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Alessandro Fantini

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Linea Gustav e altre storie oltre la Storia

Post n°76 pubblicato il 27 Ottobre 2011 da afantini

 

 

A ben vedere le storie più bizzarre e inverosimili sono frutto della realtà più che della fantasia, o perlomeno è quest’ultima ad essere spesso febbrile ancella delle stravaganze della prima.  Il primo decennio del ventunesimo secolo ne è stata una flagrante conferma, a partire dai fatti irrazionali dell’11 settembre alla follia di una crisi economica della quale nessuno riesce ancora a diagnosticare in maniera oggettiva le cause logiche. E’ come se, fenomeno ben singolare, solo attraverso la meditata stramberia della creazione artistica, quegli stessi fatti realmente accaduti tornassero ad essere plausibili all’interno della cornice razionale del racconto di fantasia. Così la penuria di significato col quale si manifestano nella quotidianità viene colmata dall’ordine estetico concepito dall’artista, che in tal modo li redime restituendo a queste vicende un valore epifanico precluso al linguaggio del racconto storico o documentaristico. Quando nel 2004 realizzai le tavole di “Linea Gustav” non stavo facendo altro che attingere al soggetto di un episodio realmente accaduto narratomi anni prima da mia nonna.  Nell’inverno del 1943 l’occupazione nazista si era spinta fino al centro Italia, attestando il suo confine lungo l‘infausta Linea Gustav che dal fiume Sangro in Abruzzo alla foce del Garigliano in Campania tagliava in due tronconi la penisola. Prima della ritirata di fronte all’avanzare delle forze alleate, i terreni e le strade circostanti la mia abitazione paterna nella Val di Sangro vennero disseminati di mine anticarro. Stando alle testimonianze di mia nonna e di mio padre che allora era un bambino, invece che per uomini, automezzi o carri, una di quelle mine si rivelò letale per un cane randagio che in quei giorni vagabondava nella zona in cerca di cibo. Dopo la fragorosa detonazione i brandelli del cane si sparsero in un raggio di varie decine di metri fino all’ingresso della mia abitazione. L’aneddoto, per quanto all’apparenza marginale rispetto all’enormità della tragedia di quel periodo storico, mi colpì profondamente per la sua grottesca efferatezza, anche perché io stesso da bambino ebbi modo di assistere alle più disparate e truculenti morti di gatti e cani dilaniati dalle auto in corsa sulla strada di casa (ricordo ancora la scena da “splatter-movie” della materia cerebrale di un gatto travolto da una macchina che schizzava contro i fustini di detersivo esposti allora davanti al negozio di mia madre). In un certo senso, l’assurdità di quella morte mi appariva come il simbolo atemporale della crudeltà e della pazzia umana. L’idea di onorare la memoria di quel cane attraverso l’invenzione di una storia che lo ricompensasse di un nome e di una missione continuò a fluttuare per molti anni nella mia mente.

 

 

 

 

 
 
 
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