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L’essere umano nasce con la predisposizione, l’attitudine ad essere empatico ma, l’esperienza empatica vera e propria è il risultato di una “maturazione personale”. Fromm la considera come un “nome dell’amore” perché vista come un bisogno vitale. Senza il pieno soddisfacimento di esso condurremmo delle esistenze vuote e spente. Alla base del sentimento empatico vi è l’esigenza di essere riconosciuti e amati da qualcuno speciale che merita le nostre attenzioni e la nostra considerazione. Il bisogno del riconoscimento nasce dal fatto che nessuno nel corso della propria esistenza riesce a percepirsi in maniera completamente nitida. Ci è offerta del nostro essere solo una visione di noi stessi fatta di “ombre” ma, è attraverso l’introspezione che l’uomo impara a “calarsi nei panni degli altri”.
L’introspezione ci aiuta a fare chiarezza su ciò che siamo; ci invita ad ascoltarci. Spesso in questa avventura l’Altro ci fa da Guida e Complice. L’Altro si presenta al nostro cospetto come qualcosa di misterioso ed enigmatico che non possiamo fare a meno di scoprire ed esplorare perché il suo mondo vitale è oggetto di analisi da parte nostra. Questa esplorazione nel mondo dell’Altro ci induce inevitabilmente a fare i conti con noi stessi scoprendo somiglianze o addirittura differenze. Non dobbiamo dimenticare che la nostra esistenza si ciba di affetti, emozioni e sentimenti.
Secondo il pedagogista Antonio Bellingreri la natura dell’empatia è paradossale. L’esperienza empatica può essere analizzata sotto due prospettive. Da una parte l’empatia è ritenuta una “capacità innata” che sembra essere data in dotazione, in eredità. La si può considerare un “dono offerto dalla natura umana”, utile per la propria esistenza. Empatici lo si può anche diventare esprimendo al meglio la dote che riceviamo dalla nascita. Lo si diventa grazie alle esperienze che durante la vita facciamo, alle persone che incontriamo e con le quali costruiamo relazioni significative. C’è chi questa dote la potenzia e la coltiva e c’è chi la lascia dentro di sé inespressa. Spetta a noi farne di essa un dono da potenziare e da consentire di diventare una nostra caratteristica per affrontare l’esistenza in maniera benefica e mirante all’autorealizzazione.
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