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Post N° 34

Post n°34 pubblicato il 08 Gennaio 2009 da giovannydelprete


Il dopoguerra


Come cambiano i
Carabinieri



Ferruccio Parri, capo del governo per sei mesi, dal giugno al dicembre 1946Il decreto
legislativo luogotenenziale n. 603 del 31 agosto 1945
stabilisce che l'Arma dei Carabinieri comprenda: un Comando
Generale, tre comandi di Divisione, sei comandi di brigata, 21
comandi di legione territoriale, una scuola centrale, una
Legione Allievi, quattro comandi di raggruppamento di
battaglioni mobili e 12 battaglioni mobili. Il decreto dispone
inoltre che alla legione territoriale di Roma siano
subordinati un gruppo squadroni carabinieri ed uno squadrone
guardie dei re. Alla dipendenze della Legione Allievi viene
posta la banda dell'Arma.


Rispetto all'organigramma con cui si
era entrati in guerra (fissato con la legge n. 368 del 9 maggio
1940) sono spariti: il comando Albania, uni brigata, sette legioni
territoriali ed il gruppo per l'Egeo. Queste rinunce sono dovute
non soltanto alle perdite territoriali imposte da un relativamente
oneroso trattato di pace, ma anche alle mutate esigenze di
servizio. I battaglioni risultano infatti triplicati poiché devono
controllare una situazione socio?politica particolarmente
agitata.


La forza organica, con un tetto di
65 mila uomini, include: 2.306 marescialli maggiori, 3.757
marescialli capi e d'alloggio, 4.7,53 brigadieri, 3.164
vicebrigadieri, 6.636 appuntati, 39.165 carabinieri e 3.151 allievi
carabinieri. Restano 2.068 ufficiali che non sono menzionati, ma il
provvedimento reca la riserva di introdurre con successive
disposizioni i ruoli appositi e le riduzioni necessarie.


il processo a Herbert Kappler, il boia delle Fosse Ardeatine. Condannato all'ergastolo, fu protagonista di una clamorosa fuga dal carcere del Celio nell'estate 1977A integrazione
del decreto n. 603 del 31 agosto 1945, il decreto n. 857 del 9
novembre 1945 emana le norme relative al reclutamento della
truppa, reintroducendo la ferma di tre anni per i carabinieri
effettivi e la leva di 18 mesi per i carabinieri
ausiliari.


Ovviamente il reclutamento degli
effettivi non può essere affrontato con criteri di neutralità: per
l'Arma, come per tutta la pubblica amministrazione, si pone un
problema relativo alle persone coinvolte nella Repubblica di Salò.
Nel luglio 1944 un decreto legislativo luogotenenziale ha
introdotto principi severi in materia di epurazioni, stabilendo con
l'art. 17 che "gli impiegati pubblici che dopo l'8 settembre 1943
hanno seguito il governo fascista o gli hanno prestato giuramento o
hanno collaborato con esso sono dispensati dal servizio".


Nel maggio 1945, dopo che il Comando
Generale ha invitato (con ampia pubblicità sui quotidiani) i
carabinieri sbandati che non abbiano prestato giuramento alla
repubblichina GNR (Guardia Nazionale Repubblicana) a presentarsi
nelle caserme di appartenenza, viene annunciata un'inchiesta per
stabilire le responsabilità individuali di ogni milite durante
l'occupazione.


il prcesso a Rodolfo Graziani nel 1948. Condannato a 18 anni di reclusione per avere collaborato coi tedeschi fu scarcerato due anni dopo nel 1950Il capo del
governo Ferruccio Parri (già dirigente del CLN) ha espresso
con chiarezza gli obbiettivi dell'inchiesta: "Nel Nord le
vecchie forze di polizia sono screditate ed invise, almeno
tutte quelle che non sono state al nostro fianco nella lotta.
Con noi vi sono stati molti carabinieri, ad esempio, ma non
tutti. ( ... ) Tutti costoro possono naturalmente rimanere, ma
essi soltanto".


IL BATTAGLIONE MOBILE.
Condurre un'epurazione a fondo nell'apparato statale comporterebbe
una paralisi parziale della burocrazia e degli organismi e
implicherebbe una massiccia immissione di elementi partigiani nei
quadri dello Stato, un'eventualità del tutto sgradita agli alleati
ed ai sostenitori dell'assetto politico determinatosi nel regno del
Sud.


Oltre che a rinfoltire gli organici,
il governo si preoccupa di ricostituire un decente parco mezzi. Nel
1945 vi è soltanto una vettura ogni 140 carabinieri; un autocarro
ogni 822; una motocicletta ogni 70 ed una bicicletta ogni 65. Il
rapporto fra veicoli e uomini è di 1 a 44. Il totale delle
disponibilità è di 5 mezzi corazzati, 79 autocarri, 466 macchine,
929 motocicli e 996 biciclette.


Una stima della capacità di tutti i
motoveicoli a pieno carico rivela come solo 5,302 uomini siano
mobili (l'8,1 per cento dell'intera forza). Insomma la guerra ha
completamente messo in ginocchio l'Arma sotto il profilo della
mobilità, cancellando gli sforzi compiuti, in direzione della
motorizzazione, nel ventennio fascista. Ancora una volta il
carabiniere deve fare soprattutto affidamento su se stesso.

La situazione migliora notevolmente nei tre anni successivi come
dimostra la tabella in questa pagina.


Nel giro di quattro anni il 56,4 per
cento della forza disponibile è trasportabile su un mezzo
motorizzato e una forza d'urto massima di 27.160 uomini è
rapidamente dislocabile con i camion lungo la penisola di cui 9.000
appartenenti ai famosi battaglioni mobili (pari al 13 per cento di
tutta la forza).


La creazione degli stessi
battaglioni mobili non rappresenta in sé un'idea completamente
nuova. Già nel 1920 era stato stilato un progetto di costituzione
di questa tipologia di unità, abbandonato nel 1923, quando ormai il
regime fascista non aveva più bisogno di formazioni concepite anche
per la repressione ed aveva steso una rete di controllo che le
rendeva inutili. Nel dopoguerra l'idea torna drammaticamente di
attualità e, nonostante i bilanci all'osso, il governo non lesina
gli sforzi.


I Carabinieri restano equipaggiati
soprattutto delle armi più moderne disponibili alla fine della
seconda guerra mondiale, tra cui il celeberrimo MAB (Moschetto
Automatico Beretta), facilmente distinguibile per i due grilletti
all'interno del ponticello. Più carente, soprattutto rispetto ai
reparti della Celere, è rimasto l'equipaggiamento per il controllo
dei moti di piazza.


Ma gli sforzi compiuti per rimettere
in sesto l'Arma sono ampiamente ripagati. Gli omicidi scendono:
1.373 nel 1947, 1.069 nel 1948, 849 nel 1949, 774 nel 1950. Un
andamento analogo si verifica per ogni altro genere di crimine. I
Carabinieri non si risparmiano: 46 caduti e 734 feriti nel 1947; 72
morti e 585 feriti nel 1948; 40 deceduti e 572 feriti nel 1949; 34
scomparsi e ben 1.139 feriti nel 1950. Un prezzo molto alto per
difendere la legge e la libertà.




Approfondimento:Il parco mezzi dell'Arma




1946


1947


1948

Mezzi corazzati
158

190

264

Autocarri
857

1215

1358

Automobili
766

829

897

Motocicli
1688

2252

2981

Biciclette
4966

7096

9096

 
 
 

Post N° 33

Post n°33 pubblicato il 08 Gennaio 2009 da giovannydelprete


Il dramma dell'ordine
pubblico



Palmiro Togliatti. Il segretario comunista scelse la via legalitaria abbandonando ogni ipotesi di insurrezione rivoluzionariaNel solo 1946 le
statistiche del crimine elencarono: 2.160 omicidi, 10.708
rapine, 330 sequestri di persona (uno ogni 26 ore e mezzo!),
1.162 estorsioni, 155.019 furti aggravati, 123.878
furti.


Questo bilancio spaventoso era
ulteriormente aggravato dalle sanguinose rivolte che esplosero in
moltissime carceri (a Bologna, a Torino, ad Alessandria, a Forti, a
Pavia, a Genova) e che furono represse, con molta durezza, con
l'intervento di carri armati, autoblindo e truppe di fanteria.


Nel carcere di San Vittore, a
Milano, i detenuti entrarono in rivolta, con furia selvaggia, il 22
aprile 1946. Soltanto il tempestivo intervento di un autoblindo dei
Carabinieri, che bloccò il portone del carcere, riuscì a impedire
un'evasione di massa.

Per quattro giorni le autoblindo del battaglione mobile dei
Carabinieri di Milano, appostate ai quattro angoli del
penitenziario, spararono raffiche di mitragliatrice contro le
finestre dalle quali si intravedevano movimenti sospetti.


La resa dei ribelli conclude la sanguinosa rivolta del carcere milanese di San Vittore, esplosa alla fine di aprile del 1946Contemporaneamente affluivano
rinforzi da Torino e da Bergamo. Pur avendo catturato un certo
numero di ostaggi, i ribelli furono costretti ad
arrendersi.

In quell'anno le perdite dei Carabinieri furono impressionanti: 101
morti e 757 feriti, l'equivalente di una compagnia distrutta e un
battaglione fuori uso.

La riorganizzazione dell'Arma, tuttavia, procedeva speditamente,
favorita dal fatto che gli alleati consideravano i Carabinieri un
sicuro punto di riferimento. Le clausole del trattato di pace
fissarono la forza totale dell'esercito a 185 mila uomini e quella
dei Carabinieri a 65 mila, con un rapporto di 3 a 1 che costituiva
un tangibile riconoscimento dell'affidabilità dei militi. E fu in
quel periodo che si rinunciò all'impiego dell'esercito nell'ordine
pubblico, salvo i casi più gravi nei quali si riteneva
indispensabile un appoggio all'opera delle forze dell'ordine.


un'altra immagine della rivolta del carcere milaneseIl governo, in base alla
valutazione del momento storico, decise di rifondare la Pubblica
Sicurezza (PS), organizzata militarmente anche se dipendente dal
Ministero dell'Interno. Il dualismo con i Carabinieri poteva
comportare disagi, incertezze e duplicazioni, ma garantiva
all'Esecutivo una maggiore libertà di manovra.

La polizia conosce un'impetuosa crescita: dai 17.565 uomini del
1940 si passò ai 51.367 del 1946 (con un incremento del 292,4 per
cento), grazie anche ad una consistente aliquota di appartenenti
alla PAI (Polizia Africa Italiana), ancora abituati agli sbrigativi
metodi coloniali. Nel 1947 la rinascita della polizia fu consacrata
dalla creazione dei cosiddetti reparti celeri. Fortemente voluta
dall'energico ministro degli Interni Scelba, la Celere si costruì
una fama interna di inesorabile pacificatrice di
disordini.

 
 
 

Post N° 32

Post n°32 pubblicato il 08 Gennaio 2009 da giovannydelprete


Gli anni difficili



Reduci e partigiani
trovarono al loro rientro a casa condizioni drammatiche: lutti,
miseria, mancanza di lavoro. E anche la situazione politica,
interna e internazionale, non sembrava molto
incoraggiante...



5 giugno 1946: il Ministro dell'Interno Giuseppe Romita comunica i risultati del referendumLa liberazione
dell'Italia settentrionale e la conclusione della guerra
reinserirono d'un colpo nella vita civile masse di partigiani,
di reduci e di ex deportati nei campi di concentramento
tedeschi. La situazione che tutte queste persone trovarono al
rientro fu, a dir poco, scoraggiante. Case distrutte, parenti
e amici inghiottiti dalla guerra, miseria, difficoltà estrema
di reinserimento nella vita civile e nel lavoro. La bancarotta
monetaria e la gravissima crisi economica erano aggravate dai
danni subiti dagli stabilimenti industriali.


I problemi sociali sfociarono, come
era ineluttabile, in gravi disordini e in fenomeni di criminalità
generalizzata (e organizzata), favoriti dal numero enorme di armi
rimaste in circolazione e dalle condizioni di autentica
disperazione nelle quali era venuta a trovarsi la maggior parte
della popolazione.


Alcune cifre offrono un quadro della
situazione. Il patrimonio nazionale si era ridotto di oltre il 33
percento; la flotta mercantile aveva perso cinque sesti del
tonnellaggio; le ferrovie avevano perso il 50 per cento dei carri
merci, l'80 per cento dei vagoni passeggeri e il 60 per cento delle
locomotrici, sistematicamente prese di mira dai cacciabombardieri
alleati e dai sabotaggi. Nei primi mesi del dopoguerra si viaggiava
dal nord al sud dell'Italia con mezzi di fortuna e con tempi di
percorrenza spaventosi: occorrevano giornate intere per coprire
qualche centinaio di chilometri. L'inflazione aveva raggiunto
livelli intollerabili, anche a causa della decisione degli alleati
che, soprattutto sotto la miope pressione britannica, avevano
imposto un cambio rovinoso della lira rispetto alla sterlina;
successivamente, dopo aver messo in piedi l'AMGOT
(Allied Military Government of the Occupied
Territories
), stamparono le cosiddette am-lire
(allied military currency). Sul retro,
le am-lire recavano stampate le quattro libertà fondamentali
(di parola, di religione, dalla paura e dalla miseria), ma
riguardo all'ultima non fornirono un contributo apprezzabile.
L'enorme volume di banconote messe in circolazione moltiplicò
l'inflazione. Dai 394,7 miliardi di am?lire in circolazione
al 30 giugno 1946, si salì a 577,6 miliardi appena un anno
dopo.


Umberto II, il re di maggio, al seggio elettorale per il referendum fra monarchia e repubblica.Il problema dei
viveri era angoscioso. L'AMGOT, inizialmente, non ,aveva
inserito fra le sue priorità i rifornimenti alimentari alle
popolazioni liberate. Quando finalmente ci si rese conto della
gravità del problema, la distribuzione fu attuata con gravi
inefficienze e numerosi episodi di corruzione, a tutto
vantaggio dei profittatori e di chi speculava stilla borsa
nera.


Le calorie disponibili con il
tesseramento (senza ricorrere alla borsa nera) erano 1.800 al
giorno contro le 2.700 del periodo 1936?1940: cifre bassissime se
confrontate con le abitudini alimentari dei giorni nostri. Soltanto
l'assistenza dell'UNRRA (United Nations Relief and
Reliabilitation Administration
), una delle prime agenzie
delle Nazioni Unite, sorta per alleviare le sofferenze delle
popolazioni dopo la guerra, permise alla gente di tirare avanti in
attesa di tempi migliori.


UN'ALTRA SFERA D'INFLUENZA.
Insieme ai problemi sociali, l'Italia doveva fare i conti con una
complessa situazione internazionale. Già nel 1943 gli alleati,
nonostante le residue opposizioni di Stalin, avevano deciso che la
penisola dovesse ricadere nell'area d'influenza inglese. Churchill
aveva subito assunto un atteggiamento preconcetto ed ostile nei
confronti degli italiani, colpevoli di aver dichiarato guerra
all'impero britannico e passibili per ciò stesso di un periodo di
espiazione di durata indeterminata.


Al premier britannico non importava
gran che della compromissione della monarchia con il fascismo:
continuava anzi a considerare Vittorio Emanuele come l'unico valido
interlocutore politico, ignorando del tutto i dirigenti dei CLN
(Comitato Liberazione Nazionale). Il 22 febbraio 1944 pronunciò
nell'aula austera della Camera dei Comuni un discorso che fu
giudicato brutale e offensivo dal CLN: "Quando bisogna tenere in
mano una caffettiera", spiegò Winston Churchill in quella
occasione, "è meglio non rompere il manico fino a quando noti se ne
è trovato uno nuovo altrettanto conveniente ed utilizzabile, o
almeno fino a quando non si abbia uno strofinaccio a portata di
mano".


il presidente della Corte di Cassazione Pagano legge i risultati del voto. Umberto II partì partì per l'esilio di casais il 13 giugno 1946Al di là delle
idiosincrasie dei settori politici più conservatori, i
governanti del Regno Unito erano preoccupati di evitare che
l'Italia si trasformasse in un trampolino sovietico sul
rischioso esempio di Jugoslavia e Grecia. Nel tardo 1943 gli
stessi inglesi avevano spostato il loro appoggio dai cetnici
nazionalisti ai partigiani comunisti di Tito, ma se avevano
ottenuto in cambio un maggiore appoggio militare, avevano
perso ogni influsso sul leader comunista. A dispetto
dell'aiuto inglese Tito fondò uno Stato comunista,
inizialmente vicino alle posizioni dell'URSS.


In Grecia, nel dicembre 1944, era
già scoppiata la guerra civile tra comunisti e monarchici, questi
ultimi sostenuti dalle truppe del Commonwealth.


La pressione britannica sull'Italia
attenuò progressivamente in conseguenza della crisi economica
inglese. La guerra aveva comportato per l'erario uno sforzo
tremendo. Nel febbraio 1947 il governo laburista (che aveva preso
il posto di quello conservatore che aveva guidato il Paese durante
il conflitto) fu costretto a informare gli alleati americani
dell'impossibilità di intervenire con programmi di aiuti in Turchia
o in Grecia a causa della totale mancanza di possibilità
economiche.


Nel marzo 1947 il nuovo presidente
statunitense Harry Truman, successore di un Roosevelt idealista e
incline a non capire la vera natura di Stalin, enunciò una dottrina
che apri la guerra fredda. Questo nuovo orientamento comportò
conseguenze pratiche anche per l'Italia.


Winston Churchill. Il Primo Ministro Britannico dimostrò una certa diffidenza nei confronti della scelta repubblicana in ItaliaSOVRANITA'
TUTELATA.
"La politica degli Stati Uniti deve essere
quella di appoggiare i popoli liberi che resistono ai
tentativi di assoggettarli compiuti da minoranze armate o da
pressioni esterne... I regimi totalitari fioriscono sulla
miseria e sul bisogno, si diffondono e crescono sull'infausto
terreno della povertà e dei conflitto. Essi raggiungono il
loro pieno sviluppo quando la speranza di un popolo per una
vita migliore viene a mancare. Noi dobbiamo tenere desta
questa speranza". Con queste parole Truman si impegnava a
contenere l'espansionismo sovietico a livello globale innanzi
tutto con mezzi economici, senza però escludere anche quelli
politico-militari nei casi più seri e delicati.


Il delinearsi precoce di due blocchi
contrapposti condizionò immediatamente le strategie del Partito
Comunista Italiano. A metà del 1944, con la famosa svolta di
Salerno, il segretario del PCI, Palmiro Togliatti, rinunciò a ogni
ipotesi di insurrezione preferendo puntare sulla creazione di un
vasto fronte di lotta ai nazifascisti. Tutte le spinose questioni
dell'assetto politico post?fascista vennero quindi rinviate alla
fine della guerra e alle decisioni sul nuovo assetto istituzionale
da dare all'Italia. Applicando le teorie di Gramsci, Togliatti
scelse la strada di una progressiva conquista delle posizioni
sociali come strumento strategico per far accedere la classe
operaia alla direzione dello Stato. Al tempo stesso, seguendo la
sua sensibilità pratica, il leader comunista non sottovalutò
l'importanza di alleanze politiche con le forze di rilievo in quel
momento storico e in particolare con la Democrazia Cristiana. Ma, a
dispetto di questo, la tensione politica era molto alta e il
mantenimento dell'ordine pubblico rappresentava un problema di non
facile soluzione che impegnava severamente le forze di polizia e
l'Arma dei Carabinieri.

 
 
 

Post N° 31

Post n°31 pubblicato il 08 Gennaio 2009 da giovannydelprete


Il dopoguerra


Premessa



Le prime settimane per
l'Italia liberata e reduce da cinque anni di aspra guerra sono
durissime. Ancora nel 1945 gli jugoslavi, cercando una rivincita e
una riparazione (oltre che una compensazione) all'aggressione
nazifascista, cercano di annettersi tutto il territorio oltre
l'Isonzo. Nell'aprile occupano gran parte della Venezia Giulia e
sottomettono la popolazione ad un tristo regime
d'occupazione.


Nelle sei settimane della presenza
delle formazioni titine, le foibe si riempiono di italiani che si
oppongono all'invasione jugoslava, tra cui non pochi carabinieri.
Il PCI, all'epoca di credo stalinista e quindi favorevole anche
alle pretese titoiste, sceglie di chiamare le bande straniere
"esercito di liberazione" e solo la minaccia di un risoluto
intervento angloamericano costringe Tito ad arretrare.


"Eravamo faccia a faccia nei
dintorni di Trieste e vedevamo i soldati jugoslavi minacciarci
aggressivamente con le armi dalle loro posizioni. Ho dato ordine ai
miei di fare esercitazioni con il lanciafiamme. Ha fatto effetto e
si sono abbastanza calmati", ricorderà in seguito un capitano
americano. Quella vissuta al confine nordorientale del nostro Paese
in coincidenza con la fine della guerra fu un'esperienza drammatica
e lacerante, che provocò un numero enorme di vittime.



La memoria di quei giorni terribili non si è cancellata, e le
recenti spaventose vicende che hanno frantumato la ex Jugoslavia
hanno contribuito a riaprire molte di quelle
ferite.

 
 
 

Post N° 30

Post n°30 pubblicato il 08 Gennaio 2009 da giovannydelprete


Per chi suona la
campana



Gli uomini più anziani,
vedendo le immagini della terribile guerra in corso nell'ex
Jugoslavia, ricorderanno forse quel che accadde in Spagna nella
seconda metà degli anni Trenta. Una guerra civile, una sporca
guerra, spietata come sanno esserlo quelle combattute fra persone
che hanno sempre vissuto insieme e che riescono ad esprimere un
odio bestiale e senza quartiere.


legionari italiani in Catalogna (Domenica del Corriere).Democratici e
sinistre avevano vinto le elezioni nel febbraio 1936, avviando
per la prima volta una seria riforma delle anchilosate
strutture sociali ed economiche del Paese. L'elettorato
progressista si era raccolto nel fronte popolare che metteva
insieme parte della borghesia, il proletariato umiliato dai
precedenti regimi ed un bracciantato agricolo ancora in
condizioni miserrime, con la speranza di costruire un Paese
più libero e moderno.


I conservatori neri avevano digerito
la sconfitta delle urne e temevano che il fronte popolare avrebbe
rapidamente portato la Spagna verso un regime di tipo sovietico.
Clero, proprietari terrieri e alti gradi delle forze armate si
trovarono uniti nel paventare una prospettiva del genere.
Naturalmente speranze e timori di tipo ideologico si innervavano
nella difesa di interessi precostituiti o nel desiderio di
scalzarli. La polarizzazione ideologica del Paese degenerò presto
in una assoluta intolleranza reciproca. Un omicidio politico,
quello del monarchico Calvo Sotelo, affrettò l'azione di un gruppo
di generali che tessevano le loro trame nella colonia del
Marocco.


Il Marocco spagnolo era stato la
palestra repressiva di molti quadri di un esercito strutturato
soprattutto per imprese coloniali e per esercitare un soffocante
controllo interno. Era anche la sede del Tercio, l'equivalente
della Legione straniera francese, una forza d'élite adatta ad
essere strumentalizzata nelle mani di generali senza scrupoli.


ufficiale del CTV. Granata, alamari e insegne non sono d'ordinanza (tempera di Giorgio Cantelli).Francisco Franco
era un comandante dotato di un grande ascendente sulle truppe,
buona esperienza di guerra in Marocco: si era anche dimostrato
sostanzialmente privo di remore quando nel 1934 fu chiamato a
soffocare nel sangue la rivolta dei minatori asturiani. Fu lui
a guidare la traversata dello stretto di Gibilterra per
attaccare il territorio metropolitano e fu lui a mobilitare il
movimento di destra della Falange per reclutare gli aderenti
alla ribellione.


Fu una scintilla: da un lato si
mobilitarono i fascisti, dall'altro le forze regolari ed irregolari
fedeli alla repubblica.


Italia e Germania, le grandi potenze
fasciste, si resero immediatamente conto che la Spagna poteva
costituire il banco di prova della loro lotta al comunismo.


VOLONTARI E COMANDATI.
L'Europa democratica espresse in quel momento, nella migliore
tradizione di solidarietà libertaria risorgimentale, una serie di
brigate di volontari internazionali. Spesso fuoriusciti da Paesi
ormai occupati dal nazifascismo, i volontari delle brigate
offrirono un generoso contributo per una lotta difficile.
Dall'altra parte si trovarono truppe più o meno regolari inviate
dai governi di Berlino e di Roma.

il carabiniere Demos Simonazzi caduto ad Alcaniz.Hitler era
soprattutto interessato a sperimentare l'efficienza della sua
nuova aeronautica. Piloti e tecnici della Luftwaffe lasciarono
i ruoli ufficiali e furono trasformati in volontari della
Legione Condor. Si trattava naturalmente di uomini precettati,
né avrebbe potuto essere altrimenti, essendo impossibile
ipotizzare una flotta aerea frutto di un volontarismo
spontaneo. I tedeschi furono presenti in Spagna con 20.000
uomini.


Mussolini era convinto che la guerra
sarebbe stata breve e vittoriosa e inviò il CTV (Corpo Truppe
Volontarie) forte di 40-60.000 uomini e largamente rifornito di
mezzi dalla madrepatria. La sua speranza era di cogliere un altro
brillante successo di fronte all'opinione pubblica mondiale e
magari di ottenere in cambio le Baleari per l'appoggio fornito ai
franchisti. Non si rese conto (o finse di non rendersi conto) del
rischio costituito dal fatto che italiani di fede politica opposta
si battessero gli uni contro gli altri in Spagna, incrinando
definitivamente un già fragile consenso nazionale.


L'Unione Sovietica, invece, non
poteva impegnarsi a fondo nella guerra, ma preferì (in nome
dell'internazionalismo comunista) inviare un buon numero di
consiglieri militari, pezzi d'artiglieria e aeroplani da caccia
smontati. Non mancò, inoltre, di inviare immediatamente sul posto
commissari politici con l'incarico di controllare, guidare e
possibilmente egemonizzare in senso ortodosso, le locali forze di
sinistra.


E le democrazie
occidentali? In preda all'indecisione ed alla miopia politica
gli Stati Uniti, l'Inghilterra e la Francia si attennero a una
sterile linea di non-intervento, che finì per impedire al
governo repubblicano di acquistare armi all'estero o di
sfruttare le frontiere francesi per ottenerne. Un apposito
comitato intergovernativo di non-intervento venne istituito a
Londra e a 29 Stati, fra i quali anche la Germania e l'Italia,
fu affidato il compito di pattugliare le coste spagnole per
circoscrivere la guerra.


Una simile politica finì logicamente
per favorire le potenze più attive, disposte a non crearsi troppi
scrupoli nell'aiutare i militari ribelli. Certamente
l'atteggiamento eccessivamente, prudente dei governi democratici
europei fu determinato dalla paura di un allargamento del conflitto
che avrebbe potuto coinvolgere il mondo intero (come sarebbe
accaduto appena tre anni più tardi)i la paura fece premio sui
principi di legittimità internazionale e finì per ottenere
l'effetto opposto a quello sperato, incoraggiando le ambizioni e la
protervia di Adolfo Hitler.


DA CADICE A BARCELLONA. La
guerra di Spagna non si risolse in una facile passeggiata militare.
Ci vollero ben tre anni (dal luglio 1936 al marzo 1939) perché i
falangisti spezzassero la resistenza lealista.


bombardamenti repubblicani sulla città basca di Eibar..I franchisti
ottennero il primo successo riuscendo a spostare il loro
comando e il centro di gravità delle loro truppe dal Marocco
alla terraferma spagnola. Il 18 luglio le guarnigioni militari
di cinque città del Marocco spagnolo e di dodici città
spagnole si sollevarono simultaneamente dopo un violento
scontro fra il Tercio e un gruppo di manifestanti comunisti a
Melilla.


Franco, benché esiliato nelle
lontane Canarie dal governo socialista guidato da Manuel Azana,
riuscì a raggiungere in aereo Melilla, assumendo il comando dei
rivoltosi. La marina era appena passata dalla parte dei falangisti
e questo favorì primi successi di Franco. La rivolta fallì invece a
Madrid e a Barcellona, mentre a Toledo i cadetti seguirono il
colonnello josé Moscardò in una eroica resistenza di 10 settimane
nella vecchia fortezza dell'Alcazar.


L'obbiettivo principale dei
falangisti (oltre all'occupazione delle regioni più arretrate e
fedeli al vecchio regime) era rappresentato da Madrid, ma
l'avanzata fu più lenta de previsto. Soltanto nel mese di novembre
Franco riuscì a cingere d'assedio la capitale che oppose una
strenua resistenza, durata quattro lunghi mesi, guidata dal
generale repubblicano José Miaja.


Nella settimana dall'8 al 16 marzo
1937 due divisioni del Corpo Truppe Volontarie italiano riuscirono
a penetrare nelle linee repubblicane per isolare Madrid puntando su
Guadalajara. Una pioggia torrenziale mise però in gravissime
difficoltà i soldati italiani, costretti a muoversi in un pantano,
e l'aviazione repubblicana, servendosi di cacciabombardieri
sovietici, gettò lo scompiglio nella colonna.


Fu un autentico disastro, culminato
nella battaglia di Brihuega dove le brigate internazionali
schiantarono quel che restava delle due orgogliose divisioni.


il colonnello dei Carabinieri del Corpo Truppe Volontarie in Spagna, Giuseppe Pieche.E fu una
disfatta anche di ordine psicologico. Le truppe fasciste si
erano rivelate vulnerabili e Mussolini temendo che il
prestigio internazionale dell'Italia subisse un colpo troppo
duro da questa sconfitta, si preoccupò di irrobustire il
contingente inviato in Spagna rinforzandolo con truppe più
addestrate e meglio armate. Fu, anche questo, un errore di
valutazione, perché la guerra civile spagnola finì per
comportare un prezzo eccessivamente alto in uomini, mezzi e
risorse economiche: un prezzo che il regime fascista non
poteva permettersi, come si sarebbe visto pochi anni più
tardi.


Anche i tedeschi approfittarono
dello sbandamento italiano, in termini di propaganda. Da tempo i
teorici della Luftwaffe avevano studiato e preconizzato la
necessità di concentrare il bombardamento aereo nel tempo e nello
spazio allo scopo di ottenere il massimo effetto distruttivo. Ora
avevano bisogno di una conferma sperimentale.


Il 25 aprile 1937 la storica città
di Guernica, anima della cultura basca, fece appena in tempo a
sentire il rombo delle ondate di aeroplani che sopraggiungevano.
Nelle stradine della città nessuno immaginava che cosa stesse per
accadere. Un attimo più tardi, un diluvio di bombe incendiarie e
dirompenti seminò morte e distruzione. La Luftwaffe aveva
dimostrato all'Europa inorridita la sua malefica potenza,
paralizzando in molte capitali del continente ogni volontà di
resistenza alla rinascente potenza tedesca.


La guerra di Spagna fu anche un
banco di prova per nuove armi e nuove tattiche. I vari modelli
delle fabbriche Junkers, Heinkel, Messerschmitt, Arado conobbero
qui il loro battesimo del fuoco, anche se non tutte le lezioni di
questo conflitto si riveleranno utili nella Seconda Guerra
Mondiale.


Pochi mesi dopo per la Repubblica
suonò la campana a morte con la caduta di Bilbao, coronata
dall'insediamento falangista in tutta la Spagna nordoccidentale. E
il successo di Franco fu agevolato dalle divisioni politiche che si
manifestarono nelle file repubblicane.


combattimento nel cimitero della città (Domenica dei Cori).EQUIVOCI FRA
LUCERNE.
I primi Carabinieri Reali arrivarono in Spagna
nel 1937: durante tutto il conflitto non superarono
complessivamente mai le 500 unità, Inizialmente articolati su
una compagnia e tre sezioni, furono poi sempre dislocati in
sezioni, più adatte ai compiti richiesti. Indossavano
l'uniforme kaki spagnola, conservando però i loro alamari
d'argento. Uno dei loro maggiori problemi fu inizialmente
quello di far capire la differenza fra i loro compiti e quelli
dei carabineros spagnoli, guardie doganali. Non si trattava di
piccoli puntigli, ma del legittimo desiderio di qualificarsi
come un corpo d'élite, geloso delle proprie tradizioni. Ma
superato questo equivoco, se ne affacciò un altro, quando gli
spagnoli paragonarono i nostri Carabinieri alla loro guardia
civile, che effettivamente aveva una storia, una struttura,
compiti e perfino abitudini e divise simili a quelli dei
Carabinieri (si muovevano in coppia, avevano la lucerna in
testa). In questo caso, il desiderio di distinguersi dalla
guardia civile nasceva anche dalla consapevolezza di quanto
essa fosse impopolare in molte regioni della Spagna a causa
dell'opera sistematica di repressione da essa attuata. Sul
piano operativo, tuttavia, si creò una stretta collaborazione
fra Carabinieri e guardia civile, spesso inquadrati
insieme.


I compiti svolti dall'Arma durante
la guerra civile di Spagna riguardarono soprattutto la polizia
militare, la sorveglianza delle comunicazioni, l'assistenza alle
popolazioni e l'ordine pubblico.


Le basi logistiche italiane si
trovano a Cadice e a Siviglia, ma i nodi delle linee di
rifornimento erano localizzati nelle maggiori città (Salamanca,
Valladolid, Valencia, Burgos, Vitoria, Bilbao, Logrono). In ognuna
di esse vi era un distaccamento di Carabinieri e lungo le linee
ferroviarie le scorte erano particolarmente intense nei giorni in
cui venivano trasportati i rifornimenti per il CTV.


Francisco ...... sfilata della Divisione Fiamme Nere.I Carabinieri
furono quindi impegnati sia nelle retrovie sia nelle maggiori
battaglie: Malaga, Guadalajara, Ebro, Levante, Catalogna e
Madrid. In ognuno di questi compiti, i militi dell'Arma fecero
sempre il loro dovere. Quando il contingente lasciò la Spagna
nel 1939, si era guadagnato 13 medaglie d'argento, 45 di
bronzo, 105 croci di guerra e 43 promozioni per meriti di
guerra.


Molti di quei 500 uomini non seppero
mai con precisione che cosa stesse accadendo intorno a loro, anche
se sentivano istintivamente che giorni ancor più foschi si
profilavano all'orizzonte. Dopo il blitz tedesco in Polonia
l'Italia avrà appena un anno di respiro, prima di affondare nella
seconda guerra mondiale.

 
 
 

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