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La società aperta e i suoi nemici (3a)

Post n°50 pubblicato il 10 Settembre 2015 da giulio.stilla

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

“LA SOCIETA’ APERTA E I SUOI NEMICI”       (3 a)

   ( MARX )                   di    K. R. POPPER

 

Con la filosofia sociale di Marx, Karl Popper si mostra abbastanza comprensivo delle ragioni che spinsero il filosofo di Treviri a scoprire le leggi fondamentali che regolano lo sviluppo storico, travestendo lo storicismo hegeliano con la conversione dello “Spirito” in “Materia”, del processo triadico razionale in lotta inesorabile di categorie economiche e sociali fino alla estrema sintesi della dittatura del proletariato.

Lo storicismo di Marx, però, aveva una scaturigine motivazionale diversa da quella dello storicismo hegeliano. Tutte e due hanno la presunzione di dettare le regole in virtù delle quali si sviluppa la storia degli uomini, ma Marx,  a giudizio critico di Popper, è mosso da una profonda carica umana, volta a liberare l’uomo dalla schiavitù e dall’alienazione da se stesso, dal proprio lavoro e dal prossimo, in cui l’aveva precipitato il capitalismo moderno.

Marx amava la libertà ed odiava tutto ciò che avesse il potere di rendere schiavo l’uomo. Non odiava la ricchezza o la povertà in termini assoluti, ma, sospinto da una necessità etica, detestava la libertà formale delle democrazie liberali che emarginavano il povero e lo sfruttato soprattutto dalla gestione politica della società.

Egli, quindi, amava la società aperta, ma non si avvide dell’errore che ereditava dalla  filosofia “oracolare” di Hegel: cioè, la pretesa di predire il corso della storia e la fiducia nel corso inarrestabile del progresso umano, quasi fosse una legge immodificabile di madre natura.  Non esistono leggi scientifiche immodificabili ed universali che possono mettere al riparo l’uomo da una inversione di tendenza involutiva fino a regredire nello stato ferino di partenza. L’ottimismo storicistico di Hegel e di Marx è assolutamente ingiustificato.

Alla lista dei tesori spirituali ereditati da Hegel, certo, bisogna ascrivere la convinzione di Marx che una dottrina scientifica o filosofica deve produrre necessariamente risultati concreti, altrimenti non serve a niente. Un’attività mentale fine a se stessa potrà avere un senso sul piano delle pure elucubrazioni o immaginazioni, ma, se non trasforma la realtà, se non ha conseguenze pratiche, resterà sempre una costruzione teorica assolutamente priva di validità scientifica. La meta ultima del pensiero di Marx era quella di conciliare realtà e razionalità, che Hegel aveva solo meditato, ma che Marx ritiene che si debbano incontrare sul terreno della prassi per costruire la società socialista, aperta, senza alienazione e senza sfruttamento.

 L’interesse del filosofo-scienziato doveva essere quello di trasformare la realtà, non solo di interpretarla.

Nel sottolineare i limiti del pensiero di Ludovico Feuerbach, a cui riconosce grandi meriti, soprattutto quello di aver superato criticamente la dialettica hegeliana, rimprovera al vecchio maestro di essere rimasto, tuttavia, catturato dalla vecchia filosofia contemplativa e speculativa e di non aver capito che “i filosofi hanno solo interpretato il mondo in modi diversi, si tratta però di mutarlo” (XI tesi delle “Tesi su Feuerbach”).

E nell’Ideologia Tedesca, opera scritta a quattro mani da Marx e da Engels, per comprendere ancor meglio che l’obiettivo di Marx non era neppure quello di essere considerato un filosofo-scienziato della rivoluzione, ma semplicemente un “rivoluzionario”, impegnato a risolvere la teoria nella prassi, i due filosofi del materialismo storico e dialettico svolgono  una critica serrata soprattutto nei riguardi degli “Ideologi” della sinistra hegeliana, che non ebbero la ventura di capire che non sono le “idee” a trasformare il mondo, ma le lotte economiche e sociali a determinare il corso della storia.

 Il socialismo utopistico doveva maturare la risoluzione di abbandonare i vecchi arnesi della “ideologia” e di farsi socialismo scientifico e rivoluzionario, consapevole del fatto deterministico che a determinate cause storiche succedono determinati effetti e che, pertanto, delineare una predizione storica, una “profezia” scientifica degli eventi non solo era possibile, ma doveroso.

Sotto questo rispetto, osserva Popper, il materialismo storico non è da considerarsi nemmeno una teoria scientifica, perché non avrebbe il collaudo del principio di verificazione né quello della fallibilità, ma sarebbe soltanto un metodo, ridotto e inteso come tale soprattutto da Benedetto Croce, che in “Materialismo storico ed economia marxista”, un’opera del 1900, argomenta che il marxismo è accettabile “come semplice canone d’interpretazione storica”.

Karl Popper rincara la dose e in ossequio ai suoi convincimenti epistemologici scrive che un metodo di indagine, per quanto possa essere considerato corretto, resta sempre un metodo, non esente dal fatto di essere passibile di critiche. “Credo che sia assolutamente corretto sostenere che il marxismo è, fondamentalmente, un metodo. Ma è sbagliato credere che, in quanto metodo, debba essere al riparo di ogni attacco. La verità è, più semplicemente, che chiunque intenda giudicare il marxismo, deve metterlo alla prova e citarlo in quanto metodo, cioè deve valutarlo in base a criteri metodologici. Deve insomma chiedersi se è un metodo fecondo o sterile, cioè se è o non è capace di favorire il compito della scienza. I criteri in base ai quali dobbiamo giudicare il metodo marxista sono dunque di natura pratica. Definendo il marxismo come la più pura forma di storicismo, ho implicitamente affermato che ritengo il marxismo estremamente povero”. ( Op.cit. pagg. 112-113).

Il marxismo, quindi, non è nemmeno una teoria, essendo questa nella scala delle “certezze”, posizionata su un gradino appena al di sopra di una ipotesi, ma a maggior ragione non può essere considerato una lettura oggettiva di presunte leggi che sottendono al corso degli eventi storici. Per Karl Popper, anzi, anche la legge scientifica, per quanto convalidata dai fatti, resta una legge fino a quando non sia smentita da un’altra legge, che della prima sancisce la sua falsificabilità.

 Si figuri se lo storicismo di tutti i tempi e di tutte le peculiarità, e, quindi, anche   lo storicismo economico di Karl Marx, che avrebbe la pretesa di aver individuato le leggi   che dipanano i processi storici, potesse avere una pur minima considerazione da parte del filosofo della scienza, Karl Popper.

Il Manifesto del Partito Comunista”, scritto da Marx su incarico della”Lega dei Comunisti”, si rivela una sintesi estremamente efficace e chiara della sua interpretazione storicistica del mondo. In esso il filosofo di Treviri, in collaborazione con Engels, sviluppa soprattutto la tesi delle “lotte di classi”.  Il soggetto fondamentale che fa girare la ruota della storia è “la lotta di classe”.  Scrive nel Manifesto: “La storia di ogni società, esistita fino a questo momento, è storia di lotte di classi. Liberi e schiavi, patrizi e plebei, baroni e servi della gleba, membri delle corporazioni e garzoni, in breve, oppressori ed oppressi, furono continuamente in reciproco contrasto, e condussero una lotta ininterrotta, ora latente ora aperta; lotta che ogni volta è finita o con una trasformazione rivoluzionaria di tutta la società o con la comune rovina delle classi in lotta”.

Un criterio siffatto d’interpretazione della storia non sarebbe stato uno scandalo per nessuno, se fosse stato presentato da Marx come uno dei metodi, in mezzo a tanti, per la ricostruzione degli eventi storici.  Invece, per Marx, l’unica chiave di lettura per conoscere realmente la storia era il suo materialismo dialettico. Hegel aveva avuto il grande merito di capire che il motore della storia è la lotta delle forze che scendono in campo, ma il grande torto di non aver capito che queste forze non sono ideali  o spirituali, ma concrete e produttive; non è  lo Spirito che muove lo svolgimento della storia, ma sono le classi sociali ed economiche che determinano i processi dialettici degli avvenimenti storici.

Le forze produttive, diventando sempre più estese e più dinamiche, finiranno fatalmente per confliggere con i rapporti di produzione o di proprietà, che in contraddizione con le prime restano gestiti da una classe proprietaria sempre più statica e conservatrice. Scoppierà allora la rivoluzione sociale che non ha bisogno di essere provocata dai forconi di una piccola minoranza, ma sarà il risultato naturale ed inevitabile delle dinamiche sociali.

Sarà la legge interna al progressivo andamento delle masse e della tecnica a decretare la nascita della società comunista.  E’ la legge immanente della storia, la legge ineluttabile della “corrispondenza e della contraddizione”, a stabilire la morte della borghesia di tipo capitalistico e la formazione di una società più umana e più giusta, la nascita della società comunista.

In verità, Marx  non ha mai delineato, in tutta la sua grande mole di Scritti, i caratteri puntuali e precisi della futura società comunista. Ha trattato, sì, compiutamente di una prima e seconda fase della nascita e dell’avvento del Comunismo e della  transitoria ma necessaria Dittatura del Proletariato per parare all’inizio i contraccolpi della reazione della Borghesia, ma non ha mai definito i profili e la configurazione di questa società comunista, se si prescinde da quello che dice, per un breve tratto, nella “Critica del programma di Gotha” , scritta nel 1875, per criticare, per l’appunto, la scarsa vocazione rivoluzionaria dei socialisti tedeschi, che a Gotha avevano sancito la loro unificazione.

 In questo Scritto, Marx sintetizza le sue idee fondamentali sulla futura società comunista: senza Stato, senza sfruttamento, senza alienazione, senza distinzione tra lavoro intellettuale e lavoro manuale, senza proprietà privata  -  neppure quella degli affetti famigliari  -  causa diretta e principale di tutte le ingiustizie perpetrate dalla società proprietaria e capitalistica.

 Al di là, però, della mera “Utopia”, ravvisabile per tanti aspetti nel pensiero di Marx e in maniera concettualmente   simile a quella scritta da Tommaso Moro, questa “Critica” a me piace molto di più di tutti gli altisonanti programmi politici dei nostri Partiti Politici del Novecento italiano, che  hanno sempre predicato, retoricamente,  ma mai attuato quello che Marx auspica che venga scritto sulle bandiere della futura società comunista: “Ognuno secondo le sue capacità; a ognuno secondo i suoi bisogni”.

Chi potrebbe essere avverso a questo principio, così carico di amore per l’umanità e bastevole da solo, se realizzato nella prassi politica, a risolvere tutti i problemi connessi al sistema dello “stato sociale” (welfare state), oggi, particolarmente, in crisi nelle nostre democrazie?  Purtroppo, la storia del Comunismo, quale si è realizzato in alcune parti del mondo, nel corso del XX secolo, non è andata avanti secondo gli auspici e la profezia scientifica di Karl Marx. Solo con la Rivoluzione Comunista del 1917, in Russia, e la successiva costituzione della Unione Sovietica, con la feroce Dittatura del Proletariato, prima di Lenin e, poi di Stalin e dei loro epigoni, fino alla caduta del Muro di Berlino, nel 1989, la Storia del Comunismo nel Mondo ha fatto registrare decine e decine di milioni di morti e nefasti primati di miseria morale e materiale assolutamente inauditi. Una società-formicaio senza il minimo rispetto per la dignità della persona e in assoluta assenza di diritti civili e razionali.

Altro che la futura società comunista di Marx, popolata da persone disalienate e capaci di lavorare in piena libertà creativa, senza costrizione e senza sfruttamenti capitalistici, per la realizzazione di una sorta di umanismo onnilaterale, perfettamente ateo e scristianizzato, laicamente consapevole di dare secondo le proprie capacità e di ricevere secondo i propri bisogni. Dobbiamo condannare Marx per queste “idee” e per questi pensieri? Assolutamente, no! Per tutti resta un grande pensatore che lottò per il riscatto dell’umanità e la liberazione dell’uomo dalla schiavitù e dalla estraneazione dalla sua essenza. Ma questi pensieri, io direi liberali, mal si conciliano con l’assioma della “dittatura del proletariato”, sia pure transitoria, e con l’avvento del “socialismo scientifico, che, a giudizio di Karl Popper, è stato ampiamente contraddetto dal “socialismo reale”, perché non esiste “scienza” che non possa essere smentita dai fatti o resa infallibile dall’asseverazione di una teoria che, nel caso della filosofia di Marx, aspettava di diventare una legge scientifica.

La sua “Legge dell’opposizione e della corrispondenza” spiegherebbe al massimo come sono andate le cose per il passato, ma nulla di certo avrebbe potuto preconizzare per l’avvenire. In tutti quei Paesi, infatti, in cui è stata portata a termine la rivoluzione comunista, il Sol dell’Avvenir non è mai sorto, ma una lunga notte è calata sui loro popoli, arrestando il progresso civile e gelando la naturale vocazione dell’uomo a migliorare la propria esistenza.

 Marx aveva profetizzato che l’esito inevitabile del socialismo si sarebbe verificato in Inghilterra, ovvero in un Paese ad economia industriale più sviluppata, in rispondenza alla sua teoria che il capitalismo moderno porta nel suo seno il socialismo, perché le forze produttive, diventando sempre più sociali, finiranno per fare esplodere le relazioni di proprietà ovvero i rapporti di produzione. Nulla di tutto questo si è mai verificato nella capitalistica e borghesissima Inghilterra.

 La Rivoluzione comunista si è avuta, invece, nella società arretrata della Russia zarista, dove un regime autocratico ed assolutistico con una nobiltà latifondista e militarizzata era il diretto proprietario della terra, che veniva lavorata dall’80% della popolazione in una condizione di schiavitù e di servitù della gleba. Ma nemmeno con questa marea sterminata di disperati della terra sarebbe scoppiata la rivoluzione del 1917, se non ci fosse stato l’intervento determinante dell’esercito, che reduce sconfitto dalla guerra del 1914-1918 collaborò per il successo della rivoluzione sociale.

Lenin, con il suo formidabile tempismo, svolgerà un ruolo da protagonista nei mesi successivi alle tesi d’aprile del 1917, fino all’occupazione dei punti nevralgici di Pietroburgo e all’assalto del Palazzo d’Inverno nei giorni 24 e 25 ottobre, senza colpo ferire.

Era questa la Rivoluzione Comunista preconizzata da Karl Marx?  Io direi di no, Era l’inizio della feroce Dittatura Sovietica di Lenin prima e poi di Stalin, in un Paese dell’Est europeo, che non conoscerà mai, forse nemmeno nei giorni di Putin, gli esiti della Rivoluzione borghese del 1789, in Francia, né tanto meno le libertà democratiche delle Rivoluzioni, incruente almeno nelle seconde, vissute in Inghilterra dal 1628 al 1688-1689, che diedero vita secolare alla monarchia costituzionale.

 
 
 
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