CONTROSCENAIl teatro visto da Enrico Fiore |
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«Orlando» di Virginia Woolf - adesso in scena al Diana, col titolo «La commedia di Orlando», nell'adattamento e per la regia di Emanuela Giordano - costituisce l'autoritratto che la scrittrice inglese realizzò guardandosi nello specchio rappresentato da Vita Sackville-West, il suo amore omosessuale. E non a caso, dunque, il personaggio protagonista del romanzo, per l'appunto Orlando, si risveglia da uno dei suoi ricorrenti letarghi trasformato in donna.
Del resto, il sonno e la mutazione si riferiscono anche all'altro aspetto fondamentale del romanzo, ossia alla struttura e alla scrittura anfibologiche che lo connotano: l'eroe/eroina della Woolf - vivendo dalla fine del '500 all'11 ottobre 1928, data di pubblicazione del libro - riflette le stasi e le capitali trasformazioni sociali e letterarie occorse in Inghilterra durante quei tre secoli e mezzo.
«Orlando», quindi, procede sul piano di una radicale e onnivora pulsione introspettiva: fino a rivelarsi come un'allegoria della metempsicosi, particolarmente popolare (vedi il «Viaggio dell'anima» di John Donne) nell'epoca elisabettiana. Senza contare la rivendicazione dei diritti delle donne letterate, d'altronde ribadita nel 1981 da «Quim-Quima», la riscrittura di quel romanzo ad opera della catalana Maria Aurèlia Capmany.
Ma, come volevasi dimostrare, rispetto a tutto questo lo spettacolo proposto al Diana si riduce a un innocuo riassuntino narrativo, calato in una cornice formale a metà fra «Alice nel paese delle meraviglie» e «Le mille e una notte» con annesse pantomime clownesche e il corredo di qualche prevedibile (e datatissimo) pistolotto femminista.
Dal canto suo, Isabella Ragonese, aggrappandosi alla buona volontà, tira fuori un Orlando che tiene, insieme, del monello bizzoso e della suffragetta svagata. E insomma, non è che gli spettatori ci si raccapezzino molto. In fondo la verità la dice proprio Orlando: «Ah! la trama è un vento che si perde...».
Enrico Fiore
(«Il Mattino», 25 aprile 2012)
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