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"ORA CHE FACCIAMO" 1

Post n°74 pubblicato il 03 Settembre 2016 da giulio.stilla

“ORA CHE FACCIAMO?”     (1)

Un mio insegnante di Filosofia era solito scrivere e dire; “Abbiamo superato Ippocrate, il padre della medicina, ma non Platone, il padre della filosofia”.

L’espressione citata è rimasta conficcata nella mia mente come un chiodo non estraibile, racchiudente nella sua ferrea saldezza la verità tutta della riflessione filosofica, dai primordi fino ai nostri tempi, complicati e resi invivibili dalle violente barbarie della cultura della morte.

Se la Storia è fatta dall’uomo, dall’uomo integrale, cioè è la realtà creata dalla sua intelligenza, dalle sue passioni, dalla sua economia e dalla sue idee, e non da una serie di paradigmi rigidi, che storicisticamente hanno la pretesa di dettare le regole del divenire, valide per tutti i tempi e per tutti i luoghi, allora è sull’uomo che bisogna concentrare la riflessione per correggere la irrazionalità delle cause che determinano le guerre, le tragedie dei popoli, le violenze dei carnefici, i fanatismi assassini, gli spargimenti di sangue dei martiri, i terremoti catastrofici, che in Italia si ripetono mediamente ogni tre anni.

PAPA FRANCESCO, nella sua visita recente al campo di sterminio nazista di AUSCHWITZ, ha proferito nel silenzio eloquente delle sue preghiere le parole: “Signore abbi pietà del tuo popolo, Signore perdona per tanta crudeltà”, ripetendo in tal modo le espressioni e gli stati d’animo di altri pontefici, che, come BENEDETTO XVI, in visite analoghe in questi luoghi di così atroci sofferenze, si rivolsero a Dio con le parole: “Dio mio, perché hai taciuto?”.

Quando Monsignor Giovanni D’Ercole, nel bel mezzo all’omelia espressa alle esequie delle vittime del terremoto ad Ascoli Piceno, colpito da tante orribili distruzioni e interpretando forse le sofferenze di Giobbe, eletto da Dio a simbolo di tutte le tragedie  umane, pronuncia le parole: “Ora che facciamo?”, pensa certamente al personaggio biblico, che, di fronte alla distruzione della sua casa e alla morte dei sui dieci figli, confessa a Dio  la sua incrollabile fede e benedice il suo nome con queste parole:  Nudo uscii dal ventre di mia madre, e nudo vi tornerò. Dio stesso ha dato, e Dio stesso ha tolto. Si continui a benedire il nome di Dio”. (Giobbe, 1-20).

Noi, invece, che non abbiamo forse la stessa fede di Giobbe, qualche dubbio ci assale ogni qual volta veniamo a trovarci di fronte a tante assurde crudeltà e disastri immani, per i quali non riusciamo a trovare una spiegazione razionale, che possa lenire le nostre sofferenze e mitigare il disagio logico e cristiano dell’uomo di fede e di preghiera.

A me, in particolare, ascoltando l’interrogativo “ora che facciamo?” di Monsignor Giovanni D’Ercole, sopraffatto da tante orribili distruzioni, mi viene spontaneo rispondere in misura assolutamente laica:  

 La domanda è superflua e retorica  -  non tanto per Giobbe, che doveva dimostrare per la fede in Dio la sua infinita pazienza a sopportare una lunga serie di indicibili sofferenze, quanto piuttosto per il vescovo D’Ercole  -    sia perché Dio non risponde, in termini della logica degli uomini, sia  perché la risposta è racchiusa più umanamente nella domanda: “Ora che facciamo?”.

Facciamo che dobbiamo migliorare la nostra esistenza, punendo i ladri, i corrotti, i corruttori, i concussori e mandando alla gogna i politici delinquenti.

In altri termini, la risposta c’è e soccorre, in esclusiva, proprio l’uomo di fede, che non mette in soffitta la sua ragione, ma la impiega come strumento di indagine e di riflessione, quando si sofferma a pensare che il Signore dei Cristiani è il Dio che ha creato l’uomo a sua immagine e somiglianza, libero di compiere il bene ma anche il male, soggetto di intelligenza, capace di risolvere i suoi problemi, coscienza morale chiamata nelle ore decisive a superare il male e ciò che di irrazionale permane sempre nello svolgimento e nel progresso dell’Umanità.

Per rispetto alla libertà dell’uomo, la rivoluzione del Dio dell’Amore non è la rivoluzione in terra, ma una Rivoluzione extratemporale, fuori dei luoghi e dei tempi in cui la malvagità degli uomini si esercita per distruggere l’Umanità. Certamente, il Signor Iddio, onnisciente ed onnipotente, sarebbe potuto intervenire prima che divampasse e si consumasse l’olocausto degli Ebrei. Ma se lo avesse fatto, avrebbe conculcato la struttura ontologica dell’uomo, cioè la sua libertà, la sua prerogativa di collaborare o meno al piano universale della Storia, ideale per Gian Battista Vico, razionale e reale per l’Idealismo di Hegel e Benedetto Croce, sempre misteriosamente provvidenziale per lo Storicismo cattolico.

Ho fatto riferimento a tre visioni della Storia, molto affini fra di loro, perché a me sembrano più vicine a spiegare la presenza del male nel mondo e più idonee a chiamare in campo aperto la coscienza morale di ognuno per l’affermazione delle leggi dello Spirito sulle cieche dinamiche materiali della violenza e del fanatismo.

L’uomo gode di una libertà finita, cioè condizionata dai suoi limiti. E’ sempre costretto o destinato a passare sul ponte della vita, ma dispone della libertà di passarci in mille modi, amando o odiando, costruendo o distruggendo, coltivando lo spirito, la intelligenza, o abbrutendosi nella ferinità, nella barbarie e nell’egoismo. Egli non potrà mai distruggere il ponte, costruito non da lui come l’unica via percorribile per raggiungere l’altra sponda. Potrà tentare di non passarlo, ma sarà trascinato dagli eventi molto più necessitanti e razionali della sua capacità di resistenza.

Sarà la sua coscienza morale a fargli intendere che la sua libertà è quella di agire per combattere il male. Sarà la sua natura, cioè la sua libertà, a fargli comprendere che egli non è una macchina robotica, ma una volontà protagonista e responsabile, capace di orientare la sua esistenza e navigare fra i marosi della vita, ispirandosi alla storia ideale eterna per tradurla in effettiva realtà.

Sarà il suo imperativo etico a fargli comprendere che il bene, contrastato sempre dal male, va costruito dispiegando attivamente le forze dello spirito per la compiutezza e la perfezione della propria umanità.

Il fine dell’uomo è la realizzazione, l’attuazione, l’attualizzazione della sua umanità. Una vita senza umanità non à degna di essere vissuta, nel senso che la nostra umanità, essenza di scaturigine divina, è un processo di ritorno a Dio, superando, in assoluta libertà, i limiti e le difficoltà frapposti alla nostra elevazione morale e spirituale dalle dimensioni materiali ed egoistiche della nostra esistenza.

A riflettere bene, come mi induce a pensare un Padre della Chiesa, l’Olocausto degli Ebrei non è stato preordinato tanto dalla volontà di sterminio di un popolo, quanto piuttosto dal tentativo di uccidere Dio. La prima metà del Novecento, a mio modesto giudizio, sarà ricordata dalla Storia come il tentativo del Male assoluto di ridurre gli uomini in schiavitù, privandoli della loro dignità, cioè della loro libertà.

Era stato programmato un Deicidio, attraverso la distruzione del popolo che per primo aveva scoperto il monoteismo religioso e la vocazione di Dio a farsi uomo per amore e libertà.

E’ stato il genocidio diabolico di Satana, il suo progetto di realizzare la società dell’anticristo, una società di schiavi, sudditi non più persone, privi della facoltà di scegliere tra il bene e il male. Ma le forze del male, alla fine, non prevalgono; la Storia redentrice, comunque intesa, arriva sempre in soccorso dell’Umanità, che, soprattutto nei tempi nostri, è minacciata in modo paradossale dallo sviluppo delle scienze della natura e dalle tecniche di investigazione e di sperimentazione, che per molti e controversi aspetti inducono a riconsiderare gli effetti negativamente collaterali che spesso inficiano   l’evolversi dell’uomo.    (Continua)

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