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La società aperta (1b)

Post n°48 pubblicato il 08 Settembre 2015 da giulio.stilla

 

 

“LA SOCIETA’ APERTA E I SUOI NEMICI”        (1 b)

“PLATONE TOTALITARIO”    di  K.R. POPPER

 

In verità, Platone avversava il relativismo conoscitivo e morale dei Sofisti, che aveva creato nella città di Atene un pericoloso clima di relativismo politico, distruggendo l’assolutezza delle verità nel conoscere e nell’agire degli uomini, che il filosofo fa risiedere nelle sostanze ideali. Non sono più gli uomini i soggetti interpretanti le verità in questo mondo, non è più “l’uomo” di Protagora di Abdera la misura di tutte le cose, ma sono le “Idee” iperuraniche ad orientare il portamento dei cittadini nella polis.

Le “Idee” -  di cui sono detentori illuminati i filosofi, perché soltanto le anime razionali dei filosofi le hanno conosciuto bene nel mondo “vero”, prima di incarnarsi in questo “apparente” -   hanno validità assoluta per tutti gli uomini. Non c’è più spazio alcuno per il dibattito democratico dei Sofisti sui problemi della città. Questa deve essere saggiamente governata dai filosofi, coraggiosamente difesa dai guerrieri, proficuamente approvvigionata dai cittadini, che con le loro diverse attività produttive possono disporre di proprietà, negate alle prime due classi. I filosofi-governanti sono privati perfino delle proprietà degli affetti, non creano famiglie e si congiungono in amplessi con donne particolarmente selezionate per la nascita di figli eugeneticamente programmati, che vengono poi accolti ed educati in appositi istituti statali.

Nella Società Chiusa di Platone tutto il potere è demandato allo Stato, che pervade la società intera: il cittadino, la famiglia, le organizzazioni sociali, la proprietà, le attività produttive, le tre classi sociali, regolate dalla natura degli uomini e rigorosamente definite in bronzea, argentea, aurea.

“Lo scopo nel fondare lo Stato   - scrive Platone (Repubblica, 420 bc)  -  non è di rendere felice un unico tipo di cittadino, ma che sia felice quanto più è possibile lo Stato nella sua totalità  […..]. Non dobbiamo distinguere nello Stato una parte di pochi cittadini da rendere felici, ma vogliamo la felicità di tutti”.

E’ il motivo ricorrente di tutti i totalitarismi, antichi e moderni, che con il richiamo incessante alla felicità di tutti hanno finito per identificare, in misura totale, lo Stato dittatoriale con la Società, le autocrazie con le libertà, i formicai con le democratiche istituzioni sociali. Eppure, Platone non esita un istante a manifestare tutta la sua aspra contrarietà contro la democrazia di Pericle. Lo accusa di aver corrotto la città di Atene. Trova la maniera per mettere sulla bocca di Socrate, che si rivolge a Callia, nel “Gorgia”, (515 e)  le seguenti parole: “Dimmi soltanto se è voce corrente che gli Ateniesi siano stati migliorati da Pericle o, al contrario, ne siano stati corrotti. Io sento dire che Pericle ha reso gli Ateniesi pigri, vili, chiacchieroni e avidi di denaro, istituendo per primo uno stipendio per gli uffici pubblici”.

Lascio immaginare ad un mio probabile lettore che cosa direbbe, oggi, Platone, al cospetto degli stipendi, delle indennità, dei vitalizi e di tutte le prebende, che amano portare a casa i rappresentanti del popolo in Parlamento e nei Consigli Regionali, Provinciali e   Comunali.

Ma, tornando alla Società Chiusa del filosofo delle “Idee” e al suo Stato sofocratico o noocratico, perché retto dai governanti-filosofi, la cosiddetta “ragione” al potere, molto vivo è stato sempre il dibattito critico sulla “Repubblica “, attraverso i secoli e fino ai nostri giorni. Di fronte alle diverse interpretazioni di segno politico opposto, di grande rilievo è stata considerata la posizione critica dei filosofi britannici, che non hanno mai condiviso la esagerata importanza spesso attribuita alla utopia politica di Platone.

Karl Popper, che visse in Inghilterra dal 1945 fino alla morte, con un’analisi lucida e minuta, scrive l’intero primo tomo de “la Società aperta e i suoi nemici”, per denunciare la scandalosa visione politica di Platone, antidemocratica, non liberale e totalitaria, ispiratrice di altri totalitarismi, che hanno segnato a periodi e in modo tragico, diabolicamente tragico, la storia dell’Umanità.

Non a caso, si racconta che gli ufficiali nazisti, nell’ultimo conflitto mondiale, portassero nello zaino di guerra la “Repubblica” di Platone.

Ora, la tesi centrale del primo volume di K. Popper, intorno alla quale ruota un’analisi attenta e logicamente consequenziale di tutti gli aspetti del programma politico di Platone, risiede nell’assunto di dimostrare in maniera inoppugnabile, a mio modesto parere, il totalitarismo perfetto concepito e scritto da Platone, nella “Repubblica” e nelle “Leggi”, il quale,  come tutti i profeti e gli esecutori delle tirannidi, di tutti i tempi, afferma di costruire un progetto politico per garantire a tutti i cittadini giustizia e felicità. E’ questo il vero intento di Platone? Certamente, si!, se si considerano realistici e non utopici gli interrogativi che seguono.

Scrive, infatti, il Popper: “Che dire dell’ardente desiderio di Platone della Bontà e della Bellezza, del suo amore per la Sapienza e la Verità? Che dire della sua richiesta che i sapienti, i filosofi, debbano governare? Che dire delle sue speranze di rendere i cittadini del suo stato virtuosi e, nello stesso tempo, felici? E che dire della sua pretesa che lo stato sia fondato sulla Giustizia? Anche studiosi che criticano Platone sono convinti che la sua dottrina politica, nonostante certe somiglianze, si distingua nettamente dal totalitarismo moderno proprio per le finalità che persegue: la felicità dei cittadini e il regno della giustizia”.  (Popper, “La società aperta e i suoi nemici. Platone totalitario”, Vol. I, Armando Armando Editore, Roma, 1977, pag. 130).

Ma Popper non ci sta. Non si fa minimamente assalire da questi interrogativi, da questi dubbi, che hanno sempre incantato, in ogni epoca,  le masse organizzate dai demagoghi e private dagli autocrati della necessità di costruirsi una consapevole, autentica formazione politica liberal-democratica,  criticamente individualistica ed anticollettivistica, attraverso il libero dibattito sociale e culturale sulle tematiche di una società aperta alle idee, che realizzano le riforme,  e non vessata dalle ideologie, che trasformano gli uomini nati liberi in servi dello Stato totalitario.

Prosegue ancora Popper: “…. ritengo che il programma politico di Platone, lungi dall’essere moralmente superiore al totalitarismo, sia fondamentalmente identico ad esso”. (Op. cit., pag. 131).  [….] “Platone riconosce soltanto un criterio supremo di giudizio, l’interesse dello stato. Ogni cosa che lo rafforza è buona e virtuosa e giusta; ogni cosa che lo minaccia è cattiva e perversa e ingiusta. Le azioni che servono ad esso sono morali; le azioni che lo mettono in pericolo sono immorali. In altre parole, il codice morale di Platone è strettamente utilitario; è un codice di utilitarismo collettivistico o politico. Il criterio della moralità è l’interesse dello stato. La moralità non è altro che igiene politica. Questa è la teoria collettivistica, tribale, totalitaria della moralità. – Buono è ciò che è nell’interesse del mio gruppo o della mia tribù o del mio stato”.(Op.cit., pag.  156). 

Convinto che il compito dello Stato sia quello di realizzare un programma di giustizia, il filosofo delle “Idee” fa risiedere questa nella stretta osservanza dei compiti fondamentali spettanti a ciascuna delle tre classi, ripartite dalla natura in classe aurea, argenta e ferrea o bronzea.

Uno Stato che si regge su solide fondamenta della “Giustizia” non può non essere che uno Stato Etico, che racchiude in sé tutti i valori morali, e uno Stato Etico non può non essere che uno Stato Vero, Bello e Buono, che assicura Felicità e lunga vita a tutti i suoi cittadini. Ma uno Stato Etico non può non essere che uno Stato Totalitario.

“La vera felicità – insiste a dire Platone – si consegue solo mediante la giustizia, cioè mantenendo il proprio posto. Il governante deve trovare la felicità nel governare, il guerriero nel guerreggiare; e, possiamo concludere, lo schiavo nel servire”. (Popper, Op. cit. pp. 239- 240).  In altri termini, la vera felicità non va cercata sul piano individuale, perché vi sarebbe licenza e “democrazia” sofistica, ma assicurata alla società nella sua totalità dallo Stato, dal collettivo sofocratico e dal libero suicidio civile dei suoi sudditi. 

 In tempi storici in cui la civiltà di Atene si esprimeva nel massimo del suo splendore, attraverso la filosofia, la poesia e l’arte in  tutte le dimensioni dell’architettura, della scultura, della pittura, della musica, del teatro con i  più grandi talenti drammatici che la storia dell’arte possa ricordare (Aristofane, Eschilo, Sofocle, Euripide, Tucidide), lo Stato etico e giustizialista, teorizzato da Platone per finalità eminentemente politiche, trovava la sua giustificazione nella crisi dei  valori fondanti le democrazie  e dissolti dalla corruzione morale, dalla mollezza degli spiriti, dalla sfrenata cupidigia e dalla guerra civile, succedutasi in seguito al governo oligarchico dei Trenta Tiranni.

Evidentemente, la spiccata sensibilità estetica dei grandi talenti non era sorretta da una appropriata coscienza morale della classe egemone e da un’etica sociale evoluta, molto più interessata ai commerci e ai facili guadagni che a perseguire un progresso intellettuale e culturale della città.  (continua)

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

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