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Il teatro visto da Enrico Fiore

 

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Il "Fuitevenne" di Marina Confalone

Post n°743 pubblicato il 09 Novembre 2013 da arieleO
 

Soltanto lei - la Marina Confalone che come nessun'altra diede voce al sogno amarissimo della Maria de «Le voci di dentro» - poteva appropriarsi il fatidico «Fuitevenne» di Eduardo sino a farne, addirittura, il titolo del testo che presenta alla Galleria Toledo nella triplice veste di autrice, regista e protagonista.
   L'idea forte che anima queste «tre scene immaginarie di vita e morte a Napoli» è quella di un confronto tra l'immobilità e il parossismo: nella prima abbiamo lo scontro di un camorrista con la figlia demente che si rifiuta al matrimonio d'interesse combinato da lui, nella seconda lo sproloquio di una ragazzina rivolto al bronzeo sorriso immutabile di un pescatorello di Gemito mentre la madre e le sue amiche giocano a carte, nella terza il volo di un giovane filosofo suicida davanti alla «cartolina» col cielo, il Vesuvio e il mare.
   Direi, insomma, che non si poteva rendere meglio, sotto specie di simbolo e di metafora, lo scarto che a Napoli scontiamo fra la voglia eterna di scappare e il misto di affetto e di astenia che ci costringe a restare. E siccome, lo ripeto, l'autrice e protagonista di questo «Fuitevenne» è l'attrice che sappiamo, ecco che il teatro fa continuamente capolino, e continuamente si confonde con la realtà. Vedi le battute: «Che dove sta scritto, dico io, si deve fare a forza 'sto teatro?» e «La parte che mi dette il Capocomico m'ha stancato».
   Si capisce, quindi, che il testo della Confalone trova uno dei suoi più efficaci strumenti espressivi nello slittamento di senso ironico. E anche se contiene taluni «luoghi» scontati o ingenui (come, poniamo, la frecciata contro i «baroni» universitari o la citazione di Che Guevara), gli stessi, in ogni caso, passano in secondo piano di fronte al preciso paradigma espressivo disegnato dalla regia.
   Nell'atmosfera di sospensione determinata dalle musiche di Paolo Coletta, i personaggi si stagliano nel vuoto e nel nero quali perfetti equivalenti degli scarsi arredi: e proprio perché costituiscono delle semplici «funzioni» rispetto alle variabili del problema (giusto il dilemma: fuggire o restare?) posto sul tappeto. E l'acme, in tal senso, si raggiunge con quella mamma e quelle amiche ridotte a fantasmatiche sagome proiettate su un velatino e connotate soltanto da battute registrate.
   Ottima, infine, la prova di Marina Confalone in quanto attrice. E per quanto risultino più scolastici i comprimari Giovanni Martino e Mario Di Fonzo, parliamo comunque di uno spettacolo da vedere.

                                                          Enrico Fiore

(«Il Mattino», 8 novembre 2013)

 
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Utente non iscritto alla Community di Libero
floriana il 11/11/13 alle 19:40 via WEB
Caro Maestro Fiore, condivido ( per quello che vale) la sua recensione; però le propongo la sensazione che la chiusura di questo sipario mi ha lasciato : nella nostra condizione ed in questo preciso momento non sarebbe forse più interessante riflettere sulle accezioni del verbo "restare" piuttosto che sul tema della fuga? Conservo la speranza che fosse questo anche il desiderio di Eduardo. E' stato proprio un piacere incontrarla. Con la consueta stima Floriana
 
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