NON SONO SOLO RACCONTI
Libero sfogo ai desideri repressi.
Racconti brevi, di rapida lettura, al centro dei quali i miei sogni e le mie fantasie prendono vita.
E non è detto che determinate cose non siano accadute realmente...
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Post n°6 pubblicato il 01 Dicembre 2008 da pensieripericolosi
Mara sembrava diversi nel farsi lanciare di divano in divano, e io annotavo mentalmente tutti i giudizi che esprimeva a riguardo: troppo basso, troppo alto, troppo duro, troppo morbido, troppo piccolo, troppo antico, design di merda e così via… Mi accorsi che avevamo grossomodo gli stessi gusti e cercavamo la stessa cosa. A quel punto non mi restò che lanciarla sul divano che io – inconsciamente – avevo già scelto: un Tylosand tre posti, struttura in metallo con divano letto incorporato. Presi Mara, la sollevai dal Beddinge su cui si era scomodamente accasciata, me la caricai in braccio come fanno i giovani sposi, la baciai dolcemente facendola astrarre dal contesto e poi, senza alcun preavviso, la mollai su quel Tylosand arancione. Questo è veramente comodo, disse Mara / Lo so. Costa un occhio della testa. Sospiro e mi accascio accanto a lei. Il mio culo avverte di essere piacevolmente sostenuto e riesco a lasciarmi andare come non avevo fatto con altri divani. La mia schiena mi ringrazia. Mara si distende, si sfila le scarpe e mi poggia i piedi sulle gambe. Questo divano è davvero bello, mi sussurra. Improvvisamente mi furono chiare le seguenti cose: Uno, il divano mi piaceva perché era enorme e questa cosa mi faceva sentire terribilmente maschio (odio ammetterlo, ma io guardo sempre alle dimensioni). Inoltre, costando un occhio della testa, avrebbe sufficientemente appagato il mio desiderio di shopping autodistruttivo. Diciamo per molti mesi. Due, provavo una soddisfazione infinita nel sentire Mara parlare di me e lei che scopavamo e non vedevo l’ora di accontentarla. Non per una questione puramente fisica o egoistica, bensì per un risvolto psicologico che fino ad allora non mi si era mai palesato in maniera così evidente: da quando Mara era uscita dalla mia vita io ero diventato un insoddisfatto del cazzo, mi ero isolato da tutto e tutti e stavo conducendo la mia vita con arroganza, palese inutilità e abbandono. Tre, Mara non era una donna malata come pensavo che fosse, e il vero squilibrato tra i due ero io. Ho sempre ritenuto che Mara fosse una che desiderasse essere continuamente dominata, se non addirittura umiliata dal suo partner, e che il suo linguaggio sboccato e le sue costanti provocazioni fossero dettate dal suo bisogno di “sentirsi viva”: proprio così, credevo che fosse una di quelle che per sentire il valore della propria vita aveva bisogno di ammazzarsi in continuazione. E invece no. Mara era soltanto una donna molto debole che si era sinceramente innamorata di me e – nel tentativo di piacermi e compiacermi – sosteneva quella parte da persona instabile e malata che io allo stesso tempo amavo e odiavo, da sempre, proprio come odiavo e amavo me stesso per i miei comportamenti e il mio carattere, fantastico ma di merda. Fu su quel divano che capii tutte queste cose, in un lampo, e così smisi immediatamente di dare tormento alle dita dei piedi di Mara, che avevo involontariamente martoriato durante la discussione facendogli assumere un colore rosso, intenso quasi quanto il suo curatissimo smalto. I miei movimenti smisero di essere bruschi e – dopo tanto trattarla male – mi rivolsi a Mara con infinita dolcezza, accarezzandole lentamente il collo del piede, deciso a farla finalmente sentire davvero donna, apprezzata e desiderata, come lei desiderava e io volevo. Mi sollevai da quel divano con la convinzione che non le avrei mai chiesto scusa, perché di nulla c’era da chiederne. E anche se nel corso della mia vita avrei continuato a comportarmi così di merda nei suoi confronti (perché avrei dovuto smettere di essere me stesso?), a partire da quel giorno mi ripromisi che le avrei sicuramente sorriso di più, e più spesso. FINE |
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