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"Un piccione filosofo"

Post n°19 pubblicato il 07 Settembre 2014 da giulio.stilla

“Un Piccione filosofo”

 

Finalmente, la storia del Cinema potrà annoverare, d’ora in poi, anche la immagine di un “piccione” filosofo, che, accovacciato sul ramo di un albero, riflette sui problemi dell’esistenza. E’ questo, grossomodo, il titolo  del film del regista svedese, Roy Andersson, che, ieri, ha vinto a sorpresa il “Leone d’oro” del festival  di Venezia.

Il film, a detta dell’autore, innamorato della tradizione cinematografica italiana, intende essere una rielaborazione di motivi e temi tratti da tre grandi romanzi: “Uomini e Topi” di John Steinbeck, “Delitto e Castigo” Fedor Dostoevskij, “Don Chisciotte” di Cervantes.

L’opera di Andersson, che porta il titolo esatto e programmatico “Un piccione seduto su un ramo riflette sull’esistenza”, narra di un viaggio intrapreso da “un venditore e un ritardato mentale” attraverso una nostra realtà sociale, caratterizzata dall’ossessione della vanità.

Se ho ben capito dalla lettura di diversi giudizi critici dei giornali, il film esprimerebbe una valutazione fortemente negativa delle nostre società occidentali, dominate dalla cultura dell’immagine e dalla preoccupazione dell’apparire.

Se questa è la visione del piccione filosofo, illustrata dal film, non potrà non trovare d’accordo moltissimi educatori ed osservatori attenti delle nostra società dell’immagine, che, dimentica dei valori fondamentali dell’essere, finisce per incoraggiare costruzioni esistenziali scialbe, povere di valori - etici, estetici, cognitivi, religiosi, politici, -  e prive, persino, della preoccupazione dell’avere, che pure è un’altra modalità esistenziale, fondamentale, della natura umana, già messa in luce da Erich Fromm, nel suo famoso saggio, “Avere o Essere”, pubblicato in Italia da Mondadori, nel 1977.

 Il filosofo tedesco di Francoforte, infatti, in questo suo libro molto apprezzato ma anche molto criticato, individua due modalità strutturali della natura umana: quella dell’avere e quella dell’essere, ambedue essenziali all’uomo, perché la prima, quella dell’avere, scaturisce dalla necessità della sopravvivenza; la seconda, quella dell’essere, è finalizzata a superare un possibile isolamento.

Ambedue queste potenzialità si contrappongono fra di loro, con il risultato che l’una potrà vincere sull’altra a seconda della struttura sociale in cui si dibattono.  All’interno del contesto sociale del nostro tempo si delinea altresì una forma dell’essere in netta contrapposizione  alla forma dell’apparire.

E’ la denuncia, se ho ben capito, del “piccione filosofo” del film di Andersson, premiato ieri con l’assegnazione del “Leone d’oro”, preoccupato di vivere in una convulsa società tecnocratica, dominata dall’immagine e dall’apparire.

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