Creato da michele_porcaro il 09/01/2010

La grotta dell'anima

Vivere lib(e)ri, sogni, idee, riflessioni, emozioni

 

 

Lake City (4) "Il latte più dolce"

Post n°53 pubblicato il 25 Maggio 2013 da michele_porcaro

© Copyright 2013 Michele Porcaro Tutti i diritti riservati

Ora, se voi non mi spiegate una cosa, io andrò su tutte le furie. Devo dirlo, siete capacissimi di mandarmici certe volte. Perché un tempo, tanti secoli fa, dicevate che il latte è dolce come il miele? Perché? Perché? Insomma, oh!, perché? Perché volete far disperare un diavoletto tanto buono come me? Che vi ho fatto di male? Bah, pensiamoci un secondo. Oggi il latte nei cartoni e nelle bottiglie di plastica è pastorizzato. Ok, ok. Ieri, no! Bé, è uno ieri di diversi annucci, però diciamo sempre ieri. Bene?! Allora il latte non pastorizzato è dolce! Bene, bravo, bel sillogismo! Sapessi almeno che significa sillogismo. Sapete, l'ho letto da qualche parte. Poi a scuola non mi applicavo tanto. Mentre il gran diavolazzo Tassazzo, un nostro maestro di scuola, spiegava, io dormivo. Che volete, nessuno è perfetto. Comunque la mia idea può funzionare. Perché? Il latte di donna che ha partorito è dolce. Sa di cioccolata. Questo lo dico sinceramente. L'ho provato, credetemi ...
Allora, una volta, nel 1597, c'era una bella contadina del bergamasco, una tale Fiammetta, che aveva avuto dal marito un figlio. Se devo essere sincero quello tutto era tranne un marito o un uomo. All'epoca io ero sceso nel bergamasco in vesti di giovin studente, in compagnia di una brigata di studenti. Luterani di Germania, yah! Io ero in licenza, in vacanza, in bisboccia. Incontro una domenica questa Fiammetta. Era andata a messa. Il buon parroco, don Gianni, predicava ai suoi devoti parrocchiani sull'astinenza. C'era anche il buon vice-parroco, don Anselmuccio. Intanto i parrocchiani, brava gente, si facevano il segno della croce, notando come Anselmuccio fosse il ritratto sputato di don Gianni quando era giovane. Intanto con che passione seguiva la predica e i due sacerdoti la marchesa donna Lucia De ... saltiamo i nomi per decenza. Lo stesso faceva una certa donna Laura con il giovane vice. Finita la messa, il marito lascia Fiammetta per andare dal panettiere ad aiutarlo a fare certe cose e a rimestare certi pali nel forno. Poi voi ve la prendete con la mia categoria! Comunque io seguo, accompagno e scorto la bella mammina, sicuro che certi giovinastri non la guardino troppo e non facciano seguire altro ai soliti pensieri. Dite quello che volete, saranno stati i suoi occhi azzurri, il bel nome che mi rammentava casa, le sue parole, le mie ... Io sentii gli angeli cantare suonare strimpellare e scampanare! Ci trovammo a letto ad amarci. Mentre le baciavo quei capezzoli più belli di una fragola, spruzzò qualcosa di liquido, caldo e dolce. Era il suo latte di madre. Quindi, lasciamo i bei ricordi e diciamo che almeno il latte di donna è dolce. Non essendo latte pastorizzato, il latte non pastorizzato è dolce.

 

 
 
 

Amrajj-La strage (4)

Post n°52 pubblicato il 25 Maggio 2013 da michele_porcaro

© Copyright 2013 Michele Porcaro Tutti i diritti riservati

Voci storpiate e deliranti di predicatori di strada.

"Sembra che tutti i pazzi si siano riuniti in questo luogo", commentò il guerriero.
"Io ho amato la mia Colenda, Madama Colenda, dal primo giorno in cui l'ho vista. Per me è la finestra aperta verso un mondo totalmente diverso dal mio, sia all'esterno che dentro me stessa. Mi ha sempre portato a galla emozioni, sensazioni e pensieri che ignoravo di avere. Conoscendola conosco me stessa. La voglio. La voglio sempre accanto a me".
"Potrebbe finire", accennò lui.
"Non da parte mia, mai!" Era stata così tenera in quel sussulto.
"Goda quello che di buono e bello ha questa esperienza", decise di concludere Kahil.
Tacquero per il resto del viaggio.
Ad un tratto lasciarono quella massa informe di casupole e tende lacere e seguirono una via campestre, selciata. Sembrava intatta dai tanti sconvolgimenti che avevano toccato tutti. Alzarono lo sguardo verso il Castello di Nirdvandva. Grande, imponente, rutilante e corrusco, svettante con i suoi torrioni, imponente e saldo con le sue mura. Ripresero la via tradizionale, coperta da pietre ben lastricate. Trovarono degli armati.
Il capitano della truppa era un sottoposto di Kahil. Jiguptas si limitò ad annuire leggermente al suo superiore. Oriele e Kahil superarono la schiera.
Entrarono per una posterla aperta. Intorno c'erano almeno una decina di uomini. I due entrarono nel castello di Nirdvandva.
Al centro imperava possente il palazzo reale, cinto da muraglioni, torri, fortini e terrapieni fortificati.

 

 
 
 

Ferion-I Signori della guerra: "Nuovi tempi (3)"

Post n°51 pubblicato il 25 Maggio 2013 da michele_porcaro

© Copyright 2013 Michele Porcaro Tutti i diritti riservati

Valesio parlava per tutti. Il Consiglio aveva decretato il restauro di tratti della via regia, voluta da Tissaferne il Cacciatore, la ristrutturazione di edifici della Kohumis, regione dell'Impero, e dalla sua capitale Ruscuro. Si riaprivano i traffici nella Triacontide, verso Eryma e il Guenci, prima nemici ora buoni alleati dopo le vittorie del Principe del Consiglio Appio. Si riaprivano i traffici con le tribù del Devi. Si riaprivano i traffici con la Tyrages, la cui famiglia regnante era sotto il controllo del Consiglio per merito di Appio. Inoltre venivano sanciti gli accordi di amicizia stretti con lo Stato di Shihxia e gli Ormachi. Erano le maggiori vittorie del Consiglio. Non c'era bisogno di un monarca per camminare avanti. Terminato il discorso Valesio procedette. I compagni lo seguivano. La folla si assiepò alle ali della piazza. A indicare l'inizio della piazza per chi entrava ed usciva c'erano "I Termini". Due grandi colonne scanalate indicavano che qui i principi dovevano sciogliersi e disperdersi pacificamente nella città. Se avessero avanzato in ordine compatto voleva dire che c'era qualcosa di molto grave in atto o una guerra civile da reprimere. Solo ai tempi dell'ultimo Tissaferne i principi avanzarono serrati oltre "I Termini". C'era da abbattere l'emissario del Gran Re e i suoi cavalieri, Ascletarione. Oggi i tempi erano molto diversi. Non c'era nulla in atto all'interno e all'esterno tutto era proficuo. Sul limitare dei "Termini" Valesio si fermò. Si abbracciarono, si strinsero le destre e si baciarono sulle guance. «Salve, amico mio», si dissero l'un l'altro. Lo schieramento si sciolse. Superarono "I Termini" pacificamente. Acclamazioni si levarono dalla folla festante.

 

 

 
 
 

La spada e le maschere - La dama di Esen (4)

Post n°50 pubblicato il 23 Maggio 2013 da michele_porcaro

© Copyright 2013 Michele Porcaro Tutti i diritti riservati

Avrebbero voluto che la vita fosse solo quel bacio, le schermaglie amorose e i piaceri su un arcipelago accarezzato dal mare. Invece non era sempre possibile. Nei loro nomi, nei loro titoli erano tracciate vie diverse. La nave con la sua vela gonfia di vento si avviava verso l'interno del golfo.

I soldati osservavano gli stallieri portare via i cavalli dei tre guerrieri appena entrati nella cinta muraria del Castello dell'alba. Erano volti noti, già chiamati alla presenza del sovrano. Un uomo anziano, con i lunghi capelli bianchi che scivolavano sulla veste rossa, coperta da un mantello bianco, andò loro incontro. Era il gran cancelliere Porfirio Alefis. Si reggeva ad un bastone di rovere e procedeva con molta calma. "Oh, avete compiuto una stupenda impresa, carissimi gentiluomini! Il nostro re è molto lieto della vostra virtù. Siete stati molto validi per lo Stato"
"Signore, è stato un vero piacere poter essere utili allo Stato e servire il nostro re", rispose Giacomo, facendosi avanti. Il grancancelliere gli sorrise con benevolenza. "Prego, seguitemi ora", disse incamminandosi.
Superarono il primo cortile e la prima cinta muraria, poi entrarono in altri tre cortili, alla fine salirono verso una torre. Giunti all'estremità passarono su un ponte di pietra coperto. Entrarono in un giardino pensile. Il fiato mancò ai tre guerrieri! Intorno ad una fonte che zampillava fresca da uno sperone di roccia, creando un piccolo lago, si estendeva un giardino di piante esotiche, palme rose e alberelli da frutto. Un muro con un camminamento avvolgeva il giardino. Lo percorsero, avendo sempre il mare alla sinistra. Il canto degli uccelli che svolazzavano tra i rami o sui merli del camminamento li accompagnavano passo dopo passo.
Un gruppo di ragazze, in vesti colorate e intessute d'oro, cicalavano tra di loro allegramente. Altre, dal Torrione oltre il giardino, osservavano il paesaggio dai balconi e lanciavano occhiate curiose o maliziose ai tre giovani che passavano.

 

 
 
 

Lake City (3)

Post n°49 pubblicato il 23 Maggio 2013 da michele_porcaro

© Copyright 2013 Michele Porcaro Tutti i diritti riservati

Martino si fermò. Aveva raggiunto un boschetto. Quelli del luogo lo chiamavano il boschetto dei ciliegi. C'erano infatti alberi di ciliegio. Si voltò indietro. Molto distante s'intravedeva il bar e il paese. Più sotto c'era il lago, con il suo porticciolo. Il cielo era terso, soleggiato. Tutto il paesaggio era un vero incanto. Gli piaceva, ma un senso di rabbia gli stringeva lo stomaco.
"Come fa un posto come questo, con un paesaggio come questo, ad avere gente tanto piatta. Qui sembra che il massimo della scienza è come vincere alla slot machine del bar!"
"È proprio brutto che un così bel giovanotto faccia come una nonnina che parla da sola. Sei libero di fare come vuoi, ma attento che non ti scambino per un pazzo".
"Sai quanto me ne importa ..." Quando Martino si voltò gli mancò il fiato per terminare la frase. Ebbe un'esplosione dentro di sé. "Non ci posso credere, è troppo bella! Non può esistere! Non può essere una modella o un'attrice! Troppo perfetta! Perfetta come le figure dei cartoni animati". Lei aveva i capelli biondi raccolti a chignon, indossava una maglietta bianca a maniche corte, che le scivolava sui seni torniti, e jeans stretti con scarpette da ginnastica. I suoi occhietti neri e vispi si posarono su Martino. Lui non avrebbe sbagliato a dire che lo scrutavano, studiavano, giudicavano, decidevano positivamente e decidevano di volerlo. Lei invece aveva subito capito la bramosia destata nel maschietto per il suo corpo e, ancora di più, che si era innamorato di lei. "Tu chi sei?", decise di chiedere lui. Era un poco sospettoso.
"Sono arrivata con la mia famiglia qui da poco, non so se hai visto il camion dei traslochi. Mi chiamo Jenny McIntosh". Martino trasecolò. Jordan McIntosh era il ricco magnate anglo-americano che aveva comprato e risistemato il palazzo dei Santagata, una antica famiglia signorile oggi spiantata e dimenticata da tutti, compresi i diretti interessati. L'intero comune e un paio di quartieri erano stati messi in subbuglio e avevano sbraitato contro quei chilometrici camion.
"Tuo padre ha deciso di ritirarsi qui perché deve sfuggire il fisco americano?" Martino si sarebbe voluto tagliare la lingua. Certe volte il suo umorismo e la sua arguzia erano di bassa lega. Infatti lo sguardo di lei lo fulminò. Poi passò in un sorriso gioioso e birichino. Si sentì graziato.
"No, semplicemente gli piaceva il posto e sono d'accordo con lui".
"Io invece sono qui perché mio padre ha avuto una promozione e mi ci ha portato con le catene. Il posto è bello, per il resto c'è da piangere". Poi aggiunse:"Tu però salvi la cornice, sembri una ninfa dei boschi".
"Solo? Signorino, da come mi guardavi sembravo molto di più. Piuttosto, come ti chiami? Ti ho detto il mio nome. Quale è il tuo?"
"Ah, sì, io mi chiamo Martino. My name is Martin, Martin Velasco".
"Grazie per il tuo inglese, ma parlo correntemente l'italiano". Jenny studiò il suo impertinente ragazzo. Statura media, capelli castani, occhi castani, fisico normale e buona parlantina. Indossava una camicia di jeans, un jeans, un paio di scarpe da ginnastica. "Perché sei così urtato?"
"Non riesco ad adattarmi a questo posto, ai suoi abitanti... ormai è passato quasi un anno e ... Il mondo è così bello, ma qui mi sento intrappolato. Vorrei che qui ci fosse altro, quel meglio che qui non riesco a trovare, a trovare dentro me stesso". Parlò fluentemente, dall'anima, stupito da tanta sincerità e chiarezza dei suoi sentimenti. Lo ascoltava in silenzio, con le palpebre socchiuse, attenta. "Ti capisco, hai seguito una scelta imposta, ma questo non significa che devi subirla totalmente. Tu puoi cambiare qualcosa qui, per quello che porti. Se qui non trovi gli amici che fanno battere il tuo cuore, che ti fanno sentire che sei vivo, puoi cercare altrove. Un proverbio hindu dice che quando è il momento il discepolo troverà il suo maestro. Capisco che ti trovi abbattuto, ma non assopirti nel dolore e nel dispiacere. A volte anche se ci fa male è la cosa più facile da seguire. Sbagliamo. Una persona cresce anche per le sue scelte, giuste o sbagliate che siano, sono le sue scelte! Questo gli fa apprezzare sempre il mondo e il suo sapore gustoso, come un bambino". Gli sorrise commossa. Restò spiazzata. Martino l'abbracciava con tutta la sua passione. Piangeva, piangeva come un bimbo. Gli accarezzò dolcemente i capelli. Piangeva anche lei. Aveva risposto a quelle parole con tutta la sua anima. Quando tutta quella tempesta si quietò, si sciolsero dall'abbraccio, fissandosi negli occhi. Erano giovani e belli, l'uno dell'altra ardenti. "Scusami, sei un'estranea e ti getto addosso tutti i miei stupidi problemi. Scusami" "Ci siamo scaricati tutti e due, è meglio così". "Complimenti per il tuo italiano, sei una vera madre lingua". "Grazie", sorrise lei.
Le fece piacere quel complimento sul suo italiano. "Io vorrei farmi una passeggiata nel boschetto. Mi accompagni?" Si stupì per quella proposta. Eppure a Jenny sembrò normale, come se avesse conosciuto quel ragazzo da sempre. "D'accordo", rispose lui. S'avviarono.

 

 
 
 

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