CONTROSCENAIl teatro visto da Enrico Fiore |
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«Il tutto ch'è mai stato e poi finì». Sono le ultime parole de «'l mal de' fiori», il vertiginoso poema che dieci anni fa valse a Carmelo Bene l'acclamazione come «poeta dell'impossibile» da parte della Fondazione Schlesinger istituita da Montale. E (ci abbia pensato o meno l'autrice) potrebbero costituire l'epigrafe ideale di «Fosca: vite parallele», il melologo che Luisa Viglietti, la sua ultima compagna, ha dedicato al gran Demiurgo dell'Assenza, presentandolo al San Carlo nell'ambito della rassegna «nonsolopiano». Enrico Fiore («Il Mattino», 26 maggio 2010)
Il testo è tratto per l'appunto da «Fosca», il romanzo incompiuto di Igino Ugo Tarchetti in cui si narra dell'ufficiale Giorgio che, sull'amore limpido e gioioso per la bella e solare Chiara, finisce per innestare quello morboso e disperato per la bruttissima e malata giovane del titolo. Le due donne sono, evidentemente, le facce della stessa medaglia, e talmente opposte che, non potendo ridursi a un unicum, incarnano esse stesse l'idea dell'incompiuto. Tarchetti riassunse l'irriducibile ossimoro nei versi di «Memento!»: «Quando a me stringo il tuo corpo vezzoso, / obbliar non posso, cara fanciulla, / che vi è sotto uno scheletro nascoso».
Ora, io non so se davvero, come asserisce la Viglietti, Bene fece, del romanzo di Tarchetti, «una costante della sua vita di artista e di uomo». Ma indubitabili appaiono le consonanze fra il divino Carmelo e lo scapigliato Igino Ugo. Basterebbe pensare all'ultimo spettacolo di Bene, «In-vulnerabilità d'Achille». Era fondato soprattutto sull'«Achilleide» di Stazio, un'opera anch'essa interrotta, come «Fosca», dalla morte dell'autore. E il trattino che nel titolo separava l'«in» e la «vulnerabilità» indicava proprio la clausura in un'insormontabile «malattia».
Senonché, lo spettacolo del San Carlo, a Bene dedicato, risulta poi esattamente il contrario di quanto lui teorizzò e mise in pratica. E intendiamoci, non è che non siano bravi Lella Costa (voce recitante), Paolo Fresu (tromba) e Roberto Herlitzka (voce registrata). È che qui si precipita nella rappresentazione, mentre Carmelo era contro il «salutismo», contro «l'anima bella dei poeti», contro «i sentimenti», in particolare «l'amore che ci affanna»: in una parola contro «tutto quello che è io, quello che è identità».
Carmelo Bene, insomma, nel teatro - che, come diceva, è «il non-luogo del nostro buio» - si diede allo splendido e orgoglioso esercizio del mestiere di morire dell'attore in quanto tramite di messaggi. E proprio al San Carlo, nell'anno del Signore 1980, citò la Roma di Pasternak: quella «senza burle e senza ciance, / che non prove esige dall'attore, / ma una completa autentica rovina».
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