Creato da giulio.stilla il 21/04/2014
Un po' per celia, un po' per non morire...

Area personale

 
 

Archivio messaggi

 
 
 << Giugno 2024 >> 
 
LuMaMeGiVeSaDo
 
          1 2
3 4 5 6 7 8 9
10 11 12 13 14 15 16
17 18 19 20 21 22 23
24 25 26 27 28 29 30
 
 

Cerca in questo Blog

 
  Trova
 

FACEBOOK

 
 
 

Ultime visite al Blog

 
rio33giulio.stillabrunagaglianoalessiamarcolinamagistri1aieiebraso_2015cicalagpsagredo58topobimbo.66mlr777Fanny_Wilmotgiovanni80_7Tony_058Elemento.Scostante
 

Chi può scrivere sul blog

 
Solo l'autore può pubblicare messaggi in questo Blog e tutti gli utenti registrati possono pubblicare commenti.
 
RSS (Really simple syndication) Feed Atom
 
 
 

 

 
« LAURA BOLDRINI E LA DIVI...ALLA MATURITA' CLASSICA... »

ALLA MATURITA' CLASSICA SENECA E IL VALORE INSOPPRIMIBILE DELLA FILOSOFIA

Post n°109 pubblicato il 29 Giugno 2017 da giulio.stilla

ALLA MATURITA’ CLASSICA 2017 SENECA E IL VALORE INSOPPRIMIBILE DELLA FILOSOFIA   (1)

 “Ex pricipiis hominis internis” soleva scrivere il filosofo Grozio per ribadire il convincimento che la natura dell’uomo coincide con la sua razionalità, fondamento metafisico del diritto,  già individuata dallo stoicismo greco di Zenone di Cizio come il riflesso del LOGOS universale, dal quale l’uomo, nella sua singolarità, deve lasciarsi guidare per assicurare equilibrio alla sua mente, senza originare conflitti interiori tra i suoi desideri e i dettami della ragione, e collaborare con la vita del Tutto, che si esprime per l’appunto nell’armonia cosmica.

Lo Stoicismo greco di prima maniera, che non disponeva di una riflessione più matura e rispettosa della libertà dell’uomo, soprattutto con Cleante, che succedette a Zenone nella guida della Scuola, accentuava il carattere della fatalità, a cui il singolo dovesse saggiamente sottostare per assicurare alla sua esistenza uno svolgimento sereno ed intelligente.

Cleante, raccontano le fonti, moriva all’età di 99 anni, dopo aver vissuto una vita particolarmente morigerata, molto sobria e dedita agli studi. Di lui abbiamo il piacere di leggere una delle più belle liriche dell’antichità, “Inno a Zeus”, il quale, oltre a contenere i principi fondamentali della sua filosofia stoica, è una struggente ed accorata preghiera al Dio di tutte le creature, al Logos, all’Armonia del Cosmo.

 “Salva -  o Padre - gli uomini dalla loro funesta ignoranza;”

Fra i discepoli di Cleante la Storia della Filosofia annovera la singolare figura di Crisippo di Soli, città della Turchia mediterranea.

Filosofo e matematico, fu autore di una vasta produzione letteraria, andata quasi tutta perduta. Si distinse, in particolare, per i suoi studi di logica. Alla sua meditazione è legata la “metafora del cane”, costretto a correre dietro il carro, al quale è legato da un destino ineluttabile.

L’uomo, come il cane, è costretto a seguire la volontà del fato, o assecondando la sua andatura per vivere più agevolmente la propria esistenza o resistendole senza per questo migliorare la sua sorte, perché sarebbe trascinato comunque fra mille sevizie e tormenti. Non resta, quindi, che lasciarsi condurre dal carro, cioè, fuor di metafora, dall’Amor Fati, dal Logos, che governa saggiamente l’armonia del Cosmo, piuttosto che opporgli una inutile resistenza, manifestazione di impotenza, rivelazione di stupidità, esercizio di ignoranza sulla sorte degli uomini.

Sarebbe questa la scelta prospettata dallo stoico Crisippo per conciliare la inevitabilità del fato con la libertà dell’uomo.

A questa preghiera si ispira con maggiore maturità stoica Lucio Anneo Seneca, che, dopo l’uscita dalla vita politica, si ritira a vita privata, consegnandosi all”0tium”, alla riflessione filosofica su tematiche di natura etico-esistenziale e alla composizione delle sue opere, fra cui  Epistulae morales ad Lucilium”, 124 Lettere morali a Lucilio, discepolo e grande amico.

 

Il suo “Stoicismo” vuole essere, però, più mite, meno rigoroso di quello adombrato nella “metafora del cane” di Crisippo di Soli. Non più una passiva accettazione dell’Amor Fati, ma una sorta di conciliazione tra il fatalismo assoluto dell’antica “Stoà” greca e la libertà dell’uomo, tanto che per amore di questa, come Catone Uticense – uomo politico al tempo del Primo Triumvirato tra Pompeo, Crasso e Cesare e seguace intransigente delle virtù stoiche -  non esiterà a darsi la morte nello stesso anno della Congiura dei pisoniani.

Ed ecco qui il suo interrogativo sul valore insopprimibile della filosofia, proposto come seconda prova all’esame della Maturità Classica, in quest’anno di grazia 2017:

Dicet aliquis, "Quid mihi prodest philosophia, si fatum est? Quid prodest, si deus rector est?

Dirà qualcuno: A che cosa mi serve la filosofia, se c’è un fato a determinare il destino di tutti?. A chi giova la filosofia, se c’è un dio a reggere la sorte del mondo?

La lingua latina di Seneca è stata sempre più facilmente traducibile rispetto al Latino di altri autori, per es. Cicerone, con il suo periodare ampio ed ipotattico, per quanto ordinato ed armonioso. Lo stile del latino di Seneca, invece, va diritto al cuore, perché è incisivo e conciso, è paratattico e non lascia spazio ad equivoci, ma, come la sua filosofia, si caratterizza per la sua forza espressiva che cattura la spiritualità di chi lo legge e lo interpreta.

Questo tema in latino è stato, quindi, relativamente facile, ma soprattutto importante per il messaggio sul valore insopprimibile della filosofia, che il più grande filosofo dello stoicismo della Roma antica rivolge profeticamente alle nostre giovani generazioni e, in particolare, ai nostri politici, che detengono nelle loro mani il destino dalla Scuola italiana, spesso abbandonata ad una temperie didattica anarchica, improvvisando riforme della scuola in maniera estemporanea, senza seguire un progetto pedagogico, che rimanga valido ed in atto almeno per un decennio.

Io ricordo di aver condotto, nella mia carriera di commissario d’esame delle maturità, diverse forme di esami e con metodi di valutazione quasi sempre inappropriati alle reali esigenze dei maturandi. I curricula didattici sono stati spesso cambiati di anno in anno, a seconda dell’uzzolo di questo o di quell’altro Ministro della Pubblica Istruzione. Materie qualificanti la formazione dei discenti e, in particolare, degli adolescenti sono state bandite dagli orari settimanali per lasciare spazio a sperimentazioni le più stravaganti e bislacche in nome di presunte innovazioni quasi sempre improvvisate ed assolutamente prive di severe ricerche didattiche e motivazioni pedagogiche.

Ricordo che, un anno, in sede di Programmazione, dovetti lottare non poco per difendere il mantenimento dell’insegnamento de “I Promessi Sposi” del Manzoni e per non sostituirlo con uno del libercoli suggeriti persino ai Dirigenti Scolastici dalla moda ideologica e politica del tempo.

Oggi, le vicende vanno come vanno, peggiorano di anno in anno, senza intravedere bagliori dell’approssimarsi di una seria Riforma Scolastica, che io auspico che possa essere una geniale sintesi risolutiva della onnipresente Cultura Tecnologica ed Informatica e   l’insegnamento delle Humanities, le discipline che studiano l’uomo e la sua formazione.

Fra queste deve essere considerata principalmente la Filosofia, regina delle Scienze Umane, che è stata bandita di fatto anche dal Liceo Classico, con le conseguenze, per me molto gravi, che finiremo per costruire dei mostri informatici, non sorretti da sufficiente humanitas, come succede quando si specula e si ruba sulla ricostruzione delle zone terremotate, delle abitazioni civili e delle autostrade, sulle carriere professionali pilotate dalla corruzione, sulle opere di grande utilità sociale, sanitaria, produttiva e commerciale, sulle opere politico-amministrative dei pubblici appalti.

Ecco perché saluto con grande piacere la scelta del brano di Seneca come seconda prova di traduzione dal latino sul valore insostituibile dell’insegnamento della Filosofia, che, a mio modesto parere, dovrebbe essere esteso a tutte le scuole di ogni ordine e grado, anche alla scuola elementare, come succede in alcune regioni dei pragmatici Stati Uniti d’America.

Vorrei stringere la mano allo studioso latinista, che ha avuto la felice idea di riproporre il succitato brano di Seneca ai nostri giovani maturandi del 2017, non fosse perché ha richiamato l’attenzione degli smemorati a riconsiderare la necessità dell’insegnamento della Filosofia nelle scuole dalla nostra fulgida tradizione umanistica.

Si corre il rischio di smarrire  -   come ho già scritto in un altro breve articolo del mio forzato “otium”, da cui traggo molti altri passi  -   la nostra formazione umanistica, un tempo costruita con sofferenza sui banchi delle scuole, dove s’insegnavano soprattutto le scienze storiche e la scienze umane.

Urge, oggi più che mai, mettere l”Uomo” davanti alla “macchina”, elettronica, informatica o telematica, che essa sia, e non la “macchina” davanti all”uomo”, con il pericolo non peregrino di renderlo fantoccio o malato di megalomania,  di gigantomania,  di ludopatia, di isteria e povertà neuronica. Corriamo il rischio di espandere il corpo dell’uomo al di là della siepe, verso l’infinitamente grande e di ridurre la humanitas verso l’infinitamente piccolo. Non possiamo delegare alla macchina il compito di pensare al posto nostro.

Scriveva E. Kant nella prolusione di apertura dell’anno accademico nel 1767 – se ricordo bene - alla Università di Konisberg: “Noi filosofi siamo chiamati ad insegnare non i pensieri, ma a pensare”.

Nei tempi di crisi, come i nostri, che si prevedono molto lunghi, quasi epocali, nei sistemi politico-economici, nella precarietà dei lavori, negli assetti socio-culturali, nei multiformi aspetti della società, urge il ricorso immediato ad una riforma radicale della Scuola, come unico bacino a cui attingere per avviare, soprattutto in Italia, una Rivoluzione Culturale a cui hanno fatto sempre riferimento i filosofi e gli Spiriti più avveduti e capaci di leggere correttamente la realtà, quasi sempre interpretata male dai politici, molto più versati nelle relazioni mercantilistiche e nei traffici elettoralistici che nel buon governo dei Comuni, delle Province, delle Regioni e dello Stato.

E’ profetico, quindi, soprattutto per i nostri tempi, Lucio Anneo Seneca, quando scriveva, 2000 anni orsono, in una Lettera a Lucilio, suo discepolo ed amico, che la risposta alla domanda “a che cosa serve la filosofia?” risiede unicamente nella consapevolezza che l’uomo, fin dalla sua tenera età, deve essere educato all’esercizio della ragione.

Né serve, come presunta giustificazione a non seguire questo dettame del filosofo, il convincimento che il comportamento dell’uomo è regolato dal fato o dominato dalla divinità o governato dal caso, forze imponderabili che non concederebbero nulla alla nostra volontà, alla nostra libertà, alla nostra ragione.

In verità, anche per Seneca, che non era sorretto da nessuna prospettiva escatologica, la storia è governata dal Logos, dal Destino, che non è il Caso, ma un ordine prestabilito e provvidenziale. Bisogna condurre, anche per Seneca, la propria esistenza in modo conforme alle leggi di natura, che sono emanazioni, come scrive Diogene Laerzio, in “Vite e dottrine dei filosofi”, VII, 88, della “retta ragione diffusa per tutto l’l’universo ed identica anche a Zeus, guida e capo dell’universo”.

 
 
 
Vai alla Home Page del blog
 
 

© Italiaonline S.p.A. 2024Direzione e coordinamento di Libero Acquisition S.á r.l.P. IVA 03970540963