Creato da giulio.stilla il 21/04/2014
Un po' per celia, un po' per non morire...

Area personale

 
 

Archivio messaggi

 
 
 << Maggio 2024 >> 
 
LuMaMeGiVeSaDo
 
    1 2 3 4 5
6 7 8 9 10 11 12
13 14 15 16 17 18 19
20 21 22 23 24 25 26
27 28 29 30 31    
 
 

Cerca in questo Blog

 
  Trova
 

FACEBOOK

 
 
 

Ultime visite al Blog

 
rio33giulio.stillabrunagaglianoalessiamarcolinamagistri1aieiebraso_2015cicalagpsagredo58topobimbo.66mlr777Fanny_Wilmotgiovanni80_7Tony_058Elemento.Scostante
 

Chi può scrivere sul blog

 
Solo l'autore può pubblicare messaggi in questo Blog e tutti gli utenti registrati possono pubblicare commenti.
 
RSS (Really simple syndication) Feed Atom
 
 
 

 

 
« LA RIVOLUZIONE CULTURALE...LA RIVOLUZIONE CULTURALE... »

LA RIVOLUZIONE CULTURALE OVVERO DEL CUORE E DELLA MENTE (3)

Post n°85 pubblicato il 10 Dicembre 2016 da giulio.stilla

LA RIVOLUZIONE CULTURALE ovvero DEL CUORE E DELLA MENTE     (3)

 

Sono parole e concetti già declinati da Socrate, il quale ci sorprende quando rapporta il suo razionalismo critico alla sua “divinità” interiore, al suo “daimon”, così come Sant’Agostino è il primo filosofo cristiano che richiama la sua fede a tendere al lume della ragione.

Fede e Ragione trovano nel pensiero del Santo d’Ippona la prima legittimazione a coesistere, assicurando al concetto dell’uomo l’armonia tipica della persona, intesa dalla Scolastica e da San Tommaso, in particolare, nella sua integralità: spirito e natura, cioè: sostanza individuale. “Sinolo”, diceva Aristotele.

E da Kant, che arricchisce il concetto, la persona è, soprattutto l’essere morale, cosciente di sé, libero e responsabile, fine e mai mezzo.

A questo tipo d’uomo tendeva la “paideia” di Socrate, cioè ad una educazione integrale e personale, che gettasse le basi per la rivoluzione morale e culturale come risposta al relativismo conoscitivo e morale in cui era caduta la polis greca con la degenerazione della sofistica, dopo l’umanismo di Protagora di Abdera.

A questo tipo d’uomo deve tendere la nostra società in profonda crisi etica, sociale e culturale, come risposta energica al gravissimo relativismo morale in cui sono immerse le nostre generazioni.

Questo uffizio, come si è detto dianzi, spetta principalmente alla Scuola, la quale non può arrancare di riforma in riforma senza dotarsi di una Idea Pedagogica, di una Paideia che dura nel tempo per la costruzione dell’uomo morale, consapevole di sé, libero e razionale, fine e mai mezzo nelle interconnessioni con gli altri uomini.

Formazione ed istruzione sono due facce della medaglia-Scuola. Se questa non respira giorno per giorno l’Ideale dell’Humanitas, non è una scuola completa e non costruisce l’uomo, l’uomo “sub specie aeternitatis”; se poi manca anche una istruzione rapportata ai tempi, la nostra Scuola è ancora più menomata e in forte ritardo rispetto allo sviluppo culturale degli altri popoli. E’ incapace di crescere perfino l’uomo richiesto dai nostri tempi contingenti: l’uomo “sub specie temporis”. La nostra classe dirigente, non soltanto quella politica, ma tutta la nostra classe dirigente, è stato stimato dagli Istituti preposti agli studi sociali, non dispone di buone competenze digitali. Manca una cultura digitale sufficiente e diffusa a qualsiasi strato della popolazione italiana. Ed oggi senza competenze digitali non si va da nessuna parte. La nostra pubblica Amministrazione è lenta e burocratica, soprattutto perché non dispone di quelle competenze informatiche obbligatoriamente presenti in altre Amministrazioni Pubbliche Europee.

Per tutto questo desidero, sentitamente, che le due gentilissime Ministre, quella dell’Istruzione, la prof.ssa Giannino, e quella della Pubblica Amministrazione, dott.ssa Madia, del Governo Renzi, che non c’è più, raggiungano ben altri lidi che non siano quelli della Penisola.

La nostra crisi sociale, quindi, proviene da lontano: è una crisi morale e culturale e, starei per dire anche religiosa, se solo mi ricordo delle omelie di Papa Francesco, che non perde occasione per condannare le pratiche religiose fondate più sull’esteriorità che sul sentimento della pietas cristiana e sulla semplicità del messaggio evangelico.

Risalendo l’aspra china della storia del pensiero occidentale mi piace cogliere, su questo versante della filosofia morale, senza pretesa di seguire una linea cronologica, ma così a caso, altre posizioni concettuali in sintonia con le riflessioni già esposte.

Penso ad Erasmo da Rotterdam, filosofo umanista olandese, vissuto a cavallo dei due secoli XV e XVI, contemporaneo di Lutero, di cui non condivise la sua Riforma Protestante. Ma per le sue idee sul decadimento morale della Chiesa di Roma, con pari vigore luterano e in contatto ideale con i Sapienti del mondo classico greco e romano, si fece promotore con i suoi scritti di una Rivoluzione Culturale, che concentrasse il suo impegno nel riscatto religioso, morale e politico della dignità dell’uomo.

La sua Opera principale, “L’ELOGIO DELLA PAZZIA”, è una satira rovente contro la decadenza dei suoi tempi, dei quali la “Follia”, resa persona, tesse le lodi e la illusione per nascondersi la brutale e squallida realtà, in cui si crogiolava irresponsabilmente la società del ‘500, tanto simile a quella nostra, che una comune follia politica si ostina ad affermare come la più bella, la più colta, la più emancipata, la più preparata.

La migliore di quelle possibili.   

Per la sua rilevante cultura sopranazionale, il nome di Erasmo, associato a quello di Socrate, SOCRATES/ERASMUS, è stato impiegato, nei nostri anni, per definire il Programma per la formazione e la istruzione degli studenti universitari nel contesto europeo. Felice a me sembra essere stata la intuizione di chi, per primo, concepì l’idea di accostare il nome di Socrate a quello di Erasmo, la Humanitas dell’ Antichità greca e latina alla Pietas del Cristianesimo, la Religione Cristiana alla Filosofia dell’Esistenza. Un concetto, questo, che ritornerà più tardi, nell’800, con la riflessione di Soren Kierkegaard sull’Esistenza, interpretata dal filosofo danese quale immagine speculare della Fede, come contraddizione, assurdità, scandalo.

La Vita è come la Fede, bisogna amarla anche quando ci sorprende per la sue assurdità e contraddizioni, ma bisogna anche illuminarla con la luce della ragione, unica guida per cambiarla, innovarla o rivoluzionarla soprattutto nei tempi di crisi sociale e morale.

Su questi filoni di pensieri umanistici e religiosi bisogna innestare la rivoluzione morale, che rimanda poi a quella culturale e politica. Non c’è rivoluzione politica che duri e innovi, se non la si fa scaturire da quella morale e storico-culturale.

Reputo che avesse proprio ragione il Machiavelli, quando pensava che, per risolvere le crisi delle società, era auspicabile ritornare ai principi storici, che certamente racchiudono le premesse genetiche e rigeneratrici dalle quali quelle società si sono originate.

Ma ritengo anche che il ritorno al passato, alla nostre radici umanistiche, oltre ad essere la soluzione per uscire dalla crisi sociale e politica odierna, sia anche la maniera per prendere la rincorsa e proiettarsi nel futuro, che sarà terreno sempre più fertile per le grandi scoperte scientifiche, finalizzate a migliorare il destino degli uomini.

Uno dei primi filosofi dell’età moderna, che presentì il pericolo che la società europea, nel 1600, si allontanasse dalla tradizione umanistica, fu Baruch de Spinoza.

Di origini ebraiche, ma nato e vissuto in Olanda, il Paese della libertà, vi moriva prematuramente all’età di 44 anni, nel 1677, lasciando alla Storia della Filosofia delle Opere fondamentali di un valore inestimabile, come il “Trattato sull’emendazione dell’Intelletto” e l”Ethica ordine geometrico demonstrata”, scritta in latino e con un lessico tipico del linguaggio matematico, perché riteneva che con il latino e la matematica potesse esprimere, con grande precisione fedele al suo pensiero, i concetti della sua speculazione etica e scientifica.

Seguitando la tradizione umanistica da Socrate a Sant’Agostino, a Biagio Pascal, auspicando il ritorno dell’uomo moderno alla sua interiorità per ritrovare se stesso e la sua felicità, sulle orme della Rivoluzione scientifica galileiana, concepisce una natura oggettiva, regolata da leggi matematiche, non al servizio dell’uomo, ma l’uomo al sevizio della natura sua interna ed esterna.

L’uomo non può non obbedire alla sua natura e alle sue leggi, non può sottrarsi al determinismo della sua natura, ma può benissimo regolare le sue passioni, i suoi impulsi, i suoi appetiti, la sua ricerca dell’utile con la sua intelligenza, con la sua ragione. L’unica guida dell’uomo morale è la sua ragione, che persegue sempre tutto ciò che è bene per lui e fugge da tutto quello che è male per la sua esistenza.

Le passioni dell’uomo non vanno derise, compiante o detestate, ma vanno razionalmente interpretate e volte al bene comune. L’uomo morale di Spinoza è un uomo sociale, il quale in armonia con la sua singolarità si adopera a realizzare il bene della collettività. Il suo razionalismo morale, che evoca quello di Socrate e prelude a quello di Kant, esprime efficacemente il clima politico dell’Olanda del 1600, molto attento a non deprimere la borghesia imprenditoriale e commerciale, che faceva del Paese della Tolleranza una grande potenza economica.

Il 1600 è stato definito il “Secolo d’oro” della intera storia dei Paesi Bassi, durante il quale lo sviluppo commerciale sui mari del pianeta, avutosi soprattutto con la creazione della Compagnia delle Indie Orientali, era pari allo sviluppo della cultura, delle arti e delle scienze.

La ricerca dell’utile individuale, contro ogni forma di ipocrisia moraleggiante, nell’Olanda calvinista, colta e ricca di risorse materiali e spirituali, era considerata dal “Machiavelli dell’etica”  -  come è stato talvolta chiamato Spinoza per il suo realismo morale  -  la base naturale della ricerca dell’utile sociale.

Scrive nell”Etica”, IV, 18, : “Nulla è più utile all’uomo che l’uomo stesso: nulla, dico, di più eccellente per conservare il proprio essere gli uomini possono desiderare se non che tutti si accordino in tutto…. e tutti cerchino insieme per sé l’utile comune di tutti; donde segue che gli uomini che sono guidati dalla ragione …. non appetiscono nulla per sé, che non desiderino per gli altri uomini, e perciò sono giusti, fedeli e onesti.”

Come definire Benedetto de Spinoza con una terminologia delle categorie politiche del secolo scorso: un uomo di sinistra, di destra o di centro?

Era, a mio modesto parere, soltanto un uomo di pensiero, che desiderava per sé quello che desiderava per gli altri: la libertà del filosofo, la moralità dei costumi, l’etica della politica e dell’economia.

Che bel filosofo! Amava la vita e la natura dell’uomo senza infingimenti e ipocrisie sociali. Sapeva che l’umanità deviata può essere redenta dalla ragione e dalla buona educazione della famiglia, della scuola e della società. Sapeva che la vita morale del cittadino non dipende da una costrizione di leggi esteriori, ma dalle sue capacità razionali e conoscitive di volere per sé tutto ciò che bisogna desiderare per gli altri. La ricerca dell’utile privato deve contemperarsi con la ricerca dell’utile sociale.

La ragione, come sarà più tardi per Kant, non dirige soltanto l’attività teoretica, ma in perfetta armonia con questa deve guidare la condotta pratica per affermare il principio della coerenza tra pensiero e vita e sottostare spontaneamente all’obbligo etico di intendere gli altri sempre come fini e mai come mezzi al servizio della nostra sensibilità, del nostro egoismo, che morale assolutamente non è.

L’Imperativo Morale del filosofo di Konigsberg ci impone, infatti, di impegnare la nostra esistenza nel rispetto della dignità umana, di quella che è in noi e di quella che è negli altri, senza mai strumentalizzarla per conseguire un utile personale o per delinquere o per compiere delle scalate sociali, che sono comportamenti sempre nocivi alla nostra essenza e a quella della società.

Nella “Fondazione della metafisica dei costumi”, al punto BA 67-68, leggiamo la seconda formula della legge etica, che racchiude il cuore della filosofia pratica di Emanuele Kant:

“Agisci in modo da trattare l’umanità, sia nella tua persona sia in quella di ogni altro, sempre anche come fine e mai semplicemente come mezzo”.

La mancanza di armonia o di coerenza tra il pensare e l’agire, tra il dire e il fare, tra la teoria e la pratica all’interno della nostra società, in particolare quella italiana, si traduce quasi sempre come negazione della prima ed affermazione della seconda, incline quasi sempre a prostituire la propria umanità, che diventa così la sentina di tutte le nostre degenerazioni e corruzioni pubbliche e private.

Io sono persuaso che si uscirà, nel nostro Paese ma anche in Europa, dalla crisi sociale e politica che non ci lascia tranquilli, solo se saremo capaci di superare la crisi morale e culturale nella quale siamo immersi da decenni.

(Continua)

 

 

 
 
 
Vai alla Home Page del blog
 
 

© Italiaonline S.p.A. 2024Direzione e coordinamento di Libero Acquisition S.á r.l.P. IVA 03970540963