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GLI IDEALI NON PASSANO DI MODA

Post n°43 pubblicato il 30 Ottobre 2008 da POLIKORE

PREMIO SCRITTURA PER LA PACE E I DIRITTI UMANI 2008  - REGIONE ABRUZZO

GLI IDEALI NON PASSANO DI MODA

GLI IDEALI NON INVECCHIANO MAI E NON PASSANO MAI DI MODA , ESISTONO SEMPRE NEI CUORI E NELLE
STORIE DI CHI LI HA VISSUTI
.

  Art.1 Dichiarazione Universale dei diritti
dell’uomo

Tutti gli esseri umani nascono liberi ed
eguali in dignit
à e diritti. Essi sono
dotati di ragione e di coscienza e devono agire gli uni verso gli altri in
spirito di fratellanza.

Ecco io sono figlia di questi ideali, io non ho vissuto la guerra, ma la porto dentro nei racconti dei miei parenti, delle mie zie e dei miei nonni, degli amici che ora non ci sono più, ma che quando ero piccola mi intrattenevano vicino a una vecchia stufa a legna e, mentre bolliva la moka con il caffè per i grandi, mi raccontavano delle storie di
guerra e d’amore. Quell’amore per le donne di altre patrie e per gli ideali di libertà e giustizia, che hanno dato loro la forza di vivere e sopravvivere a terribili avversità.

Il 25 aprile del 1945 morì nonno Giacomo, in un sanatorio dove era finito in seguito alle sevizie subite per non aver rinunciato ai suoi principi, per aver aiutato ,
soccorso e nascosto dei paracadutisti inglesi, per non aver detto dove erano e dove si nascondevano i suoi compagni
della Brigata Garibaldi, morì senza sapere che il suo sacrificio non fu vano.

Nonno Giulio , invece, era attendente del Re e lo
aveva seguito in Grecia, non amava la guerra , ma seguiva
la Corte e portava i ravioli al “plin”, col pizzico, quelli
veri piemontesi, li portava a cavallo da Torino al fronte perché il Re non
poteva mangiare altro. Nonno Giulio è morto centenario, aveva anche lui ideali
di libertà e uguaglianza , ma appena poté rientrò in Patria e si occupò dei
suoi noccioleti fino all’ultimo giorno della sua vita. Lo trovammo riverso
sotto il nocciolo più grande, un bel giorno di primavera.  Volevo bene a tutti e due, se non altro nonno
Giulio mi poteva raccontare e incantare, lui aveva preferito la vita e mi
diceva della morte e della guerra con infinita tristezza, come una cosa che
ormai non lo riguardava più e gli si velavano gli occhi solo quando ricordava i
suoi compagni che , invece ,non avevano potuto scegliere, loro, mi diceva
cinicamente , erano sicuramente tutti uguali sotto tre metri di terra.

Storie diverse di un’unica tragedia.

Di nonno Giacomo mi rimane una sbiadita fotografia
a cavallo , la Croce di guerra e qualche laconica  riga in un libro sui partigiani liguri.

La sua è una storia strana, da piccola mi chiedevo
perché mentre mi parlavano in italiano io rispondessi in greco. Mi ha cresciuto una nonna greca:
mentre la mamma era intenta al lavoro io rimanevo con lei , ero molto piccola ,
ma mi ricordo tutto quello che mi ha detto con impressionante lucidità.


I suoi racconti erano a volte tristi e pieni di rimpianto, altre volte rabbiosi e colmi di astio nei confronti degli
invasori.

Lei, fiera discendente delle amazzoni fondatrici
della sua città natale, aveva dovuto scappare in Italia con il marito, dopo l’ennesima sanguinosa incursione da parte dei turchi nei
confronti dei cristiani .

 …”Cleanthy
(questo è il mio nome greco), mi diceva , nessuno può toglierti la libertà o
farti sentire diversa o inferiore agli altri, ricordati cosa abbiamo passato
per conquistare la  dignità: hanno
trucidato i nostri famigliari e violentato le nostre donne!  Il giorno che partii  Smirne in fiamme illuminava il cielo nero di
fumo, mentre il sangue dei martiri colorava il mare antistante….” E una lacrima
le solcava il viso rugoso, ma in un attimo i suoi fiammeggianti occhi verdi
riprendevano la fierezza di un tempo di quando donna, ormai vedova e sola con coraggio,
aveva dovuto affrontare terribili privazioni e sofferenze in un paese
straniero. In Italia negli anni venti la propaganda fascista prometteva nuova vita per gli italiani di
Grecia, coloro che sarebbero rientrati ,
all’epoca della ricerca del  “consenso”
politico di cui parla Renzo De Felice nei suoi testi, avrebbero avuto case e
lavoro.

Mio nonno era  nato in Turchia , a Istambul , da padre
italiano e madre austriaca. In quel Paese straniero, che aveva accolto il
bisnonno fuoriuscito dalla Liguria  a seguito dei moti genovesi del 1848, aveva una fiorente attività di produzione
di piastrelle di ceramica. Il bisnonno era tra i fondatori della Società
operaia di Istambul, di cui Garibaldi era presidente onorario. Con queste
premesse non poteva essere altro che un  socialista. Idealista e conoscitore di sette
lingue, decise di abbandonare tutto e di rientrare in Italia per salvare la
nonna e sostenere il governo di Mussolini.

Poteva contare sul sostegno di uno dei suoi  sette fratelli sparsi per il mondo, che  sarebbe rientrato in Vaticano dal Madagascar
dove era missionario delle “Scuole
Cristiane”, Nunzio Apostolico ed insegnante di lingue orientali.


Invece, in Italia vennero
accolti in un campo profughi,  trattati
come delinquenti della peggiore specie, costretti a corrompere dei funzionari
per  avere un lasciapassare. Si misero in
viaggio per raggiungere
la Liguria, patria natia degli avi del
nonno, dove speravano di trovare la vecchia casa . Manco a dirlo un parente,
forse un cugino, aveva occupato le proprietà con la scusa che non gli erano più
arrivati i soldi delle tasse.

Chiesero gli aiuti governativi
promessi , la casa, il lavoro. Gli impegni furono mantenuti solo in parte , vennero alloggiati
in una caserma adibita a civile
abitazione , in realtà una specie di “ghetto”.

Il nonno ben presto si
accorse che le sue aspettative e i suoi sogni non si sarebbero potuti compiere nell’Italia fascista e seguì invece
altri ideali di libertà , si affiliò ai partigiani e fu imprigionato per motivi
politici , morì nell’aprile del 1945 a
seguito delle torture subite in carcere da parte dei nazi-fascisti , con la motivazione
principale di aver nascosto e aiutato dei paracadutisti inglesi.

I racconti di questa amara
esperienza esistenziale hanno costellato la mia infanzia e la mia giovinezza,
ma mi hanno insegnato che la libertà , la democrazia , la dignità umana sono
gli unici ideali per cui vale la pena lottare e che la conoscenza e il rispetto
delle differenze culturali avvicinano le persone e i popoli: si impara più
dalle differenze che dalle uguaglianze.


E’ l’ignoranza che genera
la diffidenza, il non conoscere o non volere conoscere l’altro , lo straniero.
Non per niente la matrice etimologica della parola straniero è la stessa di “strano” “strambo”, lo
strano che  fa paura , un qualcosa di
diverso che entra nel mondo conosciuto e
lo destabilizza.


Mia nonna non riuscì mai
ad imparare bene l’italiano,  non veniva
neanche ammessa in Chiesa, ma aveva Fede, davanti alle sue Icone antiche ardeva sempre un lumino ed insieme dicevamo
le preghiere. Non venne accolta  correttamente,
né dalla società né dalla comunità religiosa , rimasta presto sola, vedova con
sette figli, fu vittima di dispetti e di
emarginazione, anche se lo Stato , in seguito riconobbe il sacrificio del marito
 Partigiano e, per quanto possono le
Istituzioni, le furono vicino . Però, per quanto facciano non  sono capaci di  restituire una vita, per lei e i suoi figli
dopo la guerra tentarono comunque una via di accoglienza.


Si sa le istituzioni non
sono solo mattoni e scrivanie, le istituzioni sono persone che seguono le alterne
vicende delle loro stesse vite e sono l’espressione del loro vissuto.


Gli aiuti, quelli concreti
rimangono , ma i sorrisi sinceri e la compartecipazione al dolore altrui , sono
tutta un’altra cosa.


Fu appagata, in seguito,
dalla riuscita sociale e lavorativa dei
figli e dalla certezza che la dipartita
del marito non fu vana.


Perché il raggiungimento
degli scopi politici e degli ideali di una generazione, scaturiti dal dolore e
dalla morte, hanno trovato compimento e sono stati riuniti sia nella Costituzione
italiana che nella Dichiarazione dei diritti universali dell’uomo, di cui
quest’anno ricorre il 60° anniversario: furono entrambe promulgate nel 1948.


Nel 1986 fui
tra le prime donne a vincere il concorso pubblico come Agente della Polizia di Stato,
a parità di stipendio, lavoro e carriera degli uomini, in un Paese ormai democratico in cui la pace , la parità
e le pari opportunità sono il motore della società, in un Paese dove la dignità
umana viene rispettata e dove lo straniero è accolto come un fratello.


La scelta della mia
attività lavorativa , per quei tempi anti-conformista, fu senz’altro dovuta al mio vissuto e al mio desiderio
di aiutare e di collaborare con la gente: indossare quella Divisa doveva
significare che lo Stato era garante dell’accoglienza , che era vicino alla
gente, che l’Uniforme non doveva spaventare o allontanare, ma avvicinare.


Per mio nonno sarebbe
stato sicuramente fonte di orgoglio il vedermi schierata a giurare fedeltà alla
Patria davanti al Presidente della Repubblica, a quella Repubblica per cui lui
aveva lottato, con onore e dignità , fino
alla morte.



 


 


 


 


 


 


 


 


 


 


 


 


 


 


 


 


 


 


 

 
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