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ALLA MATURITA' CLASSICA SENECA E IL VALORE INSOPPRIMIBILE DELLA FILOSOFIA 2

Post n°111 pubblicato il 30 Giugno 2017 da giulio.stilla

 

ALLA MATURITA’ CLASSICA 2017 SENECA E IL VALORE INSOPPRIMIBILE DELLA FILOSOFIA   (2)

 

Nonostante, però, il suo profondo stoicismo in presenza delle avversità della vita, Seneca rivendica per sé il diritto fondamentale alla propria libertà personale, in un gesto di rivolta prometeica come il suicidio contro l’imponderabile, soprattutto quando non puoi cambiare il corso degli eventi.

Il filosofo di Cordova, infatti, dopo l’uscita dalla vita politica, si ritira a vita privata, consegnandosi all”0tium”, alla riflessione filosofica su tematiche di natura etico-esistenziale e alla composizione delle sue opere, fra cui “Epistulae morales ad Lucilium”, 124 Lettere morali a Lucilio, discepolo e grande amico.

 

Sembrerebbe che la libertà di darsi spontaneamente la morte stride in contraddizione con quello che il filosofo afferma nei Libri XVII-XVIII delle sue Epistole, in linea con lo stoicismo greco di Cleante:

“La miglior cosa è sopportare ciò che non puoi correggere ed adattarti alla volontà divina, da cui tutto procede, senza mormorare: è un cattivo soldato chi segue il generale lamentandosi……

Quocumque placuit: nulla parendi mora est;

adsum inpinger. Fac nolle ,comitabor gemens

malusque patiar facere quod licuit bono.

Ducunt volentem fata, nolentem trahunt”

 

“Conducimi, o padre e signore dell’alto cielo,

dovunque vuoi: sono pronto ad obbedire;

eccomi pieno di slancio. Supponi che io sia contrario,

seguirò la tua volontà lagnandomi

e con l’animo avverso subirò ciò che avrei potuto fare di buon animo.

Chi segue i fati lo conducono, chi recalcitra lo trascinano”.

(Seneca, Epistulae morales ad Lucilium, Libri XVII / XVIII, pp. 850, 851, 852, 853, trad. a cura di Umberto Boella, UTET, Torino.).

 

E’ la professione di fede di tutti i Saggi dello Stoicismo nel “Logos”, nella Razionalità del Tutto, nell’Amor Fati, che non è una passiva accettazione degli eventi e non è in contraddizione con la libertà personale che il Filosofo rivendica per sé con l’estremo gesto del suicidio, quando questa è messa in pericolo dal tiranno Nerone, così come il nobile ed incorruttibile Catone si toglie la vita in Utica, nel 46 a.C., per non cadere nella prigionia di Cesare.

Disponiamo di un patrimonio culturale unico nel mondo e di una tradizione filosofica umanistica millenaria, le cui radici si ramificano nelle terre mediterranee, alcuni secoli prima dell’avvento del Cristianesimo.

La storia culturale dell’Europa e dell’Occidente non ha nulla da mutuare da altre Culture per quanto antropologicamente significative, ma certamente più povere sul piano della Weltanschauung della nostra Civiltà di Atene e Roma.

Disporre di una grandissimo patrimonio speculativo, che ci fa riflettere sulla condizione dell’uomo nel Mondo almeno, da 2500 anni, è una felice sorte, che è toccata all’Occidente e, in particolare, all’universo mediterraneo, in cui si situa l’Italia, così ricca di Storia, di Letteratura, di Filosofia, di Città d’Arte e di Valori Culturali, che racchiudono in sé, come in un serrato scrigno, i due terzi della Epifania umanistica mondiale.

Apriamo questo scrigno alle giovanissime generazioni, insegnando loro soprattutto a pensare attraverso l’assimilazione di Valori Cognitivi, Logici, Etici, Politici, Morali, Estetici, Religiosi, Metafisici ecc., che sono le coordinate per formare ed orientare l’Uomo o, meglio, per estrarre da lui la Umanità, che è la Essenza genetica e costitutiva della sua Esistenza.

Socrate, alludendo alla sua arte maieutica, direbbe che, oggi, nelle nostre scuole urge aiutare l’uomo a partorire la sua Umanità, che esclude l’astuzia, la cattiveria, il male, l’egoismo, l’aggressione del prossimo.

 “Una vita senza esame non è degna di essere vissuta”, fa dire Platone al suo Maestro nella sua “Apologia di Socrate” (38a). E ancora nel “Gorgia”, al capoverso 488a: “Di tutte le ricerche la più bella è proprio questa; indagare quale debba essere l’uomo, cosa l’uomo debba fare”. Bastano questi brevi “pensieri” per comprendere l’umanismo socratico e l’eroico stoicismo di Seneca validi oggi, in misura necessitante per accostarsi alla crisi morale della nostra società, fustigando, alla maniera di Socrate ma anche alla maniera di Seneca, con ironia e tecnica della confutazione e della contestazione, la ignoranza, la licenziosità dei costumi, la criminalità dilagante, la superficialità delle conoscenze, la “presunzione del sapere”.

Nell’Epistola a Lucilio, proposta alla Maturità Classica di quest’anno, Seneca ricorda con straordinaria urgenza ed attualità che qualunque sia il nostro destino, segnato dalla Sorte o da una Divinità o dal Caso, è necessario ricorrere alla filosofia, perché  

“philosophia nos tueri debet. Haec adhortabitur ut deo libenter pareamus, ut fortunae contumaciter; haec docebit ut deum sequaris, feras casum.

Perché la filosofia deve proteggerci, esortandoci ad ubbidire alla divinità con piacere, alla sorte con fierezza, e c’insegnerà a seguire la divinità e a sopportare il caso.

Dopo essere stato coinvolto nella Congiura dei Pisoni, ordita contro Nerone, Seneca muore suicida nel 65 d.C., dopo tre secoli  e mezzo dalla uccisione di Socrate, in fedele coerenza con i dettami della sua filosofia, che gli suggerivano la “razionalità” imperturbabile di togliersi la vita, quando questa fosse riuscita insopportabile per se stesso e per gli altri, in particolare, per Nerone, a cui, come racconta Tacito, “non gli rimaneva ormai più, dopo aver ucciso madre e fratello, che aggiungere l’assassinio del suo educatore e maestro.” (Tacito, Annales, 62).

Se i nostri politici sapessero discutere e comprendere questi concetti, avremmo risolto da sempre la crisi politica che ci perseguita, perché essa si radica innanzitutto nella crisi morale e culturale della nostra età. Abbiamo un Parlamento Nazionale costituito in larga parte da persone non educate a coltivare le verità morali, il senso civico della responsabilità e la consapevolezza di appartenenza non al proprio utile personale ma allo spirito delle leggi chiamate a regolare le complesse relazioni intersoggettive nella società civile, nella famiglia, nello Stato.

Socrate per il rispetto religioso della Legge si fece uccidere da innocente. Accusato di empietà e di esercitare la corruzione dei giovani, fu condannato a morte, che accettò serenamente, bevendo il potente veleno della cicuta. Sarebbe potuto fuggire e sottrarsi facilmente alla morte, ma non volle, perché se fosse fuggito, avrebbe contraddetto tutta la sua vita, impegnata ad insegnare agli uomini il rispetto sacrosanto delle Leggi e della Giustizia.

Per Socrate la fedeltà alla Legge era la fedeltà del filosofo alla Libertà dal potere politico, che lo condannò alla pena capitale, perché ostile, come in tutte le dittature politiche, compresa la dittatura della “democrazia ateniese” del 399 a. C., alle Idee rivoluzionarie del filosofo e alla libertà dell’Intellettuale.

Lucio Anneo Seneca per l’amore alla stessa Libertà dalla tirannia cinica e spietata di Nerone, suo ex discepolo, si dà la morte di buon grado, nel 65 d.C.  E’ la professione di fede di tutti i Saggi  nel “Logos”, nella Razionalità del Tutto, nell’Amor Fati, che non è una passiva accettazione degli eventi e non è in contraddizione con la libertà personale che il Filosofo rivendica per sé con l’estremo gesto del suicidio, quando questa è messa in pericolo dal truce e malvagio Nerone, così come il nobile ed incorruttibile Catone si toglie la vita in Utica, nel 46 a.C., per non cadere nella prigionia di Cesare.

Socrate e Seneca due grandi fari dell’Umanità. Se la nostra Scuola

non respira giorno per giorno l’Ideale dell’Humanitas, non è una scuola completa e non costruisce l’uomo, l’uomo “sub specie aeternitatis”; se poi manca anche una istruzione rapportata ai tempi, la nostra Scuola è ancora più menomata e in forte ritardo rispetto allo sviluppo culturale degli altri popoli. E’ incapace di crescere perfino l’uomo richiesto dai nostri tempi contingenti: l’uomo “sub specie temporis”.

 

“Salva -  o Padre - gli uomini dalla loro funesta ignoranza”.

 

Saggezza e Libertà per le grandissime figure del passato: Virgilio, Catone, Seneca, Dante, ed altri, infinitamente altri Sapienti dell’Umanità.  Saggezza ed Amore per la Libertà sono le due facce speculari della Ragione dell’uomo, il Logos degli antichi filosofi greci e romani, ma anche il Verbum  dei Cristiani,  che domina e governa la storia.

 E’ la ragione a cui deve ricorrere l’uomo nella sua individualità e socialità esistenziale, irta di pericoli, deviazioni e perdizioni, come Dante ricorre a Virgilio, guida morale e razionale, per lasciarsi condurre attraverso l’Inferno e il Purgatorio, i regni oltremondani della dannazione e della espiazione.

 

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