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UNIONI CIVILI, FAMIGLIE "ARCOBALENO" E DIRITTI NATURALI. (1)

Post n°70 pubblicato il 09 Maggio 2016 da giulio.stilla

UNIONI CIVILI, FAMIGLIE “ARCOBALENO” E DIRITTI NATURALI    (1)

Sta per essere discusso anche alla Camera dei Deputati, dopo l’approvazione in Senato, il Disegno di legge di Monica Cirinnà, che assicuri i diritti civili e sociali alle cosiddette “Unioni Civili” o “Formazioni Sociali”, che dir si voglia. In una società aperta e democratica, i diritti civili devono scaturire sempre dai Diritti Naturali o meglio Razionali, cioè, pensati dalla Ragione, che è la natura dell’uomo, e sanciti appunto dalle Leggi come uguali, inalienabili e insopprimibili per tutti.

I Diritti Civili non possono discendere da una visione ideologica dell’organizzazione sociale, da un programma politico o da una posizione settoriale o partitica, ma per la loro stessa funzionalità e validità oggettiva devono trascendere la conflittualità dialettica dei gruppi politici e configurarsi come metaideologici, perché appartenenti e utilizzabili da tutti i soggetti componenti la comunità sociale.

Non possono esistere distinzioni nella fruizione dei Diritti Civili senza violare il principio attivo fondamentale inscritto nella mente e nella dignità di tutti gli uomini, cioè, quello che leggiamo nelle costituzioni liberal-democratiche e sulle cattedre di tutte le Corti di Giustizia dei Paesi più emancipati: “LA LEGGE E’ UGUALE PER TUTTI”.

I Diritti Civili, per essere veri nella teoria e nella pratica, non devono essere parole retoriche, vuote di senso, ma devono essere avvertite come concrete emanazioni dirette dai Diritti Universali, che appartengono ad ogni uomo, in quanto espressioni della natura e non della organizzazione sociale, che può strutturarsi in maniera aperta e democratica, ma anche in maniera chiusa e negatrice delle libertà fondamentali.

La riflessione filosofica, da tempi molto andati, a partire dallo stoicismo dei Latini (Seneca, Cicerone, il liberto Epitteto ed altri) sentì la necessità di ricercare il fondamento universale della società umana, che non fosse, cioè, soggetto alla mutabilità delle culture, alla diversa organizzazione sociale, al cambiamento delle stagioni, delle mode e dei costumi. Il problema si ripresenta in tempi moderni con la riflessione dei filosofi giusnaturalisti, che, a cavallo dei due secoli, 1500 e 1600, avvertirono l’urgenza di ricercare il fondamento stabile delle società degli uomini.

In particolare, con UGO GROZIO, autore de “Il diritto della pace e della guerra”, è avviata una indagine specifica sui caratteri originari della strutturazione di una comunità umana.

Il filosofo, nato e vissuto in Olanda nel periodo che va dal 1583 al 1645, individua nella razionalità e nella socialità dell’uomo i connotati naturali ed ontologici, dai quali non si può prescindere, se vogliamo fondare o rinnovare le società su basi universali, stabili e sicure. Razionalità e socialità sono i caratteri intrinseci alla natura dell’uomo, sui quali bisogna costruire i sistemi sociali forti e capaci di resistere a qualsiasi azione demolitrice che possa provenire nel corso della storia dalla stessa corruzione dell’uomo. “Ex pricipiis hominis internis” soleva scrivere il filosofo Grozio per ribadire il convincimento che la natura dell’uomo coincide con la sua razionalità, già individuata dallo stoicismo greco di Zenone di Cizio come il riflesso del LOGOS universale, dal quale l’uomo, nella sua singolarità, deve lasciarsi guidare per assicurare equilibrio alla sua mente, senza originare conflitti interiori tra i suoi desideri e i dettami della ragione, e collaborare con la vita del Tutto, che si esprime per l’appunto nell’armonia cosmica.

Lo Stoicismo greco di prima maniera, che non disponeva di una riflessione più matura e rispettosa della libertà dell’uomo, soprattutto con Cleante, che succedette a Zenone nella guida della Scuola, accentuava il carattere della fatalità, a cui il singolo dovesse saggiamente sottostare per assicurare alla sua esistenza uno svolgimento sereno ed intelligente.

Cleante, raccontano le fonti, moriva all’età di 99 anni, dopo aver vissuto una vita particolarmente morigerata, molto sobria e dedita agli studi. Di lui abbiamo il piacere di leggere una delle più belle liriche dell’antichità, “Inno a Zeus”, il quale, oltre a contenere i principi fondamentali della sua filosofia stoica, è una struggente ed accorata preghiera al Dio di tutte le creature, al Logos, all’Armonia cosmica.

Non è mia intenzione tediare il mio eventuale e coraggioso lettore, ma mi corre l’obbligo morale di cogliere questa opportunità per diffondere l’emozione, non solo estetica ma soprattutto etica e profondamente umana, che si avverte, quando leggiamo i versi di questo straordinario poeta e filosofo del III° secolo a.C.:

 

“O più glorioso degli immortali, sotto mille nomi sempre onnipotente,
Zeus, signore della natura, che con la legge governi ogni cosa,
Salve; perché sei tu che i mortali han diritto d'invocare.
Da te infatti siam nati, provvisti dell'imitazione che esercita la parola,
Soli tra tutti gli esseri che vivono e si muovono sulla terra;
Così io ti celebrerò e senza sosta canterò la tua potenza.
É a te che tutto il nostro universo, girando attorno alla terra,
Obbedisce ovunque lo conduci, e volentieri subisce la tua forza;
Così grande é lo strumento che tieni tra le tue mani invitte,
Il fulmine a due punte, fiammeggiante, eterno.
Sotto i suoi colpi, tutto si rafferma;
Per suo mezzo reggi la Ragione universale, che attraverso tutte le cose
Circola, mista al grande astro e ai piccoli;
Grazie ad esso sei diventato così grande ed eccoti re sovrano attraverso i tempi.
Senza di te, o Dio, non si fa niente sulla terra,
Né nel divino etere del cielo, né nel mare,
Tranne che quel che ordiscono i malvagi nella loro follia.
Ma tu sai riportare gli estremi alla misura,
Ordinare quel che è senz'ordine, e i tuoi nemici ti divengono amici.
Perché tu hai armonizzato così bene insieme il bene e il male
Che vi è per ogni cosa una sola Ragione eterna,
Quella che fuggono e abbandonano i perversi tra i mortali,
Disgraziati, che desiderano senza sosta il possesso dei (pretesi) beni,
E non badano alla legge universale di Dio, né l'ascoltano,
Mentre, se le obbedissero con intelligenza avrebbero una nobile vita;
Da se stessi si gettano, insensati, da un male all'altro;
Questi, spinti dall'ambizione, alla passione delle contese;
Quelli, volti al guadagno, senza alcun principio;
Altri, sfrenati nella licenza e nei piaceri del corpo,
(Insaziabili) vanno da un male all'altro
E fan di tutto perché succeda loro proprio il contrario di quel che desiderano.
Ah! Zeus, benefattore universale, dai cupi nembi, signore della folgore,
Salva gli uomini dalla loro funesta ignoranza;
Dissipa questa, o padre, lungi dalle loro anime; e concedi loro di scorgere
Il pensiero che ti guida per governare tutto con giustizia,
Affinché, onorati da te, ti rendiamo anche noi grande onore,
Cantando continuamente le tue opere, come si conviene
Ad un mortale, poiché né per gli uomini è più grande privilegio
Né per gli déi, di cantare per sempre, nella giustizia, la legge universale.”

(Da: montesion/Montesion.html)

(Continua)

 
 
 
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