Creato da giulio.stilla il 21/04/2014
Un po' per celia, un po' per non morire...

Area personale

 
 

Archivio messaggi

 
 
 << Giugno 2024 >> 
 
LuMaMeGiVeSaDo
 
          1 2
3 4 5 6 7 8 9
10 11 12 13 14 15 16
17 18 19 20 21 22 23
24 25 26 27 28 29 30
 
 

Cerca in questo Blog

 
  Trova
 

FACEBOOK

 
 
 

Ultime visite al Blog

 
rio33giulio.stillabrunagaglianoalessiamarcolinamagistri1aieiebraso_2015cicalagpsagredo58topobimbo.66mlr777Fanny_Wilmotgiovanni80_7Tony_058Elemento.Scostante
 

Chi può scrivere sul blog

 
Solo l'autore può pubblicare messaggi in questo Blog e tutti gli utenti registrati possono pubblicare commenti.
 
RSS (Really simple syndication) Feed Atom
 
 
 

 

 
« LA RIVOLUZIONE CULTURALE...COMMENTO ALL'ARTICOLO D... »

LA RIVOLUZIONE CULTURALE OVVERO DEL CUORE E DELLA MENTE (4)

Post n°86 pubblicato il 15 Dicembre 2016 da giulio.stilla

LA RIVOLUZIONE CULTURALE ovvero DEL CUORE E DELLA MENTE       (4)   

 

C’è una sola strada da percorrere ed è quella della Scuola. Abbiamo bisogno di una Scuola seria, che s’impegni in una palingenesi delle future generazioni, nella radicalizzazione di un clima culturale e morale che si nutra quotidianamente dei contenuti educativi, sopra ricordati, e che spazzi via come monnezza le superficialità, i convincimenti sbagliati dei facili guadagni, le illusioni di cogliere miraggi e straordinari successi in tutti campi professionali, senza disporre di una sufficiente preparazione e con l’ausilio, ritenuto sempre efficace, della raccomandazione del solito cialtrone politico, sempre a disposizione in ogni angolo del Paese.

Anche per superare il test di ingresso alla facoltà universitaria occorre una spinta di lancio che appiani il divario fra lo studente preparato e quello non preparato.

Ma per avere una Scuola seria, che riformi la nostra società fatta di costumi sbagliati, lusinghe sociali e squalificati prodotti televisivi, bisogna disporre di Insegnanti seri e preparati, che non si trovano come cavoli al mercato della frutta e verdure, ma vanno reclutati come talenti sociali tramite l’investimento pubblico di stipendi dignitosi, simili o superiori a quelli che vengono pagati in Germania in ogni ordine e grado della Scuola di Stato. Un docente di scuola superiore di secondo grado guadagna, in Germania, mensilmente, nella media, oltre 4000 euro.  In Italia, 1500 euro.  Questa è, purtroppo, la Scuola italiana, che abbiamo ereditato da una visione sociale e sindacale della cosiddetta sinistra, impegnata a considerare la classe dei docenti un “personale”, parte dello stesso comparto in cui rientra il personale delle pulizie.

Personalmente, ancora tuttora, a distanza di otto anni dalla mia data di pensionamento, io mi sorprendo nel constatare come la maggior parte del cosiddetto “personale docente” della Scuola pubblica millantava e millanta di essere politicamente schierato “a sinistra”.  La spiegazione di questo tremendo psicodramma io la leggo, in verità, nel fatto che gli insegnanti, quelli maschili   -   e non le insegnati, quelle femminili, che hanno sempre trovato la loro compensazione economica nella famiglia   -    amano farsi chiamare “compagni”, prima che “professori”, perché devono pagare uno stupido tributo al convincimento di origine gramsciana, secondo il quale il vero intellettuale deve strutturarsi nell’area della sinistra politica, alla quale deve restare “organico” e per la quale deve lottare e portare a termine la “rivoluzione”.

La coscienza del delicatissimo lavoro dei Docenti, quindi, non è mai appartenuta né alla nostra classe dirigente né alle famiglie e nemmeno alla stessa Scuola che ha sempre preferito reclutare soggetti dotati di altre preparazioni, ma non di quelle didattiche, metodologiche, psicologiche e pedagogiche.

Questa stessa coscienza del dovuto riconoscimento economico del delicatissimo “mestiere” dell’Insegnante è spesso mancata alle rispettabili colleghe “donne”, quasi sempre soddisfatte del loro salario di operaie della scuola, perché inserite, quasi sempre, quali consorti, in rispettabili famiglie, il cui quoziente reddituale lasciava o lascia loro dormire sonni tranquilli.

 La crescente femminilizzazione, poi, della Scuola italiana, con tutto il rispetto e l’amore per le donne, ha finito per preoccupare recentemente molti pedagogisti e psicologi, attenti osservatori della età evolutiva dei ragazzi, dei quali molti hanno portato a termine la loro adolescenza, identificando nel ruolo della insegnante-donna la immagine del potere e della despota, in evidente contrasto con la immagine della mamma o della ragazza di cui innamorarsi. Anche un profano dei meccanismi insondabili della psiche del maschietto si accorgerebbe dei possibili rischi che sono sottesi alla sua crescita, quando la immagine della scuola d’infanzia è una donna, della scuola elementare è una donna, della scuola superiore di primo e secondo grado è una donna, e così via nelle Accademie e nelle Università.

Anche i Ministri della Pubblica Istruzione sono, in questi ultimi tempi, quasi sempre “donne”. L’ultima nominata dal neo-presidente del Consiglio, Paolo Gentiloni, è una certa Valeria Fedeli, che succede alla Stefania Giannini, preceduta a sua volta da una certa Carrozza. E così, via via all’indietro, fino ad una certa Franca Falcucci, di cui ricordo, in particolare, che brillasse per le sue attitudini ad essere una affettuosa mamma di famiglia.

Mi sopravviene il sospetto che il Ministero che, in altri tempi, veniva assegnato a personalità dotate di grandissima cultura, come Benedetto Croce, Giovanni Gentile, Giuseppe Bottai, Giovanni Spadolini, ecc., ecc., oggi viene affidato a una persona qualsiasi, purché svolga un modestissimo ruolo all’interno di un Partito.  

Il lavoro dell’Insegnante non è una missione, può essere anche una missione, ma per la quasi totalità dei Docenti è simile a tutti gli altri lavori, i quali attraggono grandi intelligenze e meravigliosi talenti, solo perché sono superpagati. Desideriamo una Scuola di Stato dove lavorino personalità fortemente motivate? Paghiamo loro lauti stipendi e vedremo così, nel torno di qualche decennio, sfollare tutte quelle facoltà universitarie dove per entrarvi fanno a pugni e falsi ideologici.

 La ricerca dell’utile individuale, pensava Baruch de Spinoza, alla luce del realismo politico- economico, è alla base della ricerca dell’utile sociale. L’uomo morale, il bene che desidera per sé, lo desidera anche per gli altri. L’uomo morale è l’uomo sociale e viceversa. La Scuola è la fucina dove si costruisce e si tempra  quest’uomo. Investiamo, quindi, sulla Scuola, non a colpi di proclami e di menzogne, ma con serietà e lungimiranza, perché il farmaco per guarire la società ammalata è la ricostruzione della Scuola, non solo dalle macerie provocate dai terremoti ma anche dalle macerie provocate, con dolo ed insipienza dei governanti, per 70 anni, dalla indifferenza, dall’incuria, dalla irresponsabilità di una classe dirigente, impegnata nella corruzione dei costumi e dei valori sociali.

Costruiamo l’uomo attraverso la Scuola, dotandola di una nuova temperie culturale, quella del cuore e della mente, e avremo risolto tutti i guai di una società che ha smarrito il senso dell’imperativo morale e della responsabilità. L’uomo morale promuove e trascina lo sviluppo della società e da questa riceve gli stimoli adeguati a diventare sempre più uomo sociale. Impariamo la lezione di un altro grande filosofo dell’idealismo romantico tedesco, Giovanni Amedeo Fichte, il quale, nel suo scritto “Lezioni sulla missione del dotto” del 1794, argomenta con grande consequenzialità razionale sulla tesi che l’uomo di cultura, in particolare, ha la missione di moralizzare la società, lavorando per la libertà degli uomini. Il fine ultimo del “maestro di pensiero” è la libertà di tutti: libertà dalla ignoranza, dal male morale e dal male fisico, dall’astuzia e dalla ipocrisia, dalla tirannia del potere e dal fariseismo dei demagoghi. L’uomo di cultura ha un compito morale assai delicato ed essenzialmente pedagogico. Deve condurre gli uomini alla responsabilità personale e civile, promuovendo la loro educazione ai valori morali e sociali, con i quali si struttura la società, preparandola a vivere una rivoluzione culturale permanente, a cui ricorrere nei periodi di crisi. Perché anche le società degli uomini si corrompono, invecchiano e deperiscono.

L’uomo di pensiero non può in nessun modo suonare il piffero sotto il balcone del palazzo di Cesare, non può farsi strumento di questa o di quell’altra ideologia, perché la ideologia è la gabbia delle idee, uccide il pensiero e la libertà dell’intellettuale.

Questi per promuovere la libertà degli altri uomini non può privarsi della sua, mettendosi al servizio in maniera organica del potere politico o peggio ancora delle dittature, di qualsiasi tinta o provenienza speculativa.

L’uomo di pensiero deve educare alla libertà e alla fluidità delle idee, non irrigidirle o catturarle dentro le maglie di una rivoluzione ideologica e politica, che, ogni volta che è successa, si è svelata, nel tragico divenire storico degli eventi, sempre sanguinaria e negatrice dei diritti naturali di ogni esistenza.

I grandi cambiamenti epocali, nella storia degli uomini, non sono mai avvenuti attraverso le rivoluzioni ideologiche, portate a termine con gli strumenti rudimentali della falce e dei rastrelli o con la polvere da sparo dei moschetti o con le armi raffinate della nostra età. I grandi cambiamenti epocali si sono verificati con le rivoluzioni delle idee e non con la violenza cruenta e lo spargimento di sangue di centinaia di milioni di uomini, quasi sempre innocenti ed incolpevoli.

Il mondo, per rimanere nell’ambito della storia moderna, è stato cambiato in maniera duratura e radicale, molto di più e meglio dalle rivoluzioni culturali inglesi del XVII, XVIII e XIX secolo o ancor prima dalla Civiltà Comunale, dalle Repubbliche Marinare e dal Rinascimento in Italia, anziché dalla sanguinaria Rivoluzione Francese o da quella ancor più cinica e spietata Rivoluzione Sovietica del 1917.

Karl Marx aveva presagito con una lunga serie di scritti che la Rivoluzione Comunista sarebbe esplosa nella Inghilterra industriale del 1800, scoppiò invece nel Paese più arretrato dell’Europa, la Russia degli Zar   -   che non aveva mai conosciuto le libertà borghesi e che non conoscerà mai fino alla caduta del muro di Berlino, nel 1989  -   dove vigeva di fatto ancora la servitù della gleba e il tasso di analfabetismo si aggirava, nel 1917, intorno al 90%.

Certo, Lenin, Stalin, Kruscev o Maximilien de Robespierre, ucciso ghigliottinato egli stesso dal suo Terrore giacobino, sono rimasti nella Storia, come vanno dicendo i superstiti Comunisti italiani a proposito di Fidel Castro, scomparso recentemente.

Sono rimasti nella Storia ma non alla stessa maniera di Thomas Jefferson, di George Washington, di Abraham Lincoln o di Theodore Roosevelt.

Sono rimasti nella Storia ma non alla stessa maniera di San Francesco, di San Benedetto da Norcia o, molto più laicamente, alla maniera di Martin Luther King.

Quelli, maestri insuperabili del Terrore, hanno tenuto, per decenni, i loro popoli nella morte civile e nella fame materiale e spirituale con la promessa che sarebbe sorto il Sol dell’Avvenire.

Questi hanno gettato le fondamenta del progresso fisico e spirituale del mondo contemporaneo, hanno promosso le arti, le scienze e il commercio materiale e culturale fra gli Stati , hanno gettato le basi della recente globalizzazione, che, pure con tutte le contraddizioni transitorie, porterà presto al  progresso civile e alla fruizione del benessere occidentale in tutte quelle terre del Mondo, dove le popolazioni autoctone muoiono ancora di fame e di banali malattie o da dove scappano nell’Europa Occidentale o negli Stati Uniti, perché costrette dalle guerre intestine e dalla  disperazione.

Preferiscono morire nelle acque del Mediterraneo o sui confini fra il Messico e gli Stati Uniti, non certamente sulle sponde della romantica isola di Cuba.

Portiamo le nostre Scuole, le nostre Accademie, le nostre Università, le nostre botteghe artigiane in Africa e nel resto del Mondo non sviluppato, e avremo arrestato, in un futuro non molto lontano, i grandi flussi migratori, che nessun muro di sbarramento, per quanto alto e lungo possa essere, potrà mai scoraggiare.

Portiamo loro la nostra Rivoluzione Culturale, la nostra Rivoluzione illuministica in ogni campo della loro realtà, dall’Economia, dall’agricoltura alla industria, agli Ospedali, ai servizi, e avremo avviato quei processi di trasformazione sociale necessari per saltare da una organizzazione tribale a quella della società civile.

L’Italia, in particolare, per la sua posizione geopolitica, è chiamata dai futuri processi evolutivi a gettare i famosi Ponti sul continente dell’Africa, che per l’Europa intera potrebbe configurarsi una grande dimensione non solo morale e culturale, ma anche   economica dai risvolti inimmaginabili. C’è stato un tempo in cui tutti i Paesi d’Europa, nessuno escluso, sono corsi in Africa con i fucili e le baionette, con il frustino e le divise coloniali, per schiavizzare e sfruttarne le risorse naturali; oggi, è giunto il tempo in cui si deve andare in Africa per istruire, formare e costruire, attingendo ai propri bilanci nazionali e a politiche estere innovative, finalizzate alle capacità pervasive della cultura della pace e alla ricerca dell’utile reciproco e collettivo.

Non ci sono alternative a questi progetti, che, per quanto difficili possano sembrare, costituiscono realisticamente un percorso obbligato, a meno che non si desideri, con una sterminata dose di follia, già praticata nel secolo scorso, di dare inizio ad un apocalittico olocausto o ad altri diabolici programmi di annientamento. Per nulla remoti o impossibili, perché la demenza degli uomini è pari soltanto alla loro genialità.

Ma tornando al mio assunto iniziale, sono persuaso che nessuna grande Rivoluzione politica è possibile, in Italia, per distruggere la mala erba della corruzione, sempre infestante la nostra società sotto qualsiasi cielo politico, se prima non si passi a ricostruire l’uomo morale e a mettere in atto un’autentica Rivoluzione culturale, sostanza di ogni radicale cambiamento sociale.

Aveva ben dedotto nei suoi scritti giovanili l’ancor imberbe Hegel, che ebbe modo di leggere acutamente, con la saggezza del futuro grande filosofo, la realtà politica e sociale di quegli anni, in cui c’era un’ansia di libertà e di rinnovamento interiore degli uomini e dei popoli in maniera tale da trasformare dal profondo le Istituzioni sociali e le Costituzioni politiche degli Stati, congelate nei vecchi ordinamenti e nelle croniche diseguaglianze sociali.   

La rigenerazione interiore degli uomini a fondamento della rigenerazione esteriore dei popoli.

La rinascita morale delle persone a fondamento della rinascita dei costumi delle società.

La rivoluzione culturale della mente e del cuore a fondamento della Rivoluzione Politica.

La URL per il Trackback di questo messaggio è:
https://blog.libero.it/GiulioStilla/trackback.php?msg=13483233

I blog che hanno inviato un Trackback a questo messaggio:
Nessun trackback

 
 
 
 

© Italiaonline S.p.A. 2024Direzione e coordinamento di Libero Acquisition S.á r.l.P. IVA 03970540963