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Le confessioni di Benjamin Kennicott

Post n°13 pubblicato il 13 Maggio 2008 da roby2012

Ricavo l'episodio da un libro  pubblicato a Londra, e intitolato: "The History of Benjamin Kennicott (The Purgatory of a Parson)".

L'autrice del volumetto - Mrs. Isabelle Major Evans - possiede notevoli facoltà medianiche, di cui si era sempre valsa per comunicare esclusivamente col padre defunto. Ora avvenne che essendo afflitta da una nevrite al braccio destro che le impediva di scrivere, fu consigliata recarsi da una medium curatrice, la quale riuscì rapidamente a guarirla. Se non che, durante le visite alla medium in discorso, quest'ultima ebbe un giorno ad esclamare: "Io scorgo un uomo vestito di nero, con una bibbia fra le mani, il quale mi mostra un fascio di carte manoscritte. Dice di chiamarsi... Kenny...Kenn...Kenn-acott..., e di essere vissuto nel secolo XVIII. Fece qualche cosa che riguarda la Bibbia. Egli si rivolge a me dicendo: " Procura di guarire presto la signora, poichè essa dovrà scrivere per me".
Dopo una breve pausa, la medium pervenne accogliere l'intero suo nome: "Benjamin Kennicott, Rettore di Culham." Ciò conseguito, l'apparzione sparì.

Tornata a casa, la signora Evans chiese consiglio in proposito al suo defunto padre, il quale la informò che si trattava di uno spirito in pena, da lungo tempo nel mondo spirituale, il quale abbisognava del suo concorso per iniziare la propria redenzione.
La consigliava pertanto ad accoglierlo, mettendo a sua disposizione la propria medianità: una seduta ogni 15 giorni.
In seguito ad inchieste subito iniziate, risultò che nel secolo XVIII, nel paesello di Culham, era stato effettivamente "rettore" un ministro anglicano di nome Benjamin Kennicott, il quale aveva pubblicato in vita numerosi scritti di esegesi biblica, confrontando la "versione inglese" della Bibbia, col testo ebraico della medesima, lingua quest'ultima da lui posseduta a fondo.

Allorchè egli si manifestò tramite la signora Evans, fece un'ampia confessione sulle vicende della propria vita incarnata, in cui si era dimostrato acciecato dai preconcetti religiosi. invaso da smisurato orgoglio, nonchè spietato di cuore, annunciando che dal proprio messaggio ai viventi, fecondo di insegnamenti per questi ultimi, dipendeva il primo passo che egli avrebbe compiuto sulla via della redenzione.

Quindi spiegò ulteriormente di essere stato un pastore anglicano talmente ligio alla propria ortodossia - da lui ritenuta superbamente l'unica infallibile - da dimostrarsi intollerante e spietato con chiunque non la pensasse esattamente come lui. Inoltre, egli aveva aggiunto che le sue pubblicazioni di esegesi biblica, e la sua cognizione della lingua ebraica, lo avevano insuperbito al punto da reputare se stesso l'unico campione al mondo degno di ascendere, a suo tempo, alle più eccelse glorie del Paradiso.

Una delle colpe più gravi di cui si era macchiato erano le spietate persecuzioni inflitte a coloro che dissentivano in qualche modo dalla sua ortodossia.
Viveva in quel villaggio un umile artigiano da lui designato "Giovanni il falegname", il quale era un sant'uomo animato da grande fervore apostolico, nella cui bottega si adunavano molti devoti suoi seguaci per ascoltare dal suo labbro ispirato le verite cristiane. Il pastore Kennycott prese a perseguitarlo spietatamente, gli proibi di accostarsi alla mensa eucaristica, vietò ai fedeli di ascoltare le sue parole, allontanò i clienti dalla sua bottega, riducendolo alla fame insieme con la propria famigliola.
L'infelice perseguitato si privava del cibo affinchè non avessero a soffrire i suoi bimbi, e finì col morire d'inanizione e di crepacuore.

Noto in proposito che si riuscì a controllare e documentare le "gesta" da lui compiute nel nome di Dio.

Giunta per lui l'ora fatale della resa dei conti, egli, in conseguenza dell'inesorabile "legge di affinità", gravitò pesantemente nella dimora spirituale che gli competeva, la quale apparteneva alle cosiddette "Sfere di probazione", dove l'ostinatezza irriducibile del suo temperamento lo trattenne per un secolo e mezzo, fino a quando riuscì a compiere il primo passo verso la redenzione mediante il purgatorio dei rimorsi, che in lui furono risvegliati per l'intervento di "Giovanni il falegname", il quale ottenne lo scopo rendendo amore per odio, come a suo tempo si vedrà.

Lo spirito di Benjamin Kennicott, sulla via del ravvedimento, comincia rivolgendosi ai viventi in questi termini: "Fratelli amici miei, io vi parlo questa volta dalla soglia in cui si scorgono le meravigliose contrade in cui soggiornano gli spiriti di coloro che durante l'esistenza terrena hanno osservato le Leggi di Dio. La maggioranza delle anime che si disincarnano non vi perviene che dopo un lungo pellegrinaggio più o meno laborioso.
Tra i viventi vi sono molti che dicono:

'Dio è Amore, e se Egli ama le proprie creature, non le punirà certamente per mancanze veniali. E' vero che gli assassini, i ladri, gli adulteri, meritano le più severe sanzioni; ma noi che siamo vissuti rispettabilmente, incappando soltanto in piccole colpe, a tutti comuni, perchè dovremmo temerne le conseguenze nella vita futura?'.

"Fratelli, e a coloro che così ragionano che io mi rivolgo con le mie confessioni, e vi supplico di ascoltarmi attentamente.
Io, che vi parlo, ero in vita un eminente rispettabilissimo vicario di una parrocchia. Ero alloggiato in un presbiterio provvisto di ogni comodità, avevo una moglie amatissima a me devota, possedevo rendite sufficienti per condurre un'esistenza senza privazioni. Adempivo scrupolosamente a tutti i doveri del mio ministero. Soltanto non avevo simpatia per coloro che seguivano confessioni cristiane diverse da quella anglicana. Agli occhi del mondo io ero un modello di ecclesiastico servitore di Dio e quando giunse per me l'ora suprema, i miei parrocchiani non dubitavano che il loro vicario si sarebbe elevato alle glorie supreme del Paradiso.
Ed ecco invece la mia storia (nota: dal momento del suo distacco terreno):

"Io giacevo morente e coscente, ma pienamente soddisfatto di me stesso, quindi ben sicuro intorno al glorioso imminente premio che mi attendeva. Era accorso ad assistermi un vecchio prete amico mio, un vero sant'uomo. Egli formulava delle semplici, familiari, ma profondamente spirituali esortazioni rispondenti alla situazione; ed io, per quanto giunto agli estremi, pensavo orgogliosamente che avrei patrocinato la causa assai meglio. D'improvviso mi colse un senso di estremo esaurimento vitale: mi aspettavo di essere accolto da un coro di angeli osannanti d'innanzi al trono di Dio. Invece, appena lo spirito esulò dal corpo, io provai la sensazione di sprofondare in un abisso senza fondo; mi trovai avvolto in una caligine impenetrabile e grigia; ma quando riuscii ad intravvedere qualcosa dell'ambiente che mi circondava, mi avvidi di trovarmi ancora nella mia camera da letto. Udivo piangere sommessamente la mia cara moglie e scorsi sul letto il mio corpo, sebbene a tutta prima io non ritenessi che fosse il mio corpo: ero dunque morto? Impossibile. Nessun coro di angeli plaudenti era accorso a darmi il benvenuto.

Non saprei dire quanto tempo vagai attorno alla mia dimora terrena; ramingavo senza scopo un pò dovunque nei dintorni domandandomi:"Perchè mai mi si tratta in questo modo? E' un insulto alla mia dignità".
Ad un dato momento, mi occorse di palpare vicino a me una sporgenza di roccia. Era quella la prima volta che mi capitava di avvertire qualcosa di solido nel mio lungo vagare nella caligine che mi avvolgeva. Sedetti su quella roccia, per riordinare le idee: e cosi facendo, fui preso da un impeto di rivolta. Mi ribellavo contro Dio poichè in base alla grande opinione che avevo di me stessp, Egli mi trattava in maniera indegna. A tali sensi di ribellione, seguì immediatamente una crisi di sonno invincibile che mi costrinse ad abbattermi sulla roccia. Vidi e sognai visioni talmente terrificanti, che mi strapparono un'invocazione di aiuto: 'Mio Dio, toglimi da questo stato di orrende visioni! Immergimi in un totale oblio'. E ciò accadde subito.

Quando mi svegliai, ebbi l'impressione di non trovarmi più solo. Nellla nebbia che continuava ad avvolgermi dardeggiavano strisce di luminosità sanguigna, nelle quali intravvedevo forme umane terrificanti, le quali mi rivolsero parole gridando forte, con esultanza maligna, che io ero capitato nell'ambiente che mi meritavo, nel quale essi mi davano il benvenuto. Cosi dicendo, due tra essi mi afferrarono senza riguardi, trasportandomi in una sorta di grande aula di giustizia in cui stava riunita una moltitudine di essi, in preda a festosa, diabolica allegria. Mi venne risposto, in mezzo ad una tregenda di ghigni e di scherni, che quella era la dimora dell'umana fattuità orgogliosa, la quale stimava sè stessa un modello di tutte le virtù.

D'improvviso mi apparve da lontano una luminosità blanda azzurrina di ben altra natura, e una voce ne scaturì e mi parlò. Osservai che non appena si fece udire quella voce, i demoni fuggirono all'impazzata, lasciandomi solo. La voce mi disse che io potevo evitare di rimanere in quell'ambiente di pena, purchè io lo desiderassi; ovvero se io riconoscevo di aver condotto un'esistenza orgogliosa, maculata di durezza di cuore e me ne pentivo sinceramente, allora avrei potuto avviarmi verso condizioni spirituali migliori.
Risposi arrogantemente a quella voce che io avevo condotto una vita di rettitudine immacolata sotto ogni aspetto e nulla avevo fatto per meritarmi un trattamento tanto indegno.
Dalla nube luminosa intesi l'eco di un profondo respiro, e la voce cosi mi parlo: "La tua risposta significa che scegliesti volontariamente di percorrere la via dell'abisso; ma se venisse il momento in cui tu abbisognassi di aiuto, puoi sempre chiamarmi, ed io correrò prontamente. Io sono Lucis e soltanto che tu mi invocherai, io ti insegnerò come condurtì fuori da ciò". Detto ciò la luce azzurrina si dileguò e rimasi solo in quella landa orribile, cadendo a terra privo di sensi.

Rimasi ivi un secolo e mezzo fino a quando, non resistendo a tanto strazio mi ricordai di quanto aveva detto la voce amica che aveva parlato nella luce azzurrina e gridai disperatamente:"Lucis, buon Lucis, aiutami! Insegnami la via della redenzione!".
Immediatamente apparve in lontananza una luminosità azzurrina, ma prima che ne uscisse la voce di Lucis, i demoni che mi circondavano si diedero a pazza fuga travolgendo, calpestando, sibilando come serpenti."

Finalmente era sorto in lui il primo albore di sincero pentimento e di attanaglianti rimorsi, con ciò iniziandosi alla propria redenzione. E finalmente, dopo un secolo e mezzo che egli anelava di ricongiungersi con la consorte adorata, gli fù possibile rivederla....

"Io poi rividi tutte le vicende della mia vita, a cominciare dalla mia fanciulezza, consapevole di emettere grida strazianti di rimorso, pronunciando nomi di vittime o brevi esclamazioni di orrore per qualche impresa spietata compiuta in nome di Dio.
In un dato momento avevo esclamato:' Giovanni il falegname, potrò mai sperare nel tuo perdono?' Io mi vidi d'innanzi una figura angelica di grande bellezza che emanava una luminosità radiosa: mi domandavo trepidante chi potesse essere, ma non osavo rivolgergli la parola, poichè vedevo in lui un inviato di Dio.
Lucis, lo spirito giuda, si rivolse allo spirito angelico cosi dicendo:

"Amico, penso che tu avrai a riprendere la forma terrena, giacchè quest'anima in pena non ti riconosce; e questo è anche il modo migliore per riavvicinarvi".

Io ascoltai meravigliato tali parole enigmatiche, ma subito dopo, e con immenso mio stupore, vidi quello spirito radioso rattrappirsi, perdere ogni splendore, di venire in tutto umano, e in un attimo trasformarsi in 'Giovanni il falegname', esile, infermo, disfatto dai digiuni, con le mani incallite dal rude lavoro.
Egli si rivolse a me parlando con la voce a me familiare:

"Amico mio, non disperare. Io vengo per una missione d'amore. Compiesti in Terra ciò che credevi il tuo dovere, e sebbene io ne abbia sofferto crudelmente, le mie prove furono un nulla al confronto di quelle patite da Nostro Signore Gesù Cristo, che a mia volta io mi sforzavo di servire nel modo creduto il migliore".

Mentre io guardavo allibito quel corpo infermo e disfatto a me ben noto, esso ridivenne per incanto il radioso spirito di prima, il quale continuando a parlarmi con la tonalità di voce di Giovanni disse: 'Fratello mio, tu mi desiderasti, ed io sono accorso. Vogliamo diventare buoni amici?".

Cosi esprimendosi, mi stese ambo le mani, ma io non osavo stringerle fra le mie. Allora egli si chinò su di me, mi gettò le braccia al collo e mi baciò in fronte.
Lucis sorridendo di soddisfazione e rivolgendosi a me, osservò: "Tu e Giovanni avrete certamente molte cose da dirvi. Vi lascio soli, ed egli sarà per qualche tempo la tua guida. Tu progredirai nella misura in cui profitterai degli insegnamenti che egli si accinge ad impartirti".

Sintesi da "La crisi della Morte" di Ernesto Bozzano

Commenti al Post:
L.u.c.e
L.u.c.e il 16/05/08 alle 12:31 via WEB
il tuo blog è molto bello e istruttivo...mi sono permessa di leggere tutti i tuoi post...complimenti per gli argomenti trattati...buonissimo venerdì...
 
TessyPD
TessyPD il 16/05/08 alle 18:15 via WEB
verrò a leggere con calma questo tuo post che ritengo interessante... grazie di cuore del tuo commento nel mio blog. ti ho risposto.. un sorriso
 
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