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HANS JONAS, GIUSEPPE CONTE E IL PRICIPIO RESPONSABILITA'

Post n°116 pubblicato il 20 Giugno 2018 da giulio.stilla

HANS JONAS, GIUSEPPE CONTE E IL PRINCIPIO RESPONSABILITA’   (1)

Una delle citazioni dotte pronunciate dal Presidente del Consiglio, Giuseppe Conte, all’interno del suo discorso programmatico al Senato della Repubblica, per ottenere la fiducia della maggioranza parlamentare, è stato il riferimento al “principio di responsabilità”, fulcro della filosofia del pensatore tedesco HANS JONAS, vissuto per tutto il Novecento, essendo nato in Germania, il 1903, e morto negli Stati Uniti, nel 1993.

Visse, quindi, tutte le grandi tragedie del secolo scorso, opponendosi in particolare alla insorgenza del Nazismo, dal quale ebbe la forte determinazione di sottrarsi subito per tempo, riparando in Inghilterra e partecipando come volontario alla Seconda Guerra Mondiale nell’esercito britannico. Allievo, insieme con Hannah Arendt, di Martin Heidegger, il filosofo dell’opera “Essere e Tempo”, costruita sull’analisi dell’esistenza con l’intento di preludere agli studi ontologici nella ricerca dell”Essere”, dal maestro si allontanò, allorquando Haidegger non prese le distanze dal nazismo e diede forti sospetti di esserne compiaciuto.

Da principio, e cioè dal 1920 all’avvento del Nazismo (1933), Jonas coltivò importanti ricerche sullo gnosticismo, inteso come la conoscenza razionale che conduce a Dio, piuttosto che la fede o il dono della grazia.

 In particolare, il suo interesse per lo gnosticismo nasceva da un suo pensiero di origine esistenzialistica sulla condizione dell’uomo nel mondo, un “essere-gettato” in mezzo a tutte le altre cose, separato dal mondo e da Dio. Fondamento del nichilismo ed origine del pensiero moderno occidentale.

 Per Jonas, esso si struttura a partire del dualismo cartesiano tra res cogitans e res extensa, tra sostanza pensante, consapevole e libera, e sostanza estesa, inconsapevole e meccanicamente determinata, tra natura e spirito, tra soggetto ed oggetto, tra mente e corpo, riconoscendo all’Idealismo Romantico di Schelling il tentativo di recupero dell’unità metafisica dell’essere dell’uomo e dell’essere della natura nell’Assoluto indifferenziato, che non è né solo soggetto né solo oggetto.

La filosofia, pensava Schelling, deve dimostrare come una speculazione sul soggetto si risolve nella speculazione sull’oggetto e viceversa. Anche navigando verso occidente si finisce per giungere in oriente: la natura è vita ed ha razionalità, ha un suo finalismo, immanente a se stessa, ed ha un suo scopo, all’interno del quale ogni parte è in funzione del tutto. La natura è un grande “organismo che organizza se stesso”.  Come l’essere dell’uomo è animato dallo stesso principio, libero ed immanente, che si risolve nell’essere della natura.

Anche Hans Jonas, pertanto, avverte la drammaticità della spaccatura tra uomo e natura, che caratterizza il nostro pensiero contemporaneo e che bisogna urgentemente superare, se vogliamo salvare ad un tempo la natura e l’uomo. Egli prospetta una unità psicofisica dell’uomo che scaturisca da una stringente considerazione speculativa sull’essere della natura anziché sull’essere dell’uomo, come è stato fino ad oggi. In altri termini, conferisce al suo pensiero un indirizzo ontologico, all’interno del quale è insito lo studio sull’essere dell’uomo. Bisogna porre termine al più presto all’azione autodistruttiva dell’uomo technologicus, il “Prometeo scatenato”, che dai tempi di Francesco Bacone, il filosofo dell’assunto “scire est posse”, si è convinto di esercitare un potere illimitato sulla natura con le conseguenze che oggi siamo proiettati verso un punto di non ritorno, verso un’apocalisse planetaria senza speranza alcuna di salvare l’Umanità.

Da questa spietata analisi sulle capacità autodistruttive dell’uomo e sul suo fanatismo di poter dominare il mondo, senza rimetterci la pelle, nasce il bisogno urgente di Jonas di elaborare una nuova morale, una morale della responsabilità, sconosciuta alle morali tradizionali, cosiddette della coscienza o dell’intenzione, compresa la morale del razionalismo kantiano.

In verità, già prima di Jonas, c’era stato Max Weber, anch’egli tedesco della Turingia, studioso delle scienze storico-sociali e di economia politica. Questi avverte, ben presto, la necessità che anche la politica, che non manca mai di “violenza”, deve confrontarsi con l’etica, che egli distingue in due forme: l’etica della convinzione o dei principi e l’etica della responsabilità.

L’etica della convinzione ha riguardato tutte le morali storiche tradizionali, che sono state di tipo antropocentrico, cioè hanno concentrato la loro riflessione sull’azione dell’uomo, prescrivendogli regole e massime, senza curarsi delle loro conseguenze sulla natura, scenario passivo, quasi inerte, e considerato estraneo alle sue attività.

Con l’etica della responsabilità, invece, l’uomo prende coscienza del fatto, reale e non eludibile, che ogni sua azione ha drammatiche conseguenze immediate su madre natura, all’interno della quale si consuma la sua esistenza. Sembra, quindi, che le due etiche si escludono irrimediabilmente, anche se, nella sua tarda maturità, Weber finisce per sostenere che le due forme di etiche si possono fondere ed integrare nella intelligenza e nella ragione dell’uomo, nei cui confronti, alla fine delle sue analisi, nutre un sano e sufficiente ottimismo.

Ma Max Wber era vissuto nel corso dell’Ottocento, quando le scienze e le tecniche facevano sperare ancora in una salutare collaborazione tra l’essere dell’uomo e l’essere della natura. Non è così per Hans Jonas, che, vissuto per tutto il Novecento, assiste alle tragedie immani provocate dall’uomo e dalla sua irresponsabilità nella manipolazione distruttiva della natura e nell’esercizio non legittimo di tutte quelle scienze, dalla ecologia alla bioetica, all’economia, alla comunicazione ecc., che stanno mettendo in grave pericolo la biosfera e la vita dell’umanità.   

 Alla dicotomia fra etica dell’intenzione o della convinzione ed etica della responsabilità rimane, invece, saldamente ancorato Hans Jonas, che, spinto dalla “paura”, sostiene ed argomenta  -   con la riflessione sui risultati delle scienze moderne ovvero postmoderne e con i fatti esperiti all’interno della natura  -   che urge invertire la rotta in direzione diametralmente opposta a quella tenuta fino ad oggi dall’homo technologicus, integrando e superando anche il razionalismo morale di Emanuele Kant, che pure nella sua “Critica della Ragion Pratica” prescrive all’uomo un’etica universalistica fondata sul “dovere”. Ma l’etica di Kant era pur sempre un’etica soggettivistica, riguardante cioè il soggetto che agisce nella sua singolarità in armonia con la sua coscienza e la sua ragione. “Tu devi” comanda la ragion pratica dell’uomo, che si concretizza, per il filosofo di Konigsberg, in tre massime fondamentali, di cui la più importante è quella che leggiamo, testualmente, nella “Fondazione della metafisica dei costumi” (BA 67-68):

“Agisci in modo da trattare l’umanità, sia nella tua persona sia in quella di ogni altro, sempre anche come fine e mai semplicemente come mezzo”.

In altri termini, Kant pensa e dice che l’Imperativo Categorico, libero ed in-condizionato, ti comanda di non strumentalizzare l’Umanità, che è in  noi e negli altri, di non usarla mai come mezzo, ma sempre come fine e rispetto della sua dignità. E’ il “regno dei fini”, all’interno del quale l’uomo deve operare sempre come suddito e libero autore della legge. Non fa, però, riferimento all’essere della natura, esterna a noi e dentro di noi, quasi che questa sia molto lontana dalle sue preoccupazioni, perché al riparo dall’azione devastatrice e dal saccheggio senza fine dell’uomo.

Il nuovo Imperativo Categorico di Hans Jonas, indotto dalla paura per le sorti dell’Umanità e del pianeta, che possa essere sconvolto dall’uso irresponsabile delle scienze e delle tecniche dell’uomo, impone una nuova Etica, comprensiva di quella kantiana, ma più estesa fino a comprendere l’essere della natura, che non è più lo scenario inerte dell’azione dell’uomo.

Il nuovo Imperativo del filosofo conferisce il titolo all’opera sua più importante:

“Il principio responsabilità. Un’etica per la civiltà tecnologica” ( Einaudi, Torino 1993),  all’interno della quale, a pag.16,  Jonas cosi scrive:  Agisci in modo che le conseguenze della tua azione siano compatibili con la permanenza di un’autentica vita umana sulla terra”. Questo Imperativo viene riformulato dall’insigne autore per altre tre volte, di cui mi piace riportare in forma negativa la sua dicitura:  Non mettere in pericolo le condizioni della sopravvivenza indefinita dell’umanità sulla terra”, (ibidem, p. 16).

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