CONTROSCENAIl teatro visto da Enrico Fiore |
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In un museo di Tokyo, dove sono stati trasferiti i capolavori di Vermeer per salvarli dalla guerra civile che dilania l'Europa, s'intrecciano le storie minime di venti personaggi: minime come le loro battute che s'accavallano e si ripetono, spesso ridotte a monosillabi o puri fonemi. Immaginate, fusi insieme, l'aulico cerimoniale del Nô, la cadenza quotidiana del Kabuki, il dialogo surreale di Ionesco e la gelida ineffettualità di Beckett. Ed è questa fusione, poi, che traduce la formula del «teatro colloquiale contemporaneo» in cui il teorico, autore e regista Oriza Hirata, fra i più importanti del Giappone, ha racchiuso la propria idea drammaturgica.
Ne abbiamo avuto un assaggio probante al Museo di Capodimonte, nelle cui sale il Napoli Teatro Festival Italia ha presentato due lavori di Hirata: il «Tokyo notes» che ho riassunto e, in precedenza, «The Yalta conference», nel quale ultimo la formula predetta perviene a un umorismo inzuppato nel fiele, e tanto più corrosivo in quanto scaturisce da dialoghi assolutamente inventati ma fondati su fatti assolutamente veri. Giacché, per esempio, si scontrano uno Stalin convinto che tra le spie di Churchill ci sia anche James Bond e un Churchill che - all'affermazione di Stalin circa i nazisti: «Non sono uomini, quelli, sono bestie» - replica pronto: «Addirittura? Detto da te, fa il doppio dell'effetto».
Come si sarà capito, è questo il più agile e godibile dei due lavori. Basta pensare a quello Stalin che, interpretato da un'attrice, canta sulle note dell'«Internazionale» versi che invitano all'unione e alla mobilitazione non dei proletari ma degli stomaci. E in linea si dimostra il tono formale, fa venire in mente i manga. Più ostico, naturalmente, il lavoro ambientato nel museo, ad onta della bravura degli attori. E infatti, alla «prima», qualche fuga da Tokyo c'è stata.
Enrico Fiore
(«Il Mattino», 4 luglio 2011)
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