Creato da giulio.stilla il 21/04/2014
Un po' per celia, un po' per non morire...

Area personale

 
 

Archivio messaggi

 
 
 << Maggio 2024 >> 
 
LuMaMeGiVeSaDo
 
    1 2 3 4 5
6 7 8 9 10 11 12
13 14 15 16 17 18 19
20 21 22 23 24 25 26
27 28 29 30 31    
 
 

Cerca in questo Blog

 
  Trova
 

FACEBOOK

 
 
 

Ultime visite al Blog

 
rio33giulio.stillabrunagaglianoalessiamarcolinamagistri1aieiebraso_2015cicalagpsagredo58topobimbo.66mlr777Fanny_Wilmotgiovanni80_7Tony_058Elemento.Scostante
 

Chi può scrivere sul blog

 
Solo l'autore può pubblicare messaggi in questo Blog e tutti gli utenti registrati possono pubblicare commenti.
 
RSS (Really simple syndication) Feed Atom
 
 
 

 

 
« LA MORTE DI FIDEL CASTROLA RIVOLUZIONE CULTURALE... »

LA RIVOLUZIONE CULTURALE OVVERO DEL CUORE E DELLA MENTE

Post n°83 pubblicato il 07 Dicembre 2016 da giulio.stilla

LA RIVOLUZIONE CULTURALE ovvero DEL CUORE E DELLA MENTE    (1)

“Tutto muta, ma vi è una Legge del mutamento che non muta: è il LOGOS”, scriveva Eraclito di Efeso intorno al 500 a. C.

In Italia, in particolare, tutto continua a mutare, ma vi è il Logos della Costituzione più bella del mondo che non muta.

Nel Paese di Giuseppe Tomasi di Lampedusa, tutto, per la Legge eraclitea e la logica del Gattopardo, deve cambiare, perché tutto resti come prima, anzi peggio di prima.

Nei tempi di crisi generalizzata e globale, bisogna che gli Spiriti più illuminati, che governano il Mondo, mettano le loro capacità di intelligenza e di lungimiranza in fervida attività per conoscere le dimensioni della crisi e trovare le soluzioni più efficaci per uscirne più vigorosi e più motivati a costruire le fondamenta di una nuova società sovranazionale.

In Italia, ci vorranno, di certo, tempi molto più lunghi prima di intravedere all’orizzonte i primi risultati della ripresa dalla regressione economica, occupazionale, commerciale e politica, che soffriamo almeno dal 1989, con la caduta del muro di Berlino, e che, oggi, è resa ancora più problematica dai flussi migratori che scorrono impetuosi lungo il Mare Mediterraneo.

 A giudizio di molti competenti analisti di questa stagnazione dello sviluppo nel mondo, ci troviamo di fronte ad una crisi storica non facilmente riconducibile a cause di natura transitoria come per tutte le crisi del passato, che hanno caratterizzato il divenire della civiltà dell’uomo.

Questa crisi richiede uno sforzo globale e radicale che scuota dalle fondamenta l’assetto delle società nazionali e mobiliti la partecipazione laboriosa di tutti alla organizzazione di società più evolute e progredite soprattutto in quelle aree del mondo, in cui guerre etniche, devastazioni e pestilenze di ogni genere spingono ingenti masse di popolazioni ad emigrare con la speranza di raggiungere condizioni di accettabile sopravvivenza in altri Paesi del pianeta.

Io non sono uno scienziato di crisi economiche, finanziarie e sociali, ma ritengo di sapere che nel passato storico i grandi movimenti migratori cambiarono gli assetti sociali delle terre di approdo, modificando i rapporti di convivenza fra i cittadini e sollevando gravissimi problemi di integrazione, che furono risolti soltanto con il passar del tempo e con la nascita di nuove strutture economiche, idonee a superare le differenze e le diseguaglianze fra le genti.

Quando vengono in contatto gruppi umani molto diversi per la disparità dei costumi, delle religioni, delle culture, ecc., bisogna disporre di una visione globale della storia e di una classe dirigente preparata ad innovare le politiche che creino le condizioni per una nuova coesione sociale all’interno di una economia che distribuisca ricchezze e cultura di integrazione.

E’ un processo certamente difficile, ma non farlo significa creare condizioni di gravi conflitti sociali, portatori di povertà diffuse e un clima generale di intolleranza.

Una società aperta alle nuove istanze dei flussi migratori e alle difficili sfide della globalizzazione impone, oggi più che nel passato, l’adozione di una economia sociale di mercato protesa a mettere in atto, con sistematiche politiche di investimenti pubblici e privati, dinamiche di benessere materiale, ma anche sommovimenti culturali, da quelli conoscitivi, etici e scientifici e quelli estetici ed artistici.

Non credo, infatti, che si debba accettare per forza una visione dommaticamente engelsiana per capire che su una struttura economica possano insistere non solo sovrastrutture che diano origine a diseguagliane e a povertà, ma anche sovrastrutture evolute ed emancipate, capaci di originare condizioni di benessere e di ricchezze diffuse. Quando non succede che le cose vadano in questo modo, nella società aperte si aggiusta il tiro e si realizzano le riforme. Nelle società chiuse, invece, dove sovrastano le dittature, si mette mano alle purghe e alle epurazioni.

E’ stato il Croce, sulla scorta dei due scienziati fiorentini della politica, Niccolò Machiavelli e Francesco Guicciardini, a fare della economia una categoria fondamentale dello Spirito e a scoprirne la circolarità con le altre tre, interagenti fra di loro, quali l’arte, la filosofia e l’etica.

L’economia, cioè, svolge una funzione fondamentale all’interno dell’attività dello Spirito, come primo grado della sua attività pratica; essa, ricerca dell’utile individuale, non presuppone l’etica, ricerca del bene universale, ma da questa si lascia presupporre, nel senso che non esiste un bene che non sia sostanzialmente utile. La morale del “dover essere” o dell’intenzione di Kant appare al Croce astratta e priva di rapporti con la realtà. La morale deve promuovere la vita come le altre attività dello Spirito, che con le opere di bellezza, con le opere di conoscenza e con le opere di utilità avvia il processo universale della vita e il progresso storico dell’umano genere.

Pensare l’attività dello Spirito senza la categoria della economia significherebbe svuotare la vita di molti dei suoi contenuti più belli e più ricchi, perché all’economia il filosofo di Pescasseroli riconduce il diritto, la politica, lo Stato, la scienza e tutte quelle attività pratiche che non possono essere racchiuse dentro i fenomeni della forma teoretica e dell’etica, secondo grado della forma pratica. Anzi quest’ultimi, a mio modestissimo parere, stenterebbero ad esserci, perché è più facile morire di fame che produrre un’opera d’arte o un’opera di filosofia o un’opera di bene. (Cfr,: Riduzione della filosofia del diritto alla filosofia dell’ economia”, un saggio del 1907, e l’opera del 1931 “Etica e Politica”).

La ricerca dell’utile è, quindi, larga parte della nostra esistenza, che si svolge ora piacevolmente ora drammaticamente sul piano della “realtà effettuale”, così come era stato pensato dalla filosofia del Machiavelli e del Guicciardini, naturalmente con tutte le dovute distinzioni che caratterizzano i due scienziati della politica fiorentini e la Filosofia dello Spirito di Benedetto Croce.

Ora, in tempi di crisi come questi che a noi sono toccati di vivere, se vogliamo trarre qualche insegnamento utile ed effettuale, come a me sembra che dovremmo fare, dovremmo ripensare in chiave aggiornata la lezione del “Segretario Fiorentino”   -   dico il Machiavelli e non Matteo Renzi, vittima del suo recente Referendum sulla Riforma costituzionale   -   che pensava che le società degli uomini, quando si ammalano e cadono in rovina, devono essere governate da governanti dotati di grandi valori intellettivi, della “Virtus” di significato latino e, cioè, di grande capacità discernitiva.

Devono essere dotati di particolare talento e di valore temperamentale, idonei a penetrare la realtà e a conoscerla nella sua effettualità contingente.  

Devono questi uomini di governo conoscere la “Realtà” umana, storica e politica, anche psicologica dei popoli che sono chiamati a condurre, senza inseguire formule di governo che non stanno né in cielo né in terra, che non si sono mai viste nel passato, ma pensate scioccamente soltanto per sperimentare innovazioni che non producono risultati concreti ed efficaci organizzazioni.

Il mio pensiero corre a tutti quei movimenti pseudo-politici della nostra età, che con retorica “populistica”, come si dice oggi, s’illudono ed illudono molti elettori a percorrere strade politiche assolutamente impraticabili o gravate da incognite, che finiscono per rendere più fosco il futuro delle giovani generazioni.

La politica, si dice, è un’arte, un’arte nobile, che richiede come tale un rigoroso apprendistato, che un tempo veniva esperito nell’ambito dei partiti.

Oggi, sostituiti dai “clicca” informatici e dai comitati di affari, sorgenti come funghi nelle grandi realtà metropolitane come nei piccoli sobborghi.

Tutti vogliono fare politica, cioè amministrare la “res publica” senza aver mai imparato i rudimentali del mestiere, che, fino ad alcuni decenni fa, venivano assimilati attraverso le scuole dei partiti, nei dibattiti democratici e nei confronti intersoggettivi, che selezionavano le persone più brave e più preparate da quelle inette ed incapaci.

Distrutti, in Italia, i partiti, perché la misura della corruzione era colma o perché degenerati nella partitocrazia, è stato gettato via il contenitore dell’acqua sporca con il bambino.

Invece di eliminare la corruzione e conservare le palestre della democrazia, è stato distrutto il partito e conservata la corruzione, elevata oggi a sostanza del sistema politico e sociale.

Il corpus sociale italiano è molto malato, quasi in disfacimento. Non si sa più a quale santo votarsi, ed è a questo punto che mi viene in soccorso il pensiero politico del Machiavelli, esposto con fredda lucidità   sia nei “Discorsi sopra la prima Deca di Tito Livio” sia ne “Il Principe”. Questi per ben governare deve conoscere gli uomini anzitutto e poi la “realtà effettuale”, la realtà del presente, per risalire ai farmaci da somministrare alla società ammalata.

Il “Principe” di oggi, ovviamente, dovrebbe essere il Partito, che è stato distrutto e che lo si dovrebbe farlo rinascere, convogliando in esso gli uomini più intelligenti e preparati, integerrimi per formazione morale e senso spiccato di civismo. I farmaci da somministrare al corpo e allo spirito dell’ammalato sono sempre quegli stessi del Machiavelli, individuati per i suoi tempi nelle antiche istituzioni della Repubblica Romana:  nel Tribunato della plebe e nella Magistratura della Censura.

E’ ovvio che queste Istituzioni dell’antica Roma non sono quelle pensate recentemente dalla Sindaca, Virginia Raggi, ma quelle che, in misura più appropriata e più efficace, sono gli ammaestramenti e le formazioni che dovrebbero arrivare dalla nostra Scuola e dagli Studi Umanistici, un tempo invidiati in tutto il Mondo, ma, oggi, quasi inesistenti o umiliati da una pedagogia e da una didattica miranti al primato esclusivo dell’algido tecnicismo, dell’automatismo e dello scientificismo.

La rivoluzione informatica, la rivoluzione più grande di tutti i tempi, sta rendendo i giovani della nostra età impacciati nella comunicazione orale e nelle espressioni linguistiche, perché non sanno più parlare e scrivere correttamente. Stentano, perfino, a compiere le operazioni aritmetiche, un tempo insegnate dal maestro elementare. Sorriderà ironicamente l’eventuale mio interlocutore, ma intelligentemente intenderà anche la mia preoccupazione, che mi suggerisce di dire che, oggi, con l’abuso dei mezzi computerizzati siamo tutti soggetti a rischio di perdere la nostra Umanità.

Si corre il rischio di smarrire la nostra formazione umanistica, un tempo costruita con sofferenza sui banchi delle scuole, dove s’insegnavano le scienze storiche e la scienze umane. Abbiamo urgente bisogno di mettere l”Uomo” davanti alla “macchina”, elettronica, informatica o telematica, che essa sia, e non la “macchina” davanti all”uomo”, con il rischio di renderlo fantoccio o malato di megalomania,  di gigantomania,  di ludopatia, di isteria e povertà neuronica. Corriamo il rischio di espandere il corpo dell’uomo al di là della siepe, verso l’infinitamente grande e di ridurre la humanitas verso l’infinitamente piccolo.

La cosiddetta “Intelligenza artificiale”, scrive un certo Elon Musk, potrebbe essere “più pericolosa delle bombe atomiche”, perché potrebbe scatenare una guerra totale, distruttiva della intera umanità. Non possiamo delegare alla macchina di pensare al posto nostro.

Scriveva E. Kant nella prolusione di apertura dell’anno accademico nel 1767 – se ricordo bene - alla Università di Konisberg: “Noi filosofi siamo chiamati ad insegnare non i pensieri, ma a pensare”.

Oggi, l’insegnamento delle humanities, le discipline che studiano l’uomo e la sua formazione, fra queste principalmente la Filosofia, regina delle Scienze Umane,  è stato bandito sostanzialmente anche dal Liceo Classico, con le conseguenze, per me molto gravi, che finiremo per costruire dei mostri informatici, non sorretti da sufficiente humanitas, come succede quando si specula e si ruba sulla ricostruzione delle zone terremotate, delle abitazioni civili e delle autostrade, sulle carriere professionali pilotate dalla corruzione, sulle opere di grande utilità sociale, sanitaria, produttiva e commerciale, sulle opere politico-amministrative dei pubblici appalti.

Nei tempi di crisi, come i nostri, che si prevedono molto lunghi, quasi epocali, nei sistemi politico-economici, nella precarietà dei lavori, negli assetti socio-culturali, nei multiformi aspetti della società, urge il ricorso immediato ad una riforma radicale della Scuola, come unico bacino a cui attingere per avviare, soprattutto in Italia, una Rivoluzione Culturale a cui hanno fatto sempre riferimento i filosofi e gli Spiriti più avveduti e capaci di leggere correttamente la realtà, quasi sempre interpretata male dai politici, molto più versati nelle relazioni mercantilistiche e nei traffici elettorali che nel buon governo dei Comuni, delle Province, delle Regioni e dello Stato nazionale.

(Continua)

 

 
 
 
Vai alla Home Page del blog
 
 

© Italiaonline S.p.A. 2024Direzione e coordinamento di Libero Acquisition S.á r.l.P. IVA 03970540963