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L'ambiguitāstorica del Socialismo italiano

Post n°39 pubblicato il 16 Gennaio 2015 da giulio.stilla

 

L'AMBIGUITA' STORICA DEL "SOCIALISMO" ITALIANO  

Mercoledì scorso, 14 Gennaio 2015, alle ore 10,35, è deceduta la Prima Repubblica Italiana, perché, a mio modesto e sommesso parere, con le dimissioni di Giorgio Napolitano dalla carica di presidente della Repubblica, dopo 25 anni dalla caduta del Muro di Berlino, tramonta anche il Socialcomunismo all'italiana. Non mi si dirà che il Senatore Giorgio Napolitano non sia stato comunista o, se lo è stato, ha interpretato piuttosto, fin dagli anni '50,  il ruolo di leader dell'area cosiddetta "migliorista", ispirata da un altro Giorgio, cioè Giorgio Amendola, che riteneva che il Partito Comunista Italiano si dovesse spostare su posizioni socialdemocratiche ed antistaliniste.

Purtroppo, per l'Italia e per i miglioristi alla maniera del Senatore Napolitano, non sarà mai così, perché, quando si trattò di prendere una decisione nettamente socialdemocratica ed uscire dal PCI, come fecero molti altri  -   per esempio, ne cito uno per tutti : ANTONIO GIOLITTI, amico, compagno e sodale di Giorgio Napolitano  -    dopo la cruenta repressione sovietica della Rivoluzione magiara in Ungheria, nel 1956, il nostro ormai ex- Presidente della Repubblica Italiana preferì rimanere nel grembo del PCI, marxista e leninista.

Anzi, si apprende da fonti giornaliste che, quando l'altro migliorista, on. NAPOLEONE COLAJANNI, si esercitava a criticare con forti contrasti il "Centralismo Democratico" del Partito, il Senatore GIORGIO NAPOLITANO trovò la maniera per etichettarlo con la non troppo elegante locuzione di "cane sciolto".

Al che, il parlamentare siciliano Colajanni avrebbe risposto: " ... e tu sei una cane da grembo".

Ecco, anche per me il senatore Giorgio Napolitano è rimasto sempre un uomo dell'apparato e, nonostante la sua leadership migliorista, non trovò mai l'ardimento di portare il PCI su posizioni socialdemocratiche, nemmeno in questi mesi di governo dell'ex-sindaco di Firenze, Matteo Renzi.

 Mi permetto di aggiungere altresì che, forse, con l'uscita di scena dell'ultima espressione del Comunismo all'italiana e con  Matteo Renzi, Primo Ministro, il Partito sarà finalmente traghettato nell'area del Socialismo democratico europeo.

Questo salto di qualità, storicamente decisivo per le sorti della democrazia italiana, avverrà secondo me, con l'elezione del nuovo Presidente della Repubblica - chiunque egli sarà  -  e il varo delle riforme istituzionali, fra le quali sarà molto importante adottare le elezione diretta da parte del popolo sovrano del futuro Capo dello Stato.

 

Nella tradizione della "Sinistra" politica italiana, infatti, cioè del "Socialismo", è sempre mancata una chiara e decisa strategia politica, perché è sempre mancata una visione lungimirante delle sorti  a cui affidare il futuro  del Paese. La storia del "Socialismo" in Italia dimostra come, per tutto il Novecento,  la Sinistra sia rimasta  combattuta in una sorta di ambiguità tra la spinta massimalista e rivoluzionaria, da una parte, e quella riformista e gradualista, dall'altra.

  L'attesa del "Sol dell'Avvenir", in verità, anche in quei Paesi a maggior vocazione rivoluzionaria, non ha mai riscaldato le menti dei pensatori liberi da costrittive  strutture ideologiche, che hanno inteso sempre che i sogni possono trascinare le masse nelle rivoluzioni più violente e radicali, ma quasi sempre, ovvero sempre non danno seguito reale agli ideali di pace, di uguaglianza e di giustizia sociale, per i quali con le  rivoluzioni cruente della storia o con la guerre fra gli Stati sono stati mandati al patibolo o trucidati milioni di uomini.

Questo è successo con la Rivoluzione Francese del 1789 in Francia, con le due Guerre Mondiali del '900,  con la Rivoluzione Sovietica in Russia del 1917, con la pseudo-Rivoluzione Fascista del 1922 in Italia, con la follia demoniaca del Nazismo del 1933 in Germania.

Con tutti questi sconvolgimenti del nostro non lontano passato, gli ideali dell'Umanità non hanno  fatto nessun passo in avanti sulla strada del progresso materiale  e dell'evoluzione morale e spirituale delle genti.

E' stata ritardata l'emancipazione dei popoli e la democrazia politica, formale e sostanziale,  come aspirazione di tutte le libertà e della giustizia sociale, è rimasta un fascino illusorio.

In Inghilterra, infatti, o negli Stati Uniti, Paesi in cui non c'è stata mai una "Rivoluzione" sanguinaria, sull'esempio di quella francese, il corso della civiltà ha registrato un andamento più spedito e il processo evolutivo per la conquista e l'esercizio effettivo dei diritti fondamentali dell'uomo ha assicurato ai cittadini  una democrazia liberale, politica e sociale, matura e più sollecita a interpretare le ansie di riforme e di ammodernamento delle istituzioni e dei corpi sociali intermedi per il benessere e il progresso della società civile.

Questo "spirito" di rivoluzionare il mondo è rimasto, sotto molti rispetti, in terra di Francia, che, al momento opportuno, quando le capita di mostrare la sua presunta grandezza storica, non esita "la Grandeur" a fomentare rivoluzioni e ad affermare il suo ricorso alle armi. E' successo recentemente  con il primo ministro Sarkozy, che ad ogni costo volle portare la guerra alla Libia di Gheddafi, con la complicità degli Stati Uniti e del Presidente della Repubblica Italiana, Giorgio Napolitano, e contro la volontà del Presidente del Consiglio, Silvio Berlusconi. Il risultato di questa guerra folle, e non affatto lungimirante, è stato che, oggi, la Libia è terra di scorribande terroristiche, a poche centinaia di chilometri dalle coste italiane.

Mi si obietterà che Sarkozy è un personaggio a definizione politica di "destra"; sì, tanto di "destra" che ha continuato a non accorgersi, insieme con gli uomini politici di "sinistra", che gli stragisti jihadisti non si trovavano nelle  Libia di Gheddafi, ma in terra di Francia.

 A parte il fatto, quindi, che io non ho mai creduto a questa bipartizione tra Destra e Sinistra, tanto che oggi è largamente superata dai mutamenti storici provocati dalla globalizzazione, dalla crisi finanziaria, economica e sociale e dalla minaccia terroristica dell'estremismo islamico. Ma, molto spesso, anche nel passato storico, uomini cosiddetti di "sinistra" hanno fatto politiche di "destra", e uomini di "destra" hanno fatto politiche di "sinistra". Potrei addurre una lunga sequela di esempi, ma occorrerebbe un lungo trattato di argomentazioni e di riflessioni da portare a sostegno di questa tesi. Mi limito  a dire soltanto che nella nostra attualità politica molti sono gli osservatori all'interno dei cosiddetti partiti di sinistra che si dicono d'accordo con i commentatori dei cosiddetti Partiti di destra nel ritenere che le politiche del nostro Presidente del Consiglio siano orientate a conseguire obiettivi e traguardi che tradizionalmente erano perseguiti dai governi di destra o, comunque, non di sinistra. Basti considerare le recenti lotte sindacali della CGIL sull'art. 18 e su altri aspetti importanti della legislazione sociale e del lavoro, su cui Susanna Camusso è determinata ad organizzare una serie di scioperi generali pur di contrastare l'zione cosiddetta riformatrice di questo governo Renzi.

Ma, andando indietro, agli inizi del secolo scorso, la storiografia più libera, quella cioè più scientifica e più decondizionata dagli opportunismi e dalle preclusioni di ogni sorta, fra le diverse interpretazioni addotte sulle origini del Fascismo in Italia, non è mai mancata quella che ravvisa nel socialismo rivoluzionario del futuro duce del fascismo  -  complice il sindacalismo rivoluzionario di matrice soreliana  -    la grande componente fondamentale della nascita e dell'avvento del Fascismo.

Non deve, infatti, sorprendere nessuno, se, andando ad indagare nella biografia politica di Benito Mussolini, ricaviamo conoscenze appropriate, non solo della personalità del futuro Duce, del suo carattere,  del suo temperamento e della sua formazione politico-culturale, ma altresì abbiamo una conoscenza esaustiva delle vicissitudini, delle scissioni e delle espulsioni che caratterizzarono la vita del Partito Socialista Italiano nei primi venti anni del '900. Si capisce così come  il Fascismo abbia avuto origine da una costola della Sinistra.

 La sua scaturigine socialista e rivoluzionaria la troviamo documentata negli articoli del Manifesto Programmatico del Fascismo "primigenio", fondato in Piazza San Sepolcro, a Milano, il 21 marzo del 1919. Mi ricordo di aver letto da qualche parte, in una delle biografie di Lenin, che il grande rivoluzionario russo ebbe a dire di Mussolini, stigmatizzando il Partito Socialista Italiano: "Avevate un solo vero rivoluzionario e l'avete cacciato dal Partito".

Nel 1936, il Partito Comunista d'Italia, teleguidato, da Mosca, da Palmiro Togliatti, si disse disposto a fare proprio il Programma di San Sepolcro per stringere alleanze con "i fratelli in camicia nera". (Paolo Buchignani, "La Rivoluzione in camicia nera", Le Scie Mondadori, Milano, 2006, pag. 106).

E' ovvio che Togliatti, formatosi al più cinico machiavellismo, intendeva adoperare anche con il Fascismo, in un tempo del suo massimo consenso popolare, uno dei più importanti assunti della strategia comunista internazionale: stabilire alleanze, in quei Paesi dove non era possibile la Rivoluzione Sovietica, anche con la borghesia, anche con il fascismo per prendere il Potere in Italia.

La Repubblica Sociale Italiana di Salò, fondata ufficialmente con il Congresso di Verona, il 14 Novembre del 1943, in un estremo quanto disperato tentativo di salvare il fascismo e l'Italia Settentrionale dalle furie e dalle ritorsioni naziste, riaffermava, nella sua "Carta Sociale" programmatica, i principi socio-economici e politici del Programma di San Sepolcro, accentuandone i caratteri socialisti e radicali propri della sua origine "movimentista".

Ma se questa è stata la parabola tragica del "socialismo rivoluzionario" di Benito Mussolini, non esente di responsabilità, scissioni, mancanza di lungimiranza politica e drammi interni fu il Partito Socialista del segretario Giacinto Serrati Menotti, nel periodo di tempo che va dallo scoppio della Prima Guerra Mondiale a tutto l'arco del cosiddetto biennio rosso (1919-1920).

Dopo l'uccisione dell'erede al trono d'Austria, Francesco Ferdinando, a Sarajevo, il 28 giugno1914, cent'anni orsono, quando la bufera della guerra si avvicinò anche sulle sponde del nostro Paese, i massimalisti di Serrati erano contro l'intervento dell'Italia in guerra, persuasi di "non aderire".  I riformisti di Filippo Turati, invece, sostenevano la convinzione di "non sabotare". L'ambiguità politica di un grande partito postrisorgimentale era già evidente in un momento  particolarmente cruciale per i destini dell'Italia. Si pensi ancora al periodo del Biennio rosso, sopra menzionato, quando, in attesa di suonare la tromba  della rivoluzione bolscevica anche in Italia, il partito di Serrati rifiutò qualsiasi collaborazione con i Liberali di Giolitti e i Popolari di Don Luigi Sturzo, creando le condizioni di un vuoto politico nel Paese e favorendo così la nascita e l'avvento del Fascismo.

 Pochi giorni prima della marcia su Roma delle squadre fasciste, i riformisti di Filippo Turati, in un affrettato congresso a Roma, decidevano di uscire dal Partito Socialista per fondare il Partito Socialista Unitario (PSU) e collaborare con i moderati liberali e popolari. Ma ormai era troppo tardi. Il 27 e 28 ottobre 1922, i "Fascisti della Rivoluzione" erano a Roma.

Nel gennaio del 1921,  a Livorno, fu invece la sinistra massimalista ad uscire dal Partito Socialista e fondare il Partito Comunista, con la conclusione programmatica di dar vita alla rivoluzione sovietica in Italia. La rivoluzione non ci sarà. Saranno i Fascisti a prendere il Potere.

Dopo la Seconda Guerra Mondiale, l'11 gennaio del 1947,  al congresso di Palazzo Barberini, a Roma, Giuseppe Saragat, il futuro Presidente della Repubblica Italiana, in forte contrasto con la linea politica di Pietro Nenni, guida la scissione riformista dal PSI, che resta sostanzialmente filocomunista. Nasceva cosi Il Partito Socialdemocratico, il PSDI.

Negli anni successivi, fino ai nostri giorni, scissioni e mini-scissioni si succedono a ritmi costanti  -  Psiup, Psdi, Psu. Pds, fino allo scioglimento del PCI alla Bolognina di  Bologna, il 3 febbraio 1991, guidato da Achille Occhetto, e poi il Partito della Rifondazione Comunista -    confermando la natura genetica della Sinistra italiana sempre in lotta con se stessa, alla ricerca perenne di una sua precisa identità, sempre combattuta tra la tendenza violenta, oltranzista e rivoluzionaria e quella riformista e democratica,  incapace di seguire l'esempio della Sinistra tedesca, che dopo il Secondo Conflitto Mondiale seppe strutturarsi in una grande partito di sinistra democratica, il SPD, con il mirabile  vantaggio della stabilità politica ed economica della Germania.

 Ancora tuttora, all'interno del PD di Matteo Renzi, si fa fatica a capire quale sia o quale sarà la linea politica di un grande Partito di Sinistra che alle ultime elezioni europee ha riportato oltre il 40% del consenso dei votanti. A giudizio del filosofo Massimo Cacciari, che ha sempre ostentato la sua formazione intellettuale di chiara matrice di sinistra, nel Partito Democratico attuale non solo manca una chiara e ben definita strategia politica, univoca e consapevole, ma sono latitanti le grandi stature degli uomini politici del passato, capaci di interpretare la drammatica realtà politico-economica italiana, dilaniata da una crisi sociale, superiore a quella attraversa dall'Italia dopo il 1929.

E come gli si potrebbe dare torto, se solo consideriamo che all'ultima festa dell'Unità, l'ex ministro della Pubblica Istruzione, Giuseppe Fioroni, di origine democristiana, confluito nell'Ulivo di Romano Prodi, propose di celebrare la memoria di due grandi icone della storia politica italiana: Alcide De Gasperi e Palmiro Togliatti. Il primo per cinque volte Presidente del Consiglio della neonata Repubblica Italiana,  dal 1947 al 1953, grande promotore della ricostruzione del Paese dalle macerie materiali e morali lasciate dalla guerra e decisivo sostenitore delle scelte occidentalistiche dell'Italia in stridente e violento contrasto con le prospettive politiche e strategiche di Togliatti, segretario del PCI.

Sono ampiamente documentati dai resoconti parlamentari e dai giornali dell'epoca le espressioni gravi e pesanti che lo stratega del Comunismo italiano scaricava ad ogni occasione sulla figura del grande statista democristiano, autore delle più grandi scelte politiche mai adottate dai governi italiani, a partire dalla sua partecipazione alla Conferenza di Pace di Parigi, dove e quando, in pieno consesso ostile internazionale, trovò il coraggio di riscattare la dignità di una grande nazione, avviando un irreprensibile discorso con le storiche, celebri e sofferte parole:

 

 "Prendendo la parola in questo consesso mondiale sento che tutto, tranne la vostra personale cortesia, è contro di me: e soprattutto la mia qualifica di ex nemico, che mi fa considerare come imputato e l'essere citato qui dopo che i più influenti di voi hanno già formulato le loro conclusioni in una lunga e faticosa elaborazione.

Non corro io il rischio di apparire come uno spirito angusto e perturbatore, che si fa portavoce di egoismi nazionali e di interessi unilaterali?

Signori, è vero: ho il dovere innanzi alla coscienza del mio Paese e per difendere la vitalità del mio popolo di parlare come italiano; ma sento la responsabilità e il diritto di parlare anche come democratico antifascista, come rappresentante della nuova Repubblica che, armonizzando in sé le aspirazioni di Giuseppe Mazzini, le concezioni universalistiche del cristianesimo e le speranze internazionaliste dei lavoratori, è tutta rivolta verso quella pace duratura e ricostruttiva che voi cercate e verso quella cooperazione fra i popoli che avete il compito di stabilire.........................."

 

Alcide De Gasperi moriva il 19 agosto 1954, nella sua casa di Val di Sella, pronunciando più volte il nome di "Gesù".

 Recentemente, è stata pubblicata sulla rivista "Critica Marxista" del mese di Settembre 2014, una lettera inviata da Togliatti, subito dopo la morte di De Gasperi, in data 25 agosto 1954, al compagno Fausto Gullo, in cui vengono ricordate: "le dichiarazioni, volgari, vergognose, fatte da De Gasperi per la morte di Stalin". Ovvero si leggono apprezzamenti di questo tenore: "quello che mi ha sempre colpito è che l'asprezza e talora la violenza dell'attacco politico fossero legate non solo al sacrificio del comune senso di umanità, ma soprattutto al sacrificio dell'intelligenza, della luce intellettuale, vorrei dire".  Scriveva ancora di aver ravvisato spesso nelle espressioni politiche del leader democristiano "qualcosa di torbido e di ottuso, dettate non da una passione grande, ma da una  cattiva piccineria".

Palmiro Togliatti, il famoso "Compagno Ercoli", moriva per emorragia cerebrale, il 21 agosto del 1964,  a Jalta, sulla penisola della Crimea, dove si trovava con la compagna Nilde Iotti, per ritemprarsi dalla fatiche , di ritorno da Mosca, dove aveva avuto un importante incontro con il compagno Leonid Breznev, il dittatore assoluto dell'Unione Sovietica, colui il quale, esattamente 4 anni più tardi, il 20 agosto del 1968, manderà i carri armati del Patto di Varsavia a gelare nel sangue la "Primavera di Praga" di Alexander Dubcek, 12 anni dopo la sanguinosa repressione della rivolta dei mangiari  in Ungheria, con la migliore benedizione di quasi tutti i "migliori" comunisti italiani, alcuni dei quali ancora vivi e  bene inchiodati sulle poltrone del potere democratico della Repubblica Italiana.

 Non penso che tutto questo l'ex-ministro della Pubblica Istruzione, Giuseppe Fioroni, non lo sappia; e se lo sa, perché proporre alla festa dell'Unità la commemorazione di due leader, che in vita furono insieme, nel Parlamento italiano, come il diavolo e l'acqua santa?

Evidentemente, per compiere un grosso e rozzo falso storico e compiacere tutti i cattocomunisti, come lui,  offendendo la intelligenza e la memoria di tutti quegli italiani, come me, che, nel 1968, giovane studente universitario, piangeva in pubblici comizi la morte di un altro giovane universitario praghese, Jean Palack, che, in Piazza San Venceslao, ai piedi della Scalinata del Museo Nazionale, a Praga, dopo essersi cosparso di benzina, si diede fuoco, bruciando come torcia umana per l'amore della libertà sua e del suo nobile Paese.

Tutto questo Giuseppe Fioroni, forse, non lo sa, perché, se lo avesse saputo, non avrebbe fatto quella oscena proposta di commemorare, insieme con Togliatti  -   che aveva plaudito a tutte la invasioni barbariche dell'Unione Sovietica  -   anche Alcide De Gasperi, dando prova, così,  di  non conoscere correttamente la straordinaria figura storica dello Statista democristiano.

L'on. Fioroni, confuso dalla sua malevola memoria, non poteva trovare collocazione politica migliore di quella trovata nel PD dell'ex-sindaco di Firenze, partito nel quale, in coerente rispetto della tradizione politica della sinistra italiana di tutti i tempi, la confusione regna sovrana.

Non ci sono leadership capaci di sovrastare le contese di un pollaio, dove figurini mediocri, armati del segreto delle urne parlamentari mirano a sabotare i progetti socialdemocratici del segretario del Partito. Una modesta pattuglia di parlamentari che fanno capo ai vari  Civati, Fassina, Cuperlo ecc.  -  testa di ponte del Sindacato di Susanna Camusso  - gioca e minaccia scissioni massimaliste a sinistra più per il gusto di apparire che per i concreti programmi di riforme che dovrebbero portare l'Italia fuori dalla crisi.

Mi si obietterà, come al solito, in mancanza di argomentazioni convincenti, che, nel Partito Democratico dei nipotini di Togliatti, si discute per raggiungere una sintesi, che non arriva mai, o, meglio, quando arriva, in piena coerenza con il percorso storico della Sinistra Italiana, arriva per distruggere e non per costruire.

Mi viene in mente di dire  che il divenire storico della Sinistra Italiana somigli tanto al processo dialettico meditato da Giovanni Amedeo Fichte  - naturalmente con tutto il rispetto per il filosofo tedesco  -  fatto di tesi ed antitesi, ma la sintesi, cioè il pieno possesso del "finito", non arriverebbe mai, perché sempre impalpabile e rimandato all"Infinito". Era questo, infatti, il giudizio che esprimeva Hegel sulla filosofia dell'autore dei "Discorsi alla nazione tedesca", con il precipuo intento di dimostrare  che la vera dialettica della Ragione e della Realtà sia quella pensata, interpretata ed espressa dalla sua "Enciclopedia delle Scienze Filosofiche".  Per queste, la sintesi hegeliana chiude il circolo ermeneutico della Ragione in pieno possesso della Realtà ad ogni giro di spirale, costruendo così la grande Storia del Mondo ed escludendo il "trionfo della cattiva infinità", teorizzato da Fichte e vissuto sempre, in chiave politica, dalla Sinistra Italiana, sempre abile a rimandare all'infinito ovvero al "Sol dell'Avvenire" le determinazioni concrete della realtà.

Chiedo scusa per questa fuga nel difficile campo minato dell'Idealismo Romantico Tedesco, ma desidero affermare che la sintesi della dialettica politica della Sinistra Italiana è sempre impalpabile o scarsamente edificante con le drammatiche conseguenze negative per il progresso civile e democratico dell'Italia, dal momento che la Storia del Socialismo  Italiano, in senso lato, come partito postrisorgimentale e postfascista, si è sempre strutturata come parte costituente della Storia del Novecento Italiano

Non intendo, con questo, negare le lotte e i contributi molto spesso decisivi promossi dalla Sinistra per le indubbie conquiste sociali ripotate nelle codificazioni legislative del nostro Paese, ma sostenere che, nei momenti cruciali delle grandi svolte politiche, la Sinistra Italiana  -  voglio dire la totalità della Sinistra, quella lacerata dalle lotte intestine, con un PCI che resta fermo sugli insegnamenti classici di Marx, Lenin, Labriola, Gramsci, ecc.  -  non è capace di ripercorrere le stesse esperienze socialdemocratiche europee,  smarrisce la sua coerenza, non è funzionale al suo Paese, non è né il Partito organico della Rivoluzione né il Partito delle grandi Riforme Sociali,  che l'Italia aspetta da decenni, a partire dal primo governo-organico di Centro-sinistra, guidato dall'On Aldo Moro.

Con la "svolta della bolognina", dopo il crollo del muro di Berlino, nel 1989, guidata dall'ultimo segretario del PCI, Achille Occhetto, si è sperato che la Sinistra Italiana volesse approdare su una sponda socialdemocratica antitetica a quella liberaldemocratica, che pure aspetta, da  sempre, di essere costituita: la rive gauche contrapposta alla rive droite,  direbbero i Francesi. La riva sinistra contrapposta alla riva destra, in un libero gioco democratico dell'alternanza, eliminando l'anomalia tutta italiana di un sedicente Centro Politico, che non ha mai garantito stabilità e democrazia, perché sempre affollato da partitini clientelari e stravaganti voltagabbana in febbrile e perenne ricerca di sopravvivenza.

Non è stato così. La "gioiosa macchina da guerra" di Achille Occhetto rimase impantanata nella palude della retorica dei dogmi tradizionali, della demagogia populistica, della presunta superiorità  morale e intellettuale,  - si può essere più mentecatti di quelli che riducono la "moralità" e la "intellettualità" a categorie di appartenenza ad un Partito politico !!!   -  in ricorrenti crisi di scissioni, che minacciose si stagliano ancora tuttora sull'orizzonte di Matteo Renzi, che dà spesso da intendere di esorcizzarle con accordi palesi o sotterranei con l'arcinemico dell'ultimo ventennio, il cav. Silvio Berlusconi.

Ce la farà questo Partito, appartenuto un tempo alla "gloriosa" Internazionale Socialista, ad uscire dall'ambiguità e a dare, prima che a se stesso, all'Italia, non un futuro illuminato dal Sol dell'Avvenire, ma un Presente certo, fatto di grandi riforme socio-economiche e sorretto da grandi svolte politiche ed istituzionali?

Non ce la farà? Allora, l'Italia resterà nel pantano sdrucciolevole del Socialismo che predica  buone intenzioni, ma che in effetti resta prigioniero della sua natura, sempre combattuta tra massimalisti e riformisti, in una esasperante ambiguità.

Mutuando il titolo di uno scritto della filosofa francese Simone de Beauvoir, "Per una morale dell'ambiguità", sembra proprio che la Sinistra italiana sia  perseguitata da una morale dell'ambiguità, nel senso che predica il bene e il benessere dei cittadini, soprattutto di quelli più poveri e diseredati, e poi confluisce nella stagnazione del male e nella dissennatezza dell'ambiguità.

Ma, con la elezione del prossimo Presidente della Repubblica, io ritengo, da inguaribile ottimista, che approderà sulle coste dell'Italia la nave "Esperia", nome che significa "Terra dell'Occidente",  con il quale gli antichi Greci chiamavano la nostra Penisola.

Sbarcherà così la vera seconda Repubblica Italiana, presidenziale o semipresidenziale, che, sotto l'impulso del nuovo Capo dello Stato, varerà tutte le riforme necessarie all'Italia di oggi, per uscire dalle secche della crisi economica, sociale e politica, determinando in terra di Esperia il tramonto definitivo, anche se, in verità, mai nato, del "Sol dell'Avvenire".

 

 

 

 
 
 
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