Creato da Cane_nero il 29/10/2004
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Lo spirito vendicativo di F. Pessoa

Post n°1100 pubblicato il 20 Dicembre 2005 da Cane_nero
 
Foto di Cane_nero


Fine.

Finalmente, la parola fine. Da quanti mesi lavorava a questo scritto? Troppi probabilmente, ma come dedicare meno tempo a un’opera nella quale aveva infuso tutto se stesso?
Era contento di avere finito. Frasi, poesie, pagine scritte nel corso di anni, pagine liete ed amare, non era stato facile rimetterle insieme, trovare un filo logico, forse non ci era neppure riuscito. Ma che importava? Aveva messo una parola fine, aveva salvato per l’ennesima volta il documento di word e l’aveva spedito via email a qualche amico, come faceva sempre, per sapere se quelle pagine davvero potevano comunicare qualcosa anche ad altri che non fossero lui.

Il giorno dopo ricevette una telefonata.

- Pronto?
- Ciao Roberto, sono Nino. Ho letto la tua ultima fatica letteraria.
- Ah bene… e dimmi, ti è piaciuta?
- Ti ho chiamato appunto per dirti che mi ha colpito moltissimo. Certo è frammentaria e non è facile trovargli un ordine logico, però è comunicativa, e ha in sé immagini folgoranti. Sai che mi ricorda Pessoa?

Esagerato. Beh, Roberto ne fu estremamente lusingato, tanto che cominciò anche a dirlo un po’ in giro “mi han paragonato a Pessoa”. Figo. La gente ne era sorpresa, ci rimaneva quasi male. “Pessoa, però!”

Però…

Roberto, a dire il vero, non aveva mai letto nulla di Pessoa. Sapeva vagamente che era un poeta e scrittore portoghese e che era vagamente pazzoide. Si era creato non so quante personalità. Ah, e lo citava Pieraccioni nel film de “Il Ciclone”. “Pessoa… quell’ometto basso curvo e con i baffetti?”.
Magari era meglio se si comprava qualcosa. Una raccolta quantomeno. Un altro giorno però, che oggi c’è questo impegno, domani un altro e insomma si sa, le cose vanno così, passano settimane e alla voce Pessoa nella sua libreria continua a non apparire nulla, mentre la gente continua a chiacchierare “si l’ho letto, effettivamente ricorda Pessoa!”.

E così Roberto si gode la sua piccola fama, meritata certo, e i suoi non troppo meritati paragoni illustri. Cerca su internet e di Pessoa trova qualche poesia e qualche citazione. Mica male sto vecchietto. Cerca anche le foto, ed effettivamente Pieraccioni aveva ragione. Basso, curvo, con i baffetti. Brutto, ecco.

- Roberto, ma è vero che ti paragonano tutti a Pessoa?
- Certo, magari il paragone è eccessivo ma dovete ammettere che almeno in una cosa lo supero. Io son molto più bello.



Pessoa, come tutti i veri scrittori, è morto. Ma pure se morto resta sempre ben vivo nelle menti di chi continua a leggerlo, rileggerlo ed amarlo. E la voce di questo giovane aspirante scrittore aretino che viene paragonato a lui lo raggiunge. Raggiunge il suo spirito, in quel momento impegnato in tutt’altra vicenda, e lo interessa. Certo che lo interessa.

Come tutti i morti, a Pessoa basta poco per scoprire chi è Roberto, dove abita, cosa ha scritto, perché l’ha scritto e soprattutto che non ha in libreria neanche uno squallido libretto con “il meglio di Pessoa”. Che rabbia. Come si permette questo tizio di usare il mio nome?

E come tutti i veri scrittori morti, Pessoa è parecchio incazzoso e vendicativo.



Roberto dorme placido e beato. Quella sera una tizia gli ha fatto i complimenti per la sua opera. Molti complimenti. E quella tizia porta la quarta di reggiseno e ha due occhi azzurri talmente belli che vorresti fossero tre. Magari una sera potrebbero uscire insieme a bere un bicchiere di Porto, a parlare di letteratura e di Pessoa. Magari… Roberto dorme e sogna. Ed ecco Pessoa.

Pessoa non è più tanto piccolo e curvo, nel sogno. Pessoa è un gigante? Si erge minaccioso dall’alto della sua statura letteraria sopra il povero corpicino di Roberto, e lo terrorizza con velate minacce e un malcelato disprezzo. Ma non è tanto quello che dice ad essere terrorizzante. E’ come lo dice. In portoghese, tralaltro, ma Roberto lo capisce lo stesso perché nel sogno è possibile fare questo ed altro, e comunque Pessoa è abbastanza chiaro, come tutti i latini.

Roberto si sveglia. Assurdo, pensa. Gli è rimasto un minimo di terrore, ma si rimette a dormire. In fondo non ha sognato zombie né vampiri.

Pessoa ridacchia. Forse sono peggio di entrambi, pensa. Ma per il momento si accontenta.

La giornata successiva trascorre tranquilla, e Roberto non ha modo di parlare con nessuno della sua opera. A sera, quando torna a casa stanco, si è quasi dimenticato del sogno della notte precedente. Prima di mettersi a letto si fa una doccia, poi si guarda allo specchio e invece della sua solita figura gli pare di vedere un ometto curvo, basso e coi baffetti che lo guarda torvo. Si stropiccia gli occhi, c’è ancora molto vapore e ha molto sonno. E quando torna a guardare lo specchio a ricambiare il suo sguardo c’è la solita faccia di ogni giorno.

La notte è agitato, ma non sogna. Al mattino riparte per la città. Si mette anche un po’ in tiro, perché deve pranzare con la ragazza dei complimenti della volta prima. Quella con la quarta di reggiseno. Quantomeno ci prova a mettersi in tiro, perché qualsiasi cosa indossi o comunque si sistemi i capelli non riesce a non sembrare un tantino strapazzato. Il pranzo arriva comunque, e lei si accorge che Roberto non sembra affatto un uomo rilassato.

- Hai dormito male stanotte?
- Già.. sto cercando di diventare un poeta maledetto.
- Come il tuo idolo Pessoa?
- Già, mi ispiro a lui.

Pessoa, come era inevitabile, non la prende affatto bene. Già che non ha mai letto un suo libro, va bene che accetta i paragoni con un certo orgoglio, ma in fondo fino ad allora non è che avesse fatto questi grandi sgarri. Ma si sentiva che il peggio doveva ancora venire, e ha fatto bene ad intervenire personalmente. Ora lo definisce “suo idolo”, e inoltre…

Arriva la notte.

- IO NON SONO UN POETA MALEDETTO! – Pessoa è talmente alterato che si dimentica pure di parlare portoghese.
- Ma… io… chi sei?
- Ma come, non riconosci il tuo idolo Pessoa?
- Oh Cristo, ma cosa ho mangiato per fare questi sogni?
- Se avessi letto le mie opere ora sapresti che Cristo o Visnù o Elettra per me pari sono, e puoi appellarti a chiunque tu voglia. Stai sognando, ma non stai sognando. E non ti sveglierai se io non lo vorrò, e per il momento non voglio lasciarti, quindi i pizzicotti sono inutili.
- Non ci sto capendo niente.
- L’ignoranza è spesso salvezza, ma in questo caso non è una scusa. Sei stato dichiarato colpevole in un processo nel quale io ero parte lesa, testimone d’accusa, pubblico ministero, giudice e giuria.
- E il mio avvocato difensore?
- E’ morto. Come sono morto io, del resto, quindi si può dire che ero io anche lui. Comunque non è servito a niente.
- Ma quali erano i capi d’accusa?
- Troppi per nominarli tutti. Comunque in breve, mi hai mancato di rispetto e non hai neppure letto niente di me.
- Veramente ho scaricato…
- Quello non conta! Ai miei tempi internet non esisteva e quindi non esiste neanche ai fini del processo.
- Cosa devo fare… mi spiace, giuro che non lo farò più.
- Non basta.
- E allora quale è la pena?
- Intanto, stai dormendo male. Poi oggi non hai fatto una buona impressione sulla tizia, non accetterà più di vederti, fidati, io che sono morto certe cose le sento. E da ora in poi devi cambiare registro.
- Lo farò.
- Promettere non basta!
- E cosa devo fare allora?
- Non fare. Devi schernirti. Modestia, ci vuole. Ammetti la tua ignoranza o leggi in una notte tutte le mie poesie, comprese quelle inedite che solo io e il mio gatto conosciamo.
- Avevi un gatto?
- No, e comunque ora non c’entra.
- Capisco…
- Spero che tu capisca davvero. O tornerò. E questa volta i tuoi sogni saranno peggiori della vita reale.

Pessoa non tornò. Roberto capì la lezione e non si paragonò più a lui, neppure quando ebbe letto un buon novanta per cento delle sue fatiche. E non permise neanche agli altri di farlo. Ogni tanto pensa a quella notte con timore ma anche con un certo rimpianto. Aveva parlato con Pessoa, oppure…

“Sarà mica stata colpa della peperonata?”

 
 
 
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