quell'impunito di Godot è arrivato.
Enrico Fiore
(«Il Mattino», 9 ottobre 2012)
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