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LA BALLATA DI RECULO

Post n°19 pubblicato il 07 Ottobre 2010 da graphitis
 

LA BALLATA DI RECULO

  

 

Mosca giuliva che nei cieli ronzi

cantami il sommo artefice di stronzi

che dal Re Mida trasse ispirazione

e glorioso regge la nazione
perché nel gaudio della plebe sciocca

trasforma in merda tutto quel che tocca.

 

Venga Mercurio dall’alato piede
Giove tonante che sui nembi siede;

Venere venga splendida divina
appena assunta al ruolo di velina.

Vengan gli dei d’Olimpo e dell’Inferno.

Cedano al grande Culo ogni governo!

 

Porti Tarquinio Massima Cloaca
Tevere ingorghi quanto Roma caca
sprizzino vacche e porci merda e guano
sì che sprofondi il suolo italiano.
Io dico il vero, lodo e non adulo:

cos’è mai questo a petto del gran Culo?


Quali dall’Alpi al mare alla Sicilia
gettan le fogne nuove mirabilia!

Non più nei templi augusti del denaro
riversa il flusso del lavoro amaro
la torma dei terrun, ma nelle tasche
di chi profitta delle leggi lasche.

 

Sed non olet pecunia, non c’è mosca
che posi sopra il pizzo di una cosca,

perché per vie segrete defluisce
il soldo insanguinato, poi finisce
dove soffuso d’opera e decoro
l’attende il cavaliere del lavoro.

 

Qual rota di molin che mai non posa
e triturando va qualunque cosa,
rimuginando andava il cavaliere
progetti arditi per il suo forziere
ohimè raschiato da precorse imprese
minato da cambiali a fine mese.

 

A quali dei votarsi, a quale banca?

chiede il tapino dalla mente stanca.

E corre, va sul mar da menestrello
buscando qualche magro soldarello.

O sorte amara! Addio sogni di gloria!

Questo riservi all’uomo della storia?

 

Così pensava ed era l’onda fosca.

È cotto! – disse l’uomo della cosca.
Poi l’abbordò e lì, tra cielo e mare,

gli disse: “Amico, prendere o lasciare”.

E per dare all’invito più chiarezza
mimava di rasoio una carezza.

 

“Tu ci hai la stoffa del capobastone;
ma ti serve una buona protezione.
Perciò tu ci organizzi il terminale
e noi ci mettiamo il capitale.
Insomma, il palco è tuo, fa quel che vuoi;

ma ricorda: tu reciti per noi”.

 

Or qui si vede di che pasta è fatto
colui che firma il provvido contratto!

Sorgon dal nulla, a dieci, a mille a cento

palazzi e ville, torri di cemento.

Se mancano i progetti, poco male:

perché lui sa quanto l’unzione vale.

 

Quale moderna torre di Babele
fonda nell’aere un imperio tele
compra giornali, editrici e banche
castelli e ville per le membra stanche

Scortato poi da facili  ragazze
marcia su Roma e vince. Cose ‘e pazze!

In pochi giorni annette la Sicilia
dove mafia e politica concilia
compra il lombardo ed il napoletano
impunità promette a tutto spiano.

Come valanga la masnada ingrossa,
ammainata va bandiera rossa.

 

Italia che piantasti lo stivale
in testa al nero serpe, or che vale?

Ohimè! Ludibrio agli uomini e alle donne
infino all’Alpe levi le tue gonne
intenta all’arte che tacere è bello,

non donna di province, ma bordello.

 

Ma voi che osate, rossi magistrati,
levare in coro inutili latrati
a lui che sorge libero e giocondo,

tornate al vostro tenebroso mondo
d’offa satolli, oppure si convene
che provi il vostro collo le catene.

 

Cosa gli manca ormai? Persin gli dei,

i sacerdoti con i farisei

benedicenti a lui plaudon che torna:

e lui ricambia al segno delle corna.

Roma non più ladrona sia chiamata

ora che il sommo ladro l’ha impalmata.

 

Oh te felice! Quale dei mortali
fin su l’eccelse sfere stese l’ali

dalle stalle dar core al parlamento
mutando in marmo il vile cemento?

Ma tu non sei satollo, punti al colle
cerchi consensi e il bagno delle folle.

 

Nel letto di putan ex comunista
ti giri come un’insalata mista
come un pollo che rosola allo spiedo.

Cosa t’affligge, o sire, io mi chiedo?

Soffri di stitichezza o di colite
di priapismo o di prostatite?


Tutto l’Olimpo corse al capezzale
con Esculapio, re d’ogni speziale.

“’A Culo, che te serve?” – domandaro

“Apriti a noi: è un privilegio raro.

Qualunque cosa chiedi sia concesso:

salute, intelligenza, ogni successo”.

 

Un lungo elenco s’affollò alla mente
del fortunato. Giove immantinente
lo ferma: “Un desiderio, sia ben chiaro,
o ti trasformo subito in somaro”.

Sbianca il tapino, tosto chiede loro:

“Che quel che tocco si trasformi in… “

 

Gli sovviene di Mida di repente
carico d’oro e povero pezzente
morto affamato e solo come un cane
per quelle quattro parolette  insane.

“Merda!”  gli sfugge. Freme il gran consesso.

E Giove di rimando: “Sia concesso”.

 

Volarono gli dei su più sicure
sedi delle terrestri stanze impure
traboccanti di sterco dell’eletto
dalle cantine su, su fino al tetto.

Gli dei fanno le cose in grande stile.

Anche stavolta: un cosmico porcile.

 

Fin sull’Olimpo salgono i miasmi

Fuggon gli dei nel mondo dei fantasmi

Levando alti lai fugge Giustizia
soffusa di rossore Pudicizia
Ohimè, ci lasci, Atena, madre mia?

Che ne sarà della democrazia?

 

Ludibrio fatta di perverse brame

sprofonda Gaia in gorghi di letame.

Nell’aura di caligine, fuggiti
Aurora e Febo dai celesti liti,

annaspano i mortali. E così sia
per chi s’adatta alla merdocrazia! 

 

Opprime tutto, il globo bipartito
deciso a far porcaio inaudito.

Geme l’Italia sotto il peso immane
e non c’è chi l’aiuti, non c’è un cane.

Italia mia, datti uno scrollone!

Fatti una doccia e tira lo sciacquone!

 
 
 
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