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SAMAR



SAMAR
Sono sola a guardare,
a guardare il sole
passare nella mia vita
sbagliata, di bambina comprata, venduta.
Mio padre Abdul per il proprio onore
ha venduto il suo fiore,
fiore di gioventù morto di schiavitù.

Abdul tu che mastichi qat,
per quel vizio elegante hai venduto Samar.
Abdul hai saldato il tuo conto e lo sposo è contento,
ma di me che sarà.
Samar, dietro al chador. Samar, dietro al chador.

Vorrei solo volare,
inseguire la luna,
fuggire un sovrano
che sporca nasconde la ruvida mano.
Penso che un uomo
ha peccato con Dio
per piacere a sé stesso
per far prevalere un unico sesso.

Abdul tu che sei il padre mio,
compri ancora il tuo qat, e non pensi a Samar.
Abdul tu che ossequi la legge, rispetti l'amico,
ma di me che sarà
Samar, dietro al chador. Samar, dietro al chador

Samar nome di donna,
in silenzio ho voglia
però devo rispetto
e cedo il mio corpo al mio turno nel letto.
L'uomo chiede ed ottiene
e placa i suoi ardori,
l'uomo delle mie pene,
mentre ascolto soltanto sfregar le catene.

Abdul tra i chador dentro al suk,
hai incontrato due occhi, era forse Samar.
Abdul hai voltato lo sguardo sopra un bel jembiah,
lei non era Samar.
Samar, dietro al chador. Samar, dietro al chador

 

 

FIGLI SPECIALI




Figli speciali

La voglia eterna urlata in quel pianto,
gli occhi che brillano dentro l'incanto,
per quella vita che ha avuto il suo tempo
di essere viva anche per un momento.

L'odore del figlio che abbracci piano,
dentro ti sale un orgoglio strano,
il bene profondo è il tuo uragano
e mentre lui cresce lo tieni per mano.

Perché tutti i figli sono speciali,
ma alcuni sono eccezionali.
Dice qualcuno che non sono uguali,
ma vivono amori, amori normali.

L'hai visto perduto nelle pupille,
il buio nel cuore e una rabbia ribelle.
Vedere quel cielo ormai senza stelle,
sentire la vita traversare la pelle.

E non è vero che tutto è finito,
anzi al contrario tutto è cominciato,
tutto è più vero é più definito
ed ogni giorno è un bersaglio centrato.

Perché tutti i figli sono speciali,
ma alcuni sono eccezionali.
Dice qualcuno che non sono uguali
ma vivono amori, amori normali.

La vita ha valori che molti non sanno,
perché la sfiorano dentro l'inganno
per figli speciali che loro non hanno,
che insegnano a vivere, loro lo fanno.

Non è dottrina per fare clamore
è una autostrada che passa dal cuore,
dona alla vita un cielo migliore,
trasforma il dolore, in un mare d'amore.

 

PADRE




PADRE

Il volto scavato dagli anni passati
le rughe sul viso capelli imbiancati.
Hai aperto la porta
ed ho visto la strada
ho sentito la voce che racconta novelle
perdersi piano in un cielo di stelle.

Ed eri una forza, tu sei la mia forza
che come una morsa mi strige a te
e io stringo una mano che risponde stringendo
quell'amore eterno che non finirà.

Mi manchi ti penso.
Mi manchi ti cerco.

In ogni momento che guardo lassù
e vedo i tuoi occhi riflessi nel blù.
Portami ancora a guardare quel mare
pieno di storie da ricordare
e fermare gli anni almeno un istante
e vederti ancora come un gigante.

Ed eri una forza, tu sei la mia forza
che come una morsa mi strige a te
e io stringo una mano che risponde stringendo
quell'amore eterno che non finirà.

 

BAMBINI E DESTINI



BAMBINI E DESTINI
Il sole che abbraccia
le culle al mattino
e fa ricordare
le fiabe al bambino,
illumina un mondo
che dolce ti avvolge,
son le braccia accoglienti
di chi ti protegge.
Per una vita che nasce sicura,
la paura diventa avventura.
Per una vita che nasce sicura,
la paura diventa avventura.
La pioggia che cade
nei giorni più neri
rabbuia le menti
e devia i pensieri,
dilaga in un mondo
che sporco ti vizia,
son le braccia vogliose
di chi ti sevizia.
Per una vita che si fa dura,
l’avventura diventa paura.
Per una vita che si fa dura,
l’avventura diventa paura.
Il vento del dio
che muove le cose
porta il bene all’oblio
in genti bramose,
e soffia nel mondo
di gente distrutta,
son le braccia arraffanti
di chi ti sfrutta.
Per una vita votata allo scopo,
il gioco è in un cerchio di fuoco.
Per una vita votata allo scopo,
il gioco è in un cerchio di fuoco.
La nebbia che avvolge
i destini più tristi
porta il buio nel cuore
e rende egoisti,
offusca un mondo
di gente allo sbando
nutrita dal sangue
di contrabbando.
Per una vita durata uno sputo,
l’uomo diventa un rifiuto.
Per una vita durata uno sputo,
l’uomo diventa un rifiuto.
I bambini del mondo
son tutti tuo figlio
sono solo una vita
che aspetta consiglio,
sono occhi che guardano
pieni d’ingegno
sono gocce di brina
sul terzo millennio.
Per una vita che nasce sicura,
la paura diventa avventura.
Per una vita che nasce sicura,
la paura diventa avventura.

 

QUELL'ACCORDO IN DO

 


Quell’accordo in do

Chitarra la tua voce
questo suono che mi piace
e quell’accordo in do
suona lento piano un po’.
Ma che rabbia che mi fai….
come mai.
Io ti ascolto e tu mi sfidi
musica allegra e tu ci ridi
parole si quante ne vuoi
parlano un po’ anche di noi
e delle notti che ci dai….
e tu lo sai.
E… canterai la mia canzone
questa chitarra e ancora unione
canteremo insieme al sole
con la voglia di riuscire.
E… canterai questa canzone
la tua chitarra e ancora unione
canteremo in riva al mare
con la voglia di restare.
Ma la vita ci separa
e ho voglia di provare ancora
quel dolce accordo in do
io ti ascolto e tu mi sfidi
musica allegra e tu ci ridi….
come mai
E… canterai la mia canzone
questa chitarra e ancora unione
canteremo insieme al sole
con la voglia di riuscire.
E… canterai questa canzone
la tua chitarra e ancora unione
canteremo in riva al mare
con la voglia di restare.
perché lo possiamo fare.

 

 

« SAMAR VINCE PREMIO LETTE...IL RUMORE DEL MARE »

IL RACCONTO "COME AQUILE" OTTIENE SEGNALAZIONE DI MERITO AL CONCORSO LETTERARIO "LE MONTAGNE IN NARRATIVA"

Post n°87 pubblicato il 26 Giugno 2009 da lutes
 

COMUNICO CON MIO IMMENSO PIACERE CHE IL RACCONTO "COME AQUILE" HA RICEVUTO UNA MENSIONE SPECIALE AL CONCORSO LETTERARIO "LE MONTAGNE IN NARRATIVA" INDETTO DAL CLUB ALPINO ITALIANO SEZ. VALTELLINESE. LA PREMIAZIONE SI E' SVOLTA A SONDRIO IN UNO SCENARIO MERAVIGLIOSO. COLGO L'OCCASIONE PER RINGRAZIARE TUTTI I PARTECIPANTI E SOPRATUTTO GLI ORGANIZZATORI DEL CONCORSO CHE HANNO FATTO UN LAVORO DAVVERO ENCOMIABILE. UN GRAZIE PARTICOLARE ALLA MIA GRANDE AMICA PATRIZIA.



COME  AQUILE



Alla vallata uno sguardo profondo e poi giù nel vuoto con un balzo deciso. Che il cielo fosse chiaro e lucente o che il vento fosse forte e impetuoso, le sue ali si aprivano ogni giorno alle correnti eoliche che scorrevano invisibili nell'atmosfera. Dal picco impervio dominava dal cielo, la terra sottostante. Occhi precisi, infallibili, che scrutavano ogni movimento, concentrati a cacciare. La neve aveva già fatto il suo corso. Già era caduta e già si era sciolta. Il sole timido di primavera adesso scaldava le ossa, che ancora una volta gioivano dopo il lungo e rigido inverno. Le distese lanose dei campi le aveva viste coprirsi di quella coltre gelida. Aveva dovuto volare in quelle bufere di vento e di ghiaccio, ad occhi semichiusi, con le ali ritratte accanto al corpo. Sola in mezzo alla natura crudele dell'inverno. Aveva passato giorni e giorni nella scanalatura del picco grande, in attesa di momenti di quiete, in attesa di giorni propizi alla sua fame. Adesso si apprestava, ancora una volta, come ogni anno, a spiccare il suo altissimo volo ed a lanciare il suo temuto grido di battaglia. Ad ali stese timonando in virate e picchiate, con la testa guardinga e fiera, passava in rassegna il suo territorio. Aveva riattivato il suo assetto da guerriera i suoi occhi lanciavano sguardi di disprezzo e di sfida, esprimendo quella rabbia, impersonata a guisa di minaccia. Era arrivata la primavera col sole tiepido e paziente, era arrivato il tempo della libertà, delle brevi correnti ascenzionali, delle lievi carezze delle brezze mattutine. Un'ombra scura che si muove sopra le gemme dell'erba fresca, si sposta in ampi giri concentrici e volteggia e plana. Al suo passaggio tutti gli occhi si sollevano verso l'azzurro del cielo assolato. Si accendono gli animi sotto l'impulso della paura, perdono la testa sotto di lei. Un coniglio lanoso intento a masticare i nuovi germogli, s'immobilizza, volta la testa e corre via, annientato dalla paura, è sperso e si allontana dal suo rifugio. Un cervo, con fierezza, smette il suo lento brucare e corre per unirsi al suo branco, lasciando che tutto accada lontano da lui. Un lupo che non si spaventa, ma rinuncia per un po al suo astuto cacciare e, spettatore di lusso, attende che il grosso rapace si serva prima di lui. Adesso che stringe nel becco possente e uncinato il membro più sciocco del suo popolino, si solleva nel cielo e aleggia silenziosa verso il picco grande, dove potrà finalmente placare la sua fame. Un coniglio grigio, innocente, l'insignificante figura di un ciclo naturale dove lui rappresenta solo la preda preferita e più facile. Ed è stato ancora lui a morire, a sacrificarsi per riportare la calma nella vallata. Per far riprendere la regolarità delle giornate. Per ridare il via al lento trascorrere del tempo che per un po sembrava essersi fermato sotto il prepotente influsso della paura. Il giorno stava piano, piano morendo sotto l'incalzare delle tenebre. L'orizzonte era infuocato dietro al picco grande, guardinga stava ancora là, stagliata contro gli ultimi raggi solari. La sua figura scura risaltava contro il vermiglio del cielo, il suo lungo becco uncinato si voltava ogni tanto, scrutando il suo regno che andava a dormire. L'avevano sorpresa le stelle. quella sera, e lei era là che pensava, la sua vita forse cominciava a pesarle, forse la sua libertà si stava trasformando in solitudine. Sfogliando col pensiero le vecchie primavere, tornavano alla mente infinità di prede e d'avventure. Crudeltà e soddisfazione si univano in un misto di fierezza e di sconforto, di appagamento e di pentimento. Mentre la notte arrivava ogni giorno più lenta. forse davvero adesso avrebbe voluto trovarsi in compagnia, magari con tutti gli abitanti della vallata a passare ore liete con loro. Sognava, sapeva che questo non era possibile, lei era la regina crudele e cosi sarebbe rimasta fino alla fine. Echeggiavano già nella valle gli insistenti cinguettii dei passerotti e lei era già piazzata sopra al suo piedistallo di pietra, pronta per un'altra giornata al comando della sua valle. Aveva guardato il sole scomparire e ora lo guardava riapparire, si era spento dietro di lei e lo vedeva adesso accendersi davanti, iniziando un'altro giorno. Adesso tutto si illuminava gradualmente, al lento salire del sole. La foresta diventava lucente, pronta ad ombreggiare il suolo, le rocce del picco si scaldavano sotto gli artigli aggrappati dell'aquila e la vallata prendeva vita nella gioia del giorno e della luce. Spiccò il volo con due possenti colpi d'ali poi le allargò e le stese, planò in un larghissimo giro, oltrepassò la foresta, giunse all'ingresso della vallata. Qui si soffermò, volteggiando in più stretti giri. Qualcosa si stava muovendo cautamente sopra al suo territorio. Veleggiando, librata in aria continuò a vigilare quell'animale. Camminava eretto sulle due gambe posteriori, mentre nelle due anteriori teneva stretto uno strano bastone. Incuriosita, si abbassò su di lui. Pur vedendola, l'animale non indietreggiò e non s'intimorì. L'aquila deviò, impresse potenza alle sue ali e timonò verso il suo rifugio. D'un tratto il silenzio venne squarciato da un tuono, l'aquila segui il rumore, alzò il capo all'orizzonte, ma non vide il temporale. Si volse allora indietro verso quell'intruso cosi spavaldo, vide il suo bastone fumante ed un passero cadere dalle fronde d'un faggio. Capi che quell'animale era più forte di lei, capi perché non aveva tremato nel vederla. Con il suo potente bastone avrebbe potuto raggiungerla anche lassù dove volava soltanto lei. Decisa a non arrendersi tanto facilmente, si rifugiò con uno strabattere d'ali nella scanalatura che le serviva da riparo nell'inverno. Cosi si accorse che era stata privata della libertà, che adesso non poteva più volare tranquilla e spensierata, si accorse che da predatrice era diventata una preda. Stava vivendo adesso quelle sensazione che lei stessa faceva vivere ogni giorno agli abitanti della sua valle. Ebbe disgusto per se stessa, si senti veramente crudele e decisamente prigioniera. Prigioniera di quella rivelazione che gli aveva fatto tanto male. Quella vita da cacciatrice che l'aveva fatta sentire libera, ora le si rivoltava contro, ora che qualcuno stava cacciando lei. Prese il suo migliore aspetto, la sua più grande determinazione, si disegnò sul volto un ghigno da guerriera e si lanciò in un volo alto e sicuro. Volò e planò sopra alla foresta, localizzò il nemico usurpatore e lo sfidò. Attese che questo impugnasse il suo bastone e lo indirizzasse verso di lei, poi si girò fulminea, cabrò con forza verso il cielo più in alto possibile. Finalmente senti tuonare ed attese. Non ce la faceva più a salire in alto, si fermò, si rese conto d'essere ancora viva. Aggrappata ad un filo di speranza e di coraggio, si buttò giù di lato e iniziò una picchiata vertiginosa verso il suo nemico, verso se stessa. Si trovò a ridosso degli alberi in un battibaleno, virò, schivò, colpi con decisione col suo becco affilato. Poi si rilevò in volo e si diresse verso il picco grande. Ferma sulla più alta roccia del picco, con il becco insanguinato. L'aquila si atteggiava fiera del suo coraggio. Inutilmente pentita del suo comportamento egoista e crudele. Doveva continuare a vivere fingendo, per conservare una reputazione conquistata rispettando i dogmi d'una vita. Ma il giorno ancora una volta si stava addormentando, il sole aveva deciso di morire ancora, l'ombra del picco aveva iniziato ad allungarsi sulla valle. Il tentativo di finire tutto in battaglia era fallito, il nuovo re non era poi tanto forte e scaltro. Ma l'aquila adesso sapeva di non essere lei, né la più forte, né la più libera, né la più sola, né la più crudele. E donato un ultimo sguardo al suo regno, si voltò verso il sole morente e gli volò incontro, sfumando in una linea scura dentro il vermiglio orizzonte.

 
 
 
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L'ODORE DELLA PACE



L'ODORE DELLA PACE

Quando son partito mi ricordo dissi: "ciao" America,
fiero ed invincibile, ho nel cuore l'America.
Sento già lontani i rumori di New York
e le luci di Manhattan nei pensieri porterò.
Mi hanno detto che la gloria vale più dei miei vent'anni,
che la pace sulla terra si protegge con le armi.

Ti ho cercato per salvarmi, via la mente dalle armi
Vi ho cercati per salvarmi, via le mani dalle armi

Mi hanno detto che obbedire e' un dovere di soldato
ma ci sparano con armi, che noi stessi gli abbiam dato.
Sento sibili paurosi, lacerare la foschia,
un proiettile nel cuore, ma la vita era la mia.
Porterete alla mia gente la medaglia alla memoria,
liberando la coscienza dal giudizio della storia, America

Ti ho cercato per salvarmi, via la mente dalle armi
Vi ho cercati per salvarmi, via le mani dalle armi

Quando son tornato a nessuno ho detto ciao, America.
come fossi nuvola, volo sopra l'America.
La bandiera a stelle e strisce i miei occhi non vedranno,
però voglio che si sappia che ho capito il loro inganno.
Se poi ci sarà la pace, questa avrà uno strano odore,
con le armi, per i soldi, e patriottico dolore, America

Ti ho cercato per salvarmi, via la mente dalle armi
Vi ho cercati per salvarmi, via le mani dalle armi

Ti ho cercato per salvarmi, via la mente dalle armi
Vi ho cercati per salvarmi, via le mani dalle armi

 

FIGLIA DEL DESERTO


Figlia del deserto
Sparano all'orizzonte,
sparano quei cannoni,
sparano nella fronte
di tutte le nazioni.
Hai lasciato quella terra,
hai lasciato la tua vita,
hai lasciato quella guerra
per poter farla finita.

Hai lasciato tutto ormai,
hai lasciato tutto ormai

Ma che ricordi hai
della tua gioventù,
diciott'anni , donna ormai,
ma il sorriso non c'è più,
muoiono le persone,
muoiono le speranze,
muoiono sul nascere
tutte le alleanze.
cadono le bombe,
cadono i soldati,
cadono nelle tombe,
uomini assassinati.
Li' non cambia mai,
fiamme rosse, fumo nero
sparano i mortai,
sembra tutto un cimitero.
E la pace e' un'utopia
e la pace e’ nella testa,
e la pace e' una follia,
una debole protesta.

Hai lasciato tutto ormai,
hai lasciato tutto ormai

C'è chi cerca di ingrandirsi,
c'è chi cerca la difesa,
c'è chi cerca di arricchirsi
e chi muore senza offesa.
Una guerra d'interessi,
cosi', senza pietà.
Strani accordi e compromessi,
chissà quando finirà.
Cadono le difese,
cadono nell'oblio,
cadono le chiese,
uomini senza Dio.
Dentro alla città,
del Dio di tre dottrine,
si respira la viltà,
di stragi e di rovine.
Il fratello e' una minaccia,
il fratello di prigione,
il fratello senza faccia,
di diversa religione.

Hai lasciato tutto ormai,
hai lasciato tutto ormai

Figlia del deserto,
dimentica il passato,
dimentica chi eri,
dimentica chi e' stato.
Ma quando alzi lo sguardo
e guardi verso oriente,
la' c’é ancora la tua terra,
la' c'e' ancora la tua gente.
Cadono i valori,
cadono di sdegno,
cadono nei cuori,
uomini senza regno.

 

L'IDOLO DI PIETRA


L'IDOLO DI PIETRA

E cadevano le foglie
come un vuoto
mi lasciarono nell’anima,
respiro di stagione che muore
e si porta via
i tramonti senza vento
che allietavano le sere
di settembre.
Ed il vento soffia ancora
ma non credere
che si fermi all’orizzonte,
lui scavalca i monti
e invade nuove terre
e si porta dietro
i semi della vita,
altri fiori coglierai
con le tue dita.

E sulla collina,
un rudere, che strano,
come idolo di pietra,
guarda il vento
che passa e va lontano.

E cadevano le foglie,
come spesso cade
il mito e la leggenda,
sensazione di illusione
e di incertezza,
che imprigiona
la tua mente nei suoi rami,
ti fa illudere che il sogno
è il tuo domani.
Ed il tempo scorre ancora,
sotto al ponte
tra il futuro ed il passato,
tra il possibile
e quello che è già stato,
più trascorre
e più ti accorgi che lo ami,
vuoi fermarlo
ma ti sfugge tra le mani.

E sulla collina,
un rudere, che strano,
come idolo di pietra,
guarda il vento
che passa e va lontano.

Ed il vento
ti prenderà per mano

Ed il vento
ti porterà lontano

 

DALLE CENERI ROSSE


DALLE CENERI ROSSE
Brilla dentro a grandi occhi,
una stilla di luce,
davanti a specchi
affacciati sul mondo
e profonda matrice,
che riprendono tristi esperienze,
di paura e dolore,
di semplici comparse
confuse tra confini e bandiere,
che un partigiano zelante
portò oltre il muro,
uccidendo l'orgoglio
di zingari senza futuro.
Lunghe file di vecchi trattori,
e sopra persone grigie,
coi volti uccisi ed i sogni perduti
nelle valige.
Come le aquile nere
scacciate dai lupi rossi,
portano stretti tra i denti e nei cuori
rancori repressi.
Quei bambini quei vecchi
quei giovani slavi,
orizzonte impazzito,
sporcato, e solcato da navi.

Bella la vita dell'uomo,
che cerca la vita nell'uomo,
che trova la vita,
nella vita dell'uomo.

Chi ha unito genti diverse,
ignorando la razza e l'etnia,
costringendoli a pensare
una sola filosofia.
Ha innescato una miccia
che un giorno e' brillata di luce,
dopo il muro ora esplode una guerra
che a morte conduce.
E i popoli vecchi signori dell'Europa unita,
in un bagno di sangue
han visto, fallire la vita.
E finito lo scempio, alla dignità,
immolata sui Balcani,
restan foto sgualcite di navi,
stracolme di mani.
E le mani degli avvoltoi,
organizzati in gran fiera,
che per loro, signori del mondo,
é una vera miniera.
Dopo la tempesta tutto sembra finito,
dalle ceneri rosse é riemerso,
il fantasma di Tito.

Bella la vita dell'uomo,
che cerca la vita nell'uomo,
che trova la vita,
nella vita dell'uomo.

E forte il vento dell'ambizione,
é tornato a far male.
Saran puniti, i figli cattivi,
del generale.
Il padrone ha suonato i tamburi,
la terra trema,e la vita si piega
nel suono di una sirena.
Bambini tremanti,
ammassati alle sbarre,
e insigni assassini che tramano,
dietro le guerre.

Bella la vita dell'uomo,
che cerca la vita nell'uomo,
che trova la vita,
nella vita dell'uomo.

Bella la vita dell'uomo,
che cerca la vita nell'uomo,
che trova la vita,
nella vita dell'uomo.

 

TESTO L'ABISSO NEGLI OCCHI

 

L'abisso negli occhi

Stanno parlando e quell'immagine
indugia senza fretta
su una periferia, una scuola
una casa maledetta.
Gente che si ferma,
nel punto illuminato
e cerca di parlare
e dire cosa è stato.
Mentre le domande volano
per chi potrà giovarne
trapassano le carni
di chi non sa che farne.
Di chi non sa che farne.
Di chi non sa che farne.

Cerco di conoscere l'abisso,
oltre il confine di un riflesso
che è passato come un lampo,
in quegli occhi senza tempo.
Come una ruga di dolore,
che dagli occhi arriva al cuore,
che annerisce quel destino,
fumo sporco dal camino.

Un delirio che ha infranto
lo specchio dello stagno
e avvolge la mia mente
nella tela del suo ragno.
Se ci fosse una ragione,
anche fosse la più estrema
perché adesso la mia voce,
la mia voce trema, trema di dolore,
per quella rabbia sorda
che vede indifferenza
e stringe la sua corda.
E stringe la sua corda.
E stringe la sua corda.

Cerco di conoscere l'abisso,
oltre il confine di un riflesso
che è passato come un lampo,
in quegli occhi senza tempo.
Come una ruga di dolore,
che dagli occhi arriva al cuore,
che annerisce quel destino,
fumo sporco dal camino.

 

 

 

 

 
 

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