Creato da: laura.foggiato il 18/07/2014
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Conoscenza filosofica e conoscenza tradizionale - X -

Post n°17 pubblicato il 06 Marzo 2015 da laura.foggiato
 

L'esistenza dell'anima autonoma precedente l'incarnazione, viene fatta dipendere, nel ragionamento, dall'esistenz delle Realtà definite in sé.

Nel ragionamento persiste il dubbio che l'anima, dopo la morte dell'uomo, possa trovare fine nella dissoluzione.

Il ragionamento può trovare supporto dal richiamo al discorso circa l'origine di ciò che è vivo da ciò che è morto.

L'anima che esiste prima dell'incarnazione, portando vita ad un corpo, proviene da dove manca questo processo di generazione alla vita, e, nel momento dell'atto del processo di generazione dalla vita, cioè della morte, essa ritorna, naturalmente, sempre, dove manca questo processo, continuando ad esistere, per poi riprendere la dinamica di tale ciclo.

È soggetto a decomposizione ciò che è stato composto, o che ha una struttura composta; non è soggetto a questo ciò che non è composto.

Ciò che è sempre identico e permane sempre nella medesima condizione non è composto, invece, ciò che è soggetto a variazione e non permane mai nel medesimo stato è composto.

La Realtà in sé permane sempre nelle medesime condizioni, senza subire mutazione alcuna, essendo uniforme, non può subire mai, per nessuna ragione, in nessun modo, alcun mutamento.

Le cose che partecipano della Realtà in sé e che da esse traggono nome e carattere non sono mai identiche nè rispetto a se medesime nè rispetto alle altre, non sono mai nelle medesime condizioni.

Le varie cose mutevoli sono percepibili dai sensi del corpo; le Realtà sempre identiche vengono colte con il puro ragionamento, essendo invisibili.

Dunque il discorso espresso nel passo 78b-80a del Fedone, porta a porre due forme di esseri, l'una visibile e l'altra invisibile, con le caratteristiche, per la prima di mutevolezza e mutabilità, e, per la seconda di immutevolezza e immutabilità.

Nell'uomo vi è da un lato il corpo e dall'altro l'anima, ed il corpo è affine alla forma visibile, mentre l'anima è affine alla forma invisibile.

Quando l'anima ricerca, avvalendosi del corpo, facendo ricerca per mezzo dei sensi, è tratta dal corpo verso cose mutevoli, e, per tanto, si confonde, ricevendo confusine dalle cose che studia.

Quando l'anima resta in sé sola e svolge la propria ricerca, si eleva a ciò che è puro, eterno, immortale, immutabile, ed essendo a ciò affine, in esso si mantiene, qualora riesca ad isolarsi dal corpo, cessando di errare, rimane nella medesima condizione, perché immutabile è ciò che studia.

In base a questa ricerca è necessario ammettere che l'anima è simile a ciò che è immutabile ed il corpo a ciò che mutabile; quando anima e corpo sono uniti insieme, cioè nell'uomo, l'anima deve governare e dominare e il corpo deve obbedire e lasciarsi governare per natura; anche ciò che è divino deve governare e dominare, mentre ciò che è umano deve obbedire e lasciarsi governare; l'anima dunque risulta, per la sua naturale funzione, affine al divino, mentre il corpo è affine all'umano.

 

Da ciò risulta che il corpo, privo di vita, si dissolve rapidamente, mentre l'anima resta totalmente indissolubile; dunque, l'anima, invisibile, va in un luogo ad essa conveniente, bello, puro ed invisibile, presso un Dio buono e sapiente.

 
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conoscenza filosofica e conoscenza tradizionale - IX -

Post n°16 pubblicato il 24 Febbraio 2015 da laura.foggiato
 

L'elemento che riconduce il ricordo di una cosa conosciuta, può essere inferiore, per somiglianza, alla cosa cui riconduce.

Vi è la possibilità che l'uomo giunga a conoscere entità nominate similmente a cose materiali, ma, da esse diverse per natura, e tali da poter far dipendere da loro, per partecipazione, le varie cose, giustificando il criterio di uguale definizione, secondo un principio di dipendenza, ove risulta che varie cose possono essere nominate in modo uguale rispetto all'ente dal quale dipendono, traendone caratteristiche, comunque, su un piano ed ad un livello inferiore.

Il processo conoscitivo dell'uomo riesce a giungere alla comprensione di tali enti, procedendo dall'apprendimento sensibile delle cose che partecipano a questi enti, e, che da questi dipendono.

L'uomo giunge alla conoscenza degli enti per reminiscenza, iniziando, cioè, a percepire ciò che ad essi richiama e rimanda, giunge a ricordare così, appunto, quanto l'anima, prima dell'incarnazione, esistendo essa, comunque, autonomamente ed indipendentemente rispetto alla propria incarnazione, ha conosciuto delgi enti, anche se l'incarnazione, per quanto riguarda la capacità conoscitiva, oltre ad essere accidentale, risulta, nel complesso deficitaria.

Il ricordo si verifica quando, l'uomo, che nell'indagine di ricerca regola ed imposta la propria conoscenza, anche perché tale deve essere la sua forma primitiva, sull'apprensione sensoriale, percependo, appunto, dà modo all'anima, che, invece, nell'incarnazione, ha dimenticato la propria specifica conoscenza degli enti, di poter ricordare, avvalendosi di ciò che diviene per essa un richiamo, un rimando agli enti, per il fatto stesso di dipendere da questi per partecipazione, e, quindi, per definizione e caratteri, comunque di livello inferiore.

Ora, la questione stessa della definizione riporta all'esistenza delle Idee, all'immortalità dell'anima ed alla sua capacità di portare vita ai corpi, e, dell'ispirazione e della costante aspirazione del mondo, della materialità alle Idee, dalle quali dipendono, partecipandovi.

Per quanto la discussione sulla correttezza dei nomi, dipendente dalla naturalità dei nominati o dall'arbitrio dei nominati, in questo senso non sia strettamente pertinente, il fatto che oggetti con date caratteristiche vengano definiti, non solo, quindi, descritti, ma, determinati dal nome loro attribuito, determina che, nell'attribuzione, ai fini stessi della sua correttezza, vi sia il riconoscimento di caratteri tali da poter essere in un dato modo denominati, caratteri simili per cose simili, nell'utilizzo di parole capaci di dire come essi siano.

Nel riconoscimento di oggetti tali da essere chiamati in un dato modo, si riscontra la conoscenza di ciò che determina la definizione; conoscendo, cioè, ciò che esiste in un modo e riscontrando un richiamo ai medesimi caratteri, si attua una assimilazione in grado di dipendenza, naturalmente, dipendenza della cosa che richiama, rispetto alla cosa che è, assimilando nel medesimo nome, che, definendo allo stesso modo, mostra l'affinità di caratteri.

 

Da tale ragionamento è necessario dedurre che, ciò che nell'uomo procura conoscenza, cioè l'anima, debba esistere prima della presa di un corpo, cioè prima della generazione di un uomo, dato che essa ha conoscenza di ciò che esiste al di là dell'ambiente naturale e consono all'uomo, nel suo insieme, estraneo a dove si verifica la generazione dei corpi; l'anima stessa, quindi, ha natura tale da essere affine a ciò che conosce, per tanto dispone di assoluta autonomia rispetto alla temporale forma di esistenza del corpo; ma, anzi, il corpo, affinché possa avere vita, dipende dall'anima, e, l'uomo può perseguire la conoscenza, esercitandosi ad isolare l'anima dal corpo, permettendo che essa possa avere modo di intelligere indisturbatamente, in modo conforme alla propria natura; per quanto, d'altra parte, sia necessario ammettere che, nell'uomo, il processo conoscitivo ha inizio solamente partendo dalla percezione sensibile, dalla comprensione del corpo; da tale livello è,poi, possibile che inizi l'ascensione alla conoscenza e l'autonoma intelligenza dell'anima; m dato che l'anima incarnata difetta nella sua funzione specifica, per il fatto stesso di essere incarnata, è necessario che essa debba avere, a mo' di supporto iniziatico, uno sprone a ricordare la propria specifica conoscenza, e, tale sprone, viene dato dal sensibile, che è oggetto di conoscenza del corpo e che richiama l'intelligibile del quale partecipa. 

 
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Conoscenza filosofica e conoscenza tradizionale - VIII -

Post n°15 pubblicato il 18 Novembre 2014 da laura.foggiato
 

La fattualità della morte, cioè lo scioglimento dell'anima dal corpo, però, non implica la certezza della fine dell'uomo; il ragionamento filosofico esamina l'ipotesi che dell'uomo colpito dalla morte rimanga parte della sua composizione, l'anima, impassibile ed inattaccabile, priva di danno da ciò che, per natura, potrebbe non riguardarla.

Pare che dottrine religiose possano supportare favorevolmente tale ipotesi, dando modo acché il ragionamento possa proseguire, testimoniando dell'esistenza delle anime nell'Ade, secondo quanto viene detto nel passo 62b del Fedone, dove Socrate dice: «che noi uomini siamo come chiusi in una custodia».

L'anima, allora, in quanto foriera di vita, non può subire morte, dato che la morte procura la rovina di ciò che è composto causandone la decomposizione e l'anima è semplice e, per tanto, non può essere oggetto di decomposizione; se l'anima non può perire, quando essa viene scissa dal corpo, continua a vivere nell'Ade, provenendo lì dal mondo dei vivi, per tornare, da lì, ancora, nel mondo dei vivi.

L'argomentazione filosofica viene espressa nel passo 70c-72d del Fedone, dove leggiamo che la generazione dei contrari avviene reciprocamente, cioè, da una cosa contraria, soggetta a generazione ed a corruzione, e da questa si genera un'altra cosa contraria; leggiamo che l'essere morto è contrario all'essere vivo, ed essi si generano, reciprocamente, l'uno dall'altro; pertanto, se ciò è vero, l'anima deve esistere necessariamente dopo la morte del corpo, e, deve andare in un altro luogo, invisibile e a lei affine, dato che affinché si possa ripetere il processo di nascita, è necessario che esista l'anima capace di portare la vita.

Il morire è evidente e comprensibile; il necessario processo contrario al morire è il rivivere.

Il rivivere è un processo di generazione da morto a vivo.

Pare, dunque, confermato che i morti derivino dai vivi, come i vivi dai morti.

Tale ipotesi non pare ammessa ingiustamente; infatti i processi di generazione devono compensarsi perennemente, avvicendandosi tra loro, come in un circolo, altrimenti si rischierebbe di ritrovare tutto nella medesima forma, nel medesimo stato, e, finirebbe il processo di generazione, dato che se tutto ciò che ha vita trovasse la morte, senza che vi fosse il ritornare alla vvita dalla morte, tutto finirebbe per esaurirsi nella morte, e, nulla più avrebbe vita; pertanto è bene pensare che esista il rivivere e che i vivi derivino dai morti e che le anime dei morti continuino a rivivere.

La dottrina secondo la quale l'apprendere non è che un ricordare ha, alla base, la considerazione circa la necessità dell'esistenza dell'anima intelligente, prima che essa s'incarnasse.

Affinché vi possa essere ricordo, è necessario che vi sia un antecedente apprendimento, una conoscenza, successivamente riconosciuta nel ricordo, secondo quanto leggiamo nel passo 72e-76a del Fedone.

È possibile avere dimostrazione di ciò mediante un esercizio verificativo, consistente nell'interrogare qualcuno, affinché giunga a ricordare la propria conoscenza, riuscendo a darne prova, mostrando, cioè, che l'anima possiede una conoscenza, che non ha avuto modo di acquisire in vita, e, che, pertanto, non può essere stata acquisita se non durante l'esestenza autonoma dell'anima stessa, in un tempo precedente all'incarnazione; ciò differisce sostanzialmente dal processo conoscitivo tradizionale di apprendimento.

Ciò dimostra la capacità d'esistenza dell'anima, la sua inattaccabilità per opera della morte, la sua immortalità.

 

Il ricordo viene prodotto da un richiamo di qualcosa di conosciuto rivolto alla mente; tale richiamo può essere operato da qualcosa di simile ed affine alla cosa conosciuta, oppure, anche da qualcosa di differente, ma, che, ugualmente, percepito, permette la verifica, l'attuazione del ricordo a cui tale cosa riconduce, come leggiamo nel passo 73c-74e del Fedone.

 
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Conoscenza filosofica e conoscenza tradizionale -VII -

Post n°14 pubblicato il 12 Novembre 2014 da laura.foggiato
 

L'esistenza, la vita di un'anima in un corpo, ha modo di essere, di venire ad essere una purificazione dell'anima stessa, perpetuata in un costante esercizio di allontanamento, di separazione dell'anima dal corpo, in modo che l'anima possa aver modo di tentare di mantenersi, quanto più possibile, immune dalle affezioni corporee, tentando di mantenere il proprio carattere di estraneità sostanziale al corpo, senza rimanere, in questo, invischiata a causa dei patimenti subiti, ma tentando di mantenersi, tentando di non considerare, per quanto possibile, le pene del corpo, tentando di non viverle, non sentendole proprie, non vivendo il patimento, permettendo a questo, nella partecipazione, di modificarne l'essenza quasi a renderla carnale, passibile di subire, non tanto più per espiazione, quanto piuttosto più per natura, acquisita nell'atteggiamento, ciò che è proprio della materialità.

La buona riuscita del processo di purificazione può determinare il ritorno dell'anima a ciò che le è proprio ed affine, ma la difficoltà di tale processo sembra essere posta per vagliare la capacità dell'anima di vivere senza riuscire preda dell'oblio di ciò che è, e, vittima prigioniera di ciò che le è estraneo.

Comunque, la morte, ponendo fine a quella che adesso è un'esperienza di vita, imporrà la distruzione della materialità e la valutazione dell'operato dell'anima.

Sull'anima incomberà un giudizio, secondo quanto è testimoniato nel passo 107c-108c del Fedone, dove leggiamo che, dimostrata l'immortalità dell'anima, essa, scissa dal corpo, incorre in circostanze determinate dai suoi trascorsi, per stabilire se essa, durante la vita, cioè durante il periodo di durata della sua incarnazione, abbia operato secondo intenti di purificazione, scontando la sua pena nella vita e vivendo mantenendosi pura ed autonoma dal corpo; in tal caso, essa riceverà, avrà per ricompensa, il premio adeguato, altrimenti il rispettivo danno.

La religiosità, l'adesione alla religione, alle forme di culto, di preghiera, allora, non possono avere meramente un carattere formale e risolversi in esso, dato che nell'uomo in fieri di purificazione, vi dev'essere giusta, sentita credenza nell'espressione di tali discorsi, ed egli deve vivere adeguandosi ad essi, adeguando, cioè, i propri atteggiamenti e le proprie azioni alla convinzione circa il meglio per la propria anima, operando per privilegiarne la cura rispetto al proprio corpo.

Ora, il filosofo, che vive perseguendo la conoscenza, dedicando ad essa l propria esistenza, svolgendo pensieri e considerazioni sull'uomo, alla ricerca della propria comprensione, nell'inserimento della comprensione generale, ritiene che sia bene pensare che l'anima e il corpo che caratterizzano un uomo siano diversi per natura, per essenza, che, dunque, abbiano forme di esistenza diverse; l'anima è intelligente, possedendo la capacità e la facoltà di comprendere, è vitale, manifestando, nel corpo in cui essa è incarnata, il principio del movimento, producendo, in esso, la vita; L'anima è all'uomo invisibile, quindi, l'uomo può riuscire ad ottenere una comprensione dell'anima che altro non è che un'autocoscienza dell'anima stessa; essendo l'anima invisibile, essa appartiene alla dimensione di ciò che è oltre, per essere altro, il materiale; quindi essa è intelligibile, come intelligibile è ciò che le è affine.

D'altra parte, il corpo è sensibilmente materiale, fornito specificamente di sensi che producono la sua specifica conoscenza e mediante i quali diviene esso stesso oggetto di conoscenza; il corpo, in quanto parte e composto di materia, svolge, una volta animato, la propria specifica esistenza, vivendo nello svolgimento temporale, che determina la sua evoluzione, nel mutamento che inizia con la sua generazione, matura con la sua maturazione, e volge a termine con la sua fine, per incorrere nella decomposizione e nel dissolvimento, con la morte.

Il corpo è oggetto di morte, perché la morte determina l'estinzione di ciò che è materiale ed ha vita, in quanto posseduto da ciò che dà vita.

 

Per quanto la materialità, in generale, sia soggetta al dissolvimento, inserito nel più ampio progresso stabilito dall'alternarsi reciproco della formazione, che è riformazione, e della dissoluzione, il corpo patisce la morte, in essa terminando la propria vita, iniziata nella generazione e terminata nel dissolvimento; quindi, essendo l'uomo composto di anima e corpo, nella morte si verifica, si attua lo scioglimento di tale composizione e si ha, pertanto, l'allontanamento dall'anima dal corpo.

 
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Conoscenza filosofica e conoscenza tradizionale - VI -

Post n°13 pubblicato il 11 Novembre 2014 da laura.foggiato
 

Il soffio vitale con il quale l'anima viene identificata, viene ritenuto immediatamente distrutto, per la propria fragilità, dal sopraggiungere della morte, che, nella sua capacità distruttiva, non può che essere violento.

Il soffio dell'anima, fatto violentemente uscire, con la morte, dal corpo, quasi da custodia, perisce dissolvendosi.

Ora, in tale accezione, dunque, la morte sembra essere l'elogio del sommo dei mali; essa, con il suo sopraggiungere, annienta l'uomo, che non può e non riesce a trovare consolazione a tanto terrore, nell'annientamento come nell'esistenza del nulla; ciò non è pensabile perché non è comprensibile, e, l'umana angoscia prodotta dalla considerazione che la soluzione dell'uomo, per la sua natura umana, non può che essere l'annientamento nella morte, mantiene, in tutta la sua forza, l'orrore dell'uomo per la morte.

L'anima può venire pensata come l'ombra del corpo che fu, in questo senso ancora al corpo inferiore e da esso dipendente; essa mantiene una certa forma di resistenza alla morte, per quanto priva di corpo, come della sua protezione, può languire come immagine, ricordo di quanto è andato distrutto, in un mondo determinato dalla morte, ormai incapace d'azione, in quanto impossibilitata a partecipare alle azioni del corpo, trascinata, compiangendo il trascorso, la vita.

A questo proposito, consideriamo le testimonianze classiche, specificamente omeriche, relative al mondo dell'Ade.

Quindi, i discorsi sull'anima ricadono nel mito, in forme di discorsi non verificabili, forse inventati, difficilmente credibili, per quanto apprezzabili, secondo criteri di pratico apprendimento, di concreta conoscenza di ciò che si ritiene sia.

La religiosità, il pensiero religioso pone l'esistenza di diverse dimensioni accessibili all'uomo perché ad esso proprie, pertanto, il corpo e la corporeità esistono nella materialità, l'anima esiste, vive di spiritualità, in un mondo spirituale comprensibile col pensiero.

L'anima vive in un mondo, spiegabile secondo criteri all'uomo comprensibili, affini alla conoscenza che esso può avere del proprio mondo.

Ora l'anima viene ad assumere un carattere e una natura estranei e incompatibili con la morte, in quanto risulta essere immortale e caratterizzata tipicamente dalla facoltà intellettiva; ne troviamo testimonianza nel passo 99d-107b del Fedone, dove Socrate, ragionando sulla causa oggetto della sua ricerca, trova argomento per dimostrare l'immortalità dell'anima, dimostrando il legame esistente tra l'anima stessa e la causa, e l'eternità assoluta, come extratemporalità, di quest'ultima, mettendo in evidenza la capacità peculiare dell'anima, nella sua essenza, di comprendere ciò a cui è affine, per il fatto stesso di poterlo comprendere. Il rapporto tra l'anima e il corpo viene a modificarsi, dato che l'anima viene ad assumere importanza, predominanza rispetto al corpo.

L'anima, nella sua esistenza, viene ad incarnarsi, prende, cioè, un corpo, e, in questo, determina la vita.

L'anima incompatibile con la morte ha caratteri estranei alla corporeità, dato che la corporeità è oggetto di morte.

L'anima, nel passo 80b-82b del Fedone, dove si ragiona dell'ineluttabile destino di reincarnazione delle anime impure e del ritorno delle anime purificate presso gli Dei, è considerata possesso delgli Dei; essa viene valutata, creduta felice, potendo vivere presso gli Dei; quindi, l'incarnazione è assimilata ad un'espiazione che l'anima deve subire vivendo in un corpo per emendarsi da colpe commesse.

Ciò è supportato da una considerazione sull'esistenza umana.

L'esistenza pare potersi identificare con uno svolgimento di sofferenze, dato chie i travagli che l'uomo subisce, vengono tributati alla natura del corpo; il vivere, quindi, si accomuna al patire, non soltanto perché si consideri e venga considerato un sentire.

Il vivere di sensazioni, sentendo, proprio nella vita di un corpo e della vita corporale, implica per il sentire stesso, il patimento, il vivere di sofferenze.

 

La temporale e temporanea vita di un'anima in un corpo, vita portata dall'anima in un corpo, per il fatto stesso di essere considerata come pena, non può che essere patimento; tale patimento, viene riscontrato nel sentire specifico del corpo atto ad inferire sofferenza all'anima che patisce, vivendo nel corpo, la propria espiazione.

 
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