Creato da: laura.foggiato il 18/07/2014
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Conoscenza filosofica e conoscenza tradizionale - XV -

Post n°22 pubblicato il 29 Luglio 2015 da laura.foggiato
 

Stando al ragionamento, l'anima non può accogliere ciò che è contrario a quello che essa porta.

Allora, ciò che non accoglie la morte è immortale; l'anima non accoglie la morte, dunque, l'anima è immortale.

L'immortale è incorruttibile, e ciò che partecipa dell'immortalità non può subire corruzione.

Quando in un uomo giunge la morte, l'anima non può perire, dunque, quando l'uomo è colto dalla morte, la sua parte mortale, il corpo, muore, invece, la parte immortale, l'anima, si allontana.

Ammettendo che l'immortale sia incorruttibile, si deduce che l'anima è immortale e incorruttibile.

La vastità dell'argomento e la debolezza umana lasciano un margine di dubbio sui discorsi.

Nel passo 107b del Fedone leggiamo che il riesame dialettico degli argomenti consente la comprensione nella misura in cui è umanamente possibile comprendere.

Raggiunto ciò, non vi sarà necessità di ulteriore ricerca.

È necessario che, se l'anima è immortale, vi sia costante cura nei suoi confronti, dato che la sua trascuratezza implica un terribile pericolo.

Se la morte fosse l'ultima fine, i malvagi potrebbero liberarsi del corpo e della malvagità.

Ma per l'anima immortale, l'unica possibilità di salvezza consiste nell'esercizio di purificazione e nell'adeguamento, per quanto possibile, al bene e alla saggezza.

L'anima giunge all'Ade portando con sé la propria formazione e la testimonianza del vissuto, e, in base a questi, riscontra beni o mali.

Nell'uomo, l'animazione alla ricerca, alla conoscenza, il desiderio di sapere, sono filosofia, per la condizione umana stessa, cioè per la caratteristica naturale dell'uomo di essere in bilico, se mai in equilibrio, tra il peggio e il meglio, delimitato dal primo ed in tensione verso il secondo.

Il filosofico superamento della naturalità non si identifica in una inconcludente forma di disprezzo della naturalità stessa; esso si basa su di un giudizio di merito relativo alla conoscenza che il filosofo ha.

L'uomo è determinato dalla propria naturalità; giungendo ad avere consapevolezza di ciò, nella facoltà dell'intelletto, se ne verifica il superamento.

Nel pensiero l'uomo giunge a superare se stesso.

La conoscenza filosofica si differenzia dalla comune progressione conoscitiva, perché, in essa, non vi è insito superamento, ma si verifica, invece, per essa, cioè, per mezzo di essa, tale superamento, dato che avviene il riconoscimento, da parte di colui che pensa, di un rivolgimento del pensiero, causato da una raggiunta maturazione del pensiero stesso; maturazione avvenuta nell'esercizio del pensiero, per il fatto che il filosofo progredisce nel progredire della sua conoscenza.

Nel coglimento della conoscenza ultima, continuando il filosofo ad esistere, essendo filosofo, nella contemplazione, egli è indifferente all'oggetto della sua conoscenza, in quanto ciò è indeterminabile per quanto comprensibile, e se vi deve essere modificazione, e in ciò si ha il progresso, tale progresso è proprio del conoscente e non del conosciuto, per quanto conosciuto.

Il filosofo può giungere a conoscere pur mantenendosi, necessariamente mantenendosi, uomo.

L'esistenza dell'anima oltre a non essere sempre ritenuta effettiva, cioè creduta, sottostà all'opinione, cioè ad un insieme di credenze inverificate, pericolosamente avvicinabili alla falsità, al falso.

Il filosofo conosce quanto fondamentale sia, per il destino dell'uomo, la cura dell'anima; è l'umanità stessa del filosofo a costringerlo a filosofare per tutta la vita.

 

L'essere uomo del filosofo, oltre ad averlo costretto alla tensione verso la conoscenza, dovendo, cioè, ricercare la conoscenza, essendone privo, lo costringe, d'altra parte, terminata la ricerca, a ritornare a vivere con gli uomini, pur consapevole della valenza dell'umanità, in quanto consapevole della causa, e, di mantenersi in una continua necessità di ricerca, ove, nel ricercare scientifico, egli sia possibile ausilio agli uomini, esercitando, magnifica occasione, funzione politica; e tale ritorno è da intendersi in senso letterario, per quanto di uso metaforico, dato che, nel pensiero, il filosofo va oltre la dimensione umana, e, nella comune condotta di vita di uomo, è al di qua del mondo del pensiero, cioè della dimensione pensabile, raggiungibile con il solo pensiero.

 
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Conoscenza filosofica e conoscenza tradizionale - XIV -

Post n°21 pubblicato il 14 Luglio 2015 da laura.foggiato
 

In effetti, l'anima domina il corpo, opponendosi alle passioni di questo, ma, un'anima come armonia non potrebbe mandare suoni opposti alle sollecitazioni subite, ma adeguandosi ai suoi componenti, dovrebbe far seguito a quelli.

L'assurdità di tale conclusione fomenta l'insignificanza del pensare l'anima come armonia.

Il desiderio di conoscenza delle cause di generazione, di corruzione, di esistenza, porta il filosofo a rivolgere il suo interesse alla scienza definita indagine sulla natura, come leggiamo nel passo 95e-97b del Fedone, dove Socrate dice che, in gioventù, pensò di ritrovare, nello studio della scienza che indaga la natura, le cause di ogni cosa.

Lo studio degli elementi diviene oggetto di svariate teorie ritenute capaci di spiegare, di dare ragione dei processi di modificazione che interessano il mondo e l'uomo.

Nel già citato passo 99d-101d del Fedone leggiamo che tale ricerca induce il filosofo a constatare di non sapere più con chiarezza nemmeno ciò che, prima di tali studi, considerava certo, con una discreta convinzione, ed a respingere, dunque, tale indagine tentando di crearne o di trovarne un'altra.

Il filosofo, ricercando la causa di ciascuna cosa, la causa della generazione, della corruzione e dell'esistenza, ricerca, per ciascuna cosa, la condizione migliore d'essere, di patire, d'agire.

Sulla base di tale ragionamento, la ricerca deve svolgersi circa l'eccellente e l'ottimo, ma anche circa il peggio, dato che esiste un'unica scienza circa il meglio e circa il peggio.

È spiegazione sufficiente la ragione del meglio nell'azione e nella passione.

Ma la comune considerazione imputa la causalità ai mezzi mediante i quali la causa trova compimento, definendo gli elementi quali cause dei fenomeni, ritenendo che senza gli elementi i fenomeni stessi non si potrebbero verificare e, per quanto questo punto sia effettivo, il ragionamento che su esso si basa, è superficiale, dato che manca di considerare la reale causa dell'azione che si identifica con la scelta intelligente del meglio.

Il filosofo teme che, servendosi dei sensi nell'indagine sulle cose, possa provocare danno alla propria anima, ritenendo, per tanto, meglio condurre la ricerca nella logicità del pensiero e, in essa, valutare la verità delle cose indagate.

La progressione della ricerca esiste sulla considerazione del ragionamento che sembra più solido, nel giudicare vero ciò che concorda con tale ragionamento.

Le cose vagliate nel ragionamento non devono essere considerate immagini più di quelle ricercate nelle sensazioni.

Il ragionamento si alimenta nell'esistenza degli Enti in sé e, da qui, indaga la causa dell'immortalità dell'anima.

L'esistenza di cose denominate in un dato modo, in base al riscontro di date caratteristiche, dipende esclusivamente dalla partecipazione di tali cose all'ente di cui sono propri specificamente nome e caratteri, sensibilmente riscontrabili nelle cose.

Un oggetto bello esiste perché partecipa dell'Idea di bello, cioè della Bellezza in sé.

A ragione di ciò, le varie cause addotte naturalisticamente non trovano motivo di comprensione nel filosofo.

La caratterizzazione di ogni cosa è tale per partecipazione alla peculiare essenza di ciascuna Realtà.

Il ragionamento può produrre pensiero e discorso dopo l'esaurimento dell'analisi di tutte le possibili conseguenze da esso derivabili per vagliarne il reciproco accordo o la contraddizione; di qui, nell'esposizione, sarà necessario porre il prodotto del ragionamentodeducendo da questo l'argomentazione, evitando, in tal modo, di confondere il principio con le conseguenze derivate, nella possibilità di coglimento dell'Essenza.

Posta l'esistenza delle Idee e la partecipazione delle cose alle Idee, dalle quali le cose stesse traggono in nome, è necessario constatare che un'Idea in sé non possa accogliere il proprio contrario, ma che lo fugga, o, perisca, ma che non possa, accogliendo il contrario, divenire altro da ciò che è.

 

Ora il ragionamento non verte sulla reciproca generazione di cosa contraria in cosa contraria, ma sull'impossibilità che il contrario in sé possa, modificandosi, accogliere altro rispetto a se medesimo; l'Idea in sé si mantiene perennemente uguale a se stessa; ciò si verifica anche per la cosa che, partecipando dell'Idea, ne ha la forma; i contrari in sé non si possono accogliere reciprocamente, come, d'altra parte, non lo possono fare le cose che, pur non essendo tra loro contrarie, hanno in sé i contrari, non potendo accogliere, cioè, l'idea contraria a quella che è in esse; quindi, giungendo tale Idea contraria o periscono o si allontanano.

 
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Conoscenza filosofica e conoscenza tradizionale - XIII -

Post n°20 pubblicato il 09 Luglio 2015 da laura.foggiato
 

Infatti il punto è che tale tessitore muore dopo aver tessuto e logorato molte vesti ma prima, comunque, che l'ultima veste subisca logorio; non per tale motivo, però, la natura dell'uomo è inferiore a quella della veste.

Tale punto è paragonabile al rapporto che vi è tra anima e corpo; l'anima è di natura più durevole rispetto al corpo, ma ciò sembra significare che essa ha la capacità di consumare diversi corpi.

La caratteristica di ciò che è corporeo è il costante deperimento, ma, qualora l'anima giunga a perire, essa, stando comunque in un corpo, in tale circostanza, viene a mancare prima rispetto al corpo.

Tale ragionamento mina la credenza sull'esistenza dell'anima dopo la morte dell'uomo.

Ammettendo che l'anima esista prima dell'incarnazione e sopravviva a diverse e successive incarnazioni, avendo natura più forte rispetto al corpo, non sembra esservi possibilità per negare che l'anima non perisca trovando la morte in una delle incarnazioni.

Mancando la possibilità di conoscere la morte ultima, quella nella quale trova distruzione l'anima, risulta impossibile nutrire fiducia in quella che, allora, risulta essere ipotetica congettura sull'esistenza dell'anima dopo la morte, mancando la dimostrazione dell'assoluta immortalità ed indistruttibilità dell'anima, secondo quanto leggiamo nel passo 87e-88c del Fedone, - riportato in parafrasi -.

Le obiezioni poste al primo ragionamento pongono, l'una, il dubbio che l'anima sia una specie di armonia e che, quindi, nella morte perisca prima della dissoluzione del corpo, l'altra, pur considerando l'anima più duratura del corpo, pone come indimostrabile l'immortalità dell'anima, considerando che essa possa perire dopo aver trascorso diverse successive incarnazioni e che nella morte dell'ultimo corpo trovi, per questo, distruzione.

Nell'adesione al ragionamento che pone la conoscenza come reminiscenza, è necessario modificare l'opinione che considera l'anima come un'armonia composta dalla tensione degli elementi del corpo, dato che l'armonia non può esistere prima degli elementi che la compongono; nell'ammettere la reminiscenza propria dell'anima, si pone l'anima esistente prima dell'incarnazione, e, nell'ammettere l'anima come armonia la si considera dipendente e successiva rispetto agli elementi corporei che dovrebbero venire a determinarla, ma, mantenendo entrambi tali ragionamenti, si produce contraddizione nel pensiero, dato che non vi è possibilità di considerare l'anima, in un caso, preesistente al corpo, e, nell'altro, dipendente da questo.

L'argomentazione sull'anima quale armonia si basa su verosimiglianza ed apparenza, come le opinioni dei più; infatti le argomentazioni con tali basi sono vane e traggono in inganno, invece l'argomentazione sull'anima capace di reminiscenza si svolge con logicità necessariamente condivisibile, ponendo l'esistenza dell'anima anteriore all'incarnazione in corrispondenza alla verità di esistenza della realtà in sé e della comunione dell'anima con questa; inoltre l'armonia, come le altre cose composte, non può avere natura diversa da ciò di cui è composta, né può agire o patire alcunchè diversamente da esso, ma, seguendolo, non può essere in opposizione ad esso.

 

L'anima, considerata come armonia, non potrebbe venire caratterizzata da virtù e vizio, dovendo includere in sé, nel primo caso, un'altra armonia, e, nel secondo, una disarmonia, risultando essere, nel primo caso, se ciò fosse possibile, più armonia, e, nel secondo, meno armonia, pertanto, traslatamente, più anima e meno anima; ma è impossibile che un'anima possa avere più o meno armonia di un'altra, non potendo partecipare del vizio, non potendo accogliere, in quanto armonia, una disarmonia, risultando, in tal modo, che come tale anima, tutte le anime debbano essere buone alla stessa maniera, per il fatto di essere anime; inoltre, se l'anima fosse armonia, non potrebbe comandare il corpo, come invece avviene, specialmente per il fatto che essa è intelligente.

 
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Conoscenza filosofica e conoscenza tradizionale - XII -

Post n°19 pubblicato il 08 Luglio 2015 da laura.foggiato
 

Tale convincimento, però, risulta essere incompatibile con la paura del dissolvimento e dell'annientamento.

L'umana conoscenza, relativa all'anima, viene contraddistinta dalla limitazione.

L'oggetto d'indagine è di natura tale da risultare parzialmente estraneo nella complessità alla comprensione umana, tale da alimentare congetture, e, sulla base di tali congetture, credenze e convinzioni.

L'indagine conoscitiva risulta difficile, pare, anzi, impossibile, nell'impossibilità di riscontrare effettiva conferma o smentita al supposto, verifica, e, in ciò, comprensione.

Una possibilità di coglimento del vero viene data dalla divinazione, dalla condizione umana di poter oltrepassare gli umani limiti, inoltrandosi, nella dimensione spirituale, in comunicazione con il divino, raggiungendo una comprensione, esprimibile nel vaticinio, nella capacità di vedere ciò che è caratterizzato come oltre, di averne conoscenza dimostrabile per via argomentativa, di cui è possibile renderne discorsivamente conto.

D'altra parte, è necessario che l'uomo abbia una conoscenza logica e possa, nel ragionamento, riuscire a raggiungerla, dando fondamento alla persuasione.

In questo è necessario che il discorso venga messo alla prova, affinché ne venga vagliata la validità, la capacità di resistenza, per non dover riporre, in un vagheggiare di desideri, che verrebbe a coincidere con un vaneggiamento, la ragionata convinzione come ultima adesione.

Parafrasando il passo 85e-86d del Fedone, diciamo che ciò che viene detto dell'anima, come se in tal modo se ne potesse avere garanzia, può essere predicato anche d'altro, assimilabile, ne discorso, all'anima, ma, materialmente riscontrabile come deperibile; di qui, dalla possibilità di assimilazione, nella dimostrabilità di uno dei due termini, s'insinuerebbe il sospetto della totale uguaglianza dei due predicati e del loro comune destino

L'anima potrebbe essere paragonata ad un'armonia, che, in una lira ben accordata, risulta essere qualcosa di invisibile, incorporeo, bellissimo e divino; la lira stessa, sarebbe assimilabile, per riscontro, a ciò che è corporeo, deperibile, e, di qui, il rimando all'uomo ed alla sua condizione.

Simile anche il discorso sulla possibilità che, venuto meno il corpo,cioè la lira, l'armonia possa, d'altra parte, per il fatto di essere affine al divino, continuare ad esistere.

Ma sulla credenza che l'anima sia mescolanza ed armonia di elementi quali caldo, freddo, secco e umido, si basa la considerazione che l'anima armonia, per quanto divina, venga a perire nei mali del corpo, rimanendo il corpo, al contrario, e, mantenendosi a lungo; inoltre,itenendo l'anima una mescolanza armonica degli elementi caratterizzanti il corpo, danneggiato il corpo, essa sarebbe la prima vittima della distruzione.

D'altra parte, il discorso giunge a dimostrare l'esistenza dell'anima prima dell'incarnazione, ma è insoddisfacente l'argomentazione circa la possibile esistenza dell'anima dopo la morte dell'uomo.

 

Per quanto sia ragionevole credere che l'anima abbia una natura più forte rispetto a quella del corpo, si dovrebbe, per ciò stesso, convenire sulla possibilità dell'esistenza dell'anima dopo la morte, dato che è possibile constatare che la parte dell'uomo ritenuta la più debole, il corpo, dopo la morte, si mantiene per un certo tempo, da qui deducendo che, a ragione dunque, la parte più forte, l'anima, dovrebbe avere capacità di resistenza. Ciò risulta, nel passo 86d-88b del Fedone, - che parafrasiamo -, dove viene citato ad esempio un vecchio tessitore, morto, ipotizzabile, invece, in base all'argomento su svolto, come vivo, da qualche parte, citando, per avvalorare tale ipotesi, a testimonianza, l'ultima veste indossata da costui, visibilmente intatta, esente da consunzione, e, assumendo a prova di ciò, la superiorità della natura dell'uomo rispetto alla natura della veste: non essendo, quindi, distrutta la veste, a maggior ragione dev'essere intatto l'uomo; ma questo ragionamento manca di valore.

 
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Conoscenza filosofica e conoscenza tradizionale - XI -

Post n°18 pubblicato il 30 Marzo 2015 da laura.foggiato
 

Avendo l'anima tale natura, è possibile credere che essa, allontanandosi dal corpo, non si dissipi e non si annienti, come invece si crede; in ciò vi è la dimostrazione della differenza tra la conoscenza filosofica e la credenza tradizionale.

Se essa si distacca dal corpo essendo pura, senza trascinarsi, per quanto possibile, appresso nulla di corporeo, avendo perseguito, durante il periodo di comunione con il corpo, durante la vita, l'esercizio di distacco concentrandosi in sé, cioè filosofando rettamente, preparandosi serenamente a morire, giungerà a cogliere ciò cui ha sempre aspirato, mantenendosi in un luogo a lei affine, puro, in quanto è purificata, privo di qualsiasi tipo di turbamento o possibilità di inganno o di fallo, ove potrà essere felice, libera dai mali umani; d'altra parte, un'anima che, dimentica della propria natura, si avvezzi alla comunione con il corpo, ed a questo si renda affine, dopo la morte, si distaccherà dal corpo impura, materializzata, avendo in vita, fuggito, per amore e dedizione ai piaceri del corpo, l'esercizio filosofico dell'intrattenimento del pensiero nell'invisibile, quindi, non potrà raggiungere un luogo puro ed immateriale, ma, gravata dall'acquisizione di materialità, precipiterà in una nuova incarnazione, per la sua stessa incapacità alla purificazione, come leggiamo nel, già considerato, passo 80b-81e del Fedone.

Il processo di reincarnazione implica che le anime prendano forme simili ai costumi propri della vita precedente.

È ipotizzabile che possano essere i più felici e possano andare nei luoghi migliori, coloro che praticarono la virtù civile e politica, la temperanza e la giustizia, nate dal costume e dall'esercizio, senza filosofia e senza conoscenza.

Solo il filosofo potrà giungere al genere degli Dei, giunto ad abbandonare il corpo essendosi purificato completamente nell'esercizio dell'amore per il sapere; richiamando il genere degli Dei, il filosofo richiama, facendovi appello, la conoscenza tradizionale che l'uomo ha del divino, presentandolo, però, come nella filosofia lo si conosce, secondo quanto il passo 82b-c del Fedone dice: «ma al genere degli Dei non è concesso giungere a chi non abbia coltivato filosofia e non se ne sia andato dal corpo completamente puro, ma è concesso solamente a colui che fu amante del sapere» ed è per tale motivo che i filosofi si mantengono puri dalle passioni del corpo, dominandosi, senza abbandonarsi ad esse; coloro che hanno cura dell'anima non seguono l'opinione comune, non conoscendo dove possa portare, ma, pensando di non dover agire contro la filosofia e contro la liberazione e la purificazione che produce, si affidano ad essa, seguendo la via da essa segnata.

Il filosofo, colui che ama e persegue il sapere, conosce che la comunione dell'anima col corpo, oltre lo stretto necessario alla vita, si riduce in un'uniformazione dell'anima al corpo, per tanto, in una negazione, in una dimenticanza della natura e della funzione dell'anima.

L'anima che, accomunandosi ed assimilandosi, affinandosi al corpo, si riduce a partecipare, con esso, alle sue ricerche, giunge a considerare conoscenza ciò che viene percepito dal corpo, ed ad attribuire a ciò valenza di verità, quindi, validità, ritenendo di doversi conformare a questo, seguendolo comunque, secondo i suoi naturali cambiamenti, l'anima, dunque, diviene totalmente dimentica della sua possibilità di coglimento degli Esseri intelligibili ed immutabili, nel percorso di purificazione che potrebbe operare isolandosi dal corpo, se ad esso non si fosse asservita.

 

È l'esercizio filosofico che perpetua la liberazione dell'anima dal corpo, per ovviare al pericolo che il male estremo dell'ignoranza colga l'anima, ed essa giunga a pensare vero ed a considerare valido ciò che è corporeo e materiale, occludendosi la possibilità di poter giungere all'Ade, ritrovando la valenza della propria specifica esistenza; infatti sommo male è, per l'anima, incontrare la morte, e, da questa, farsi cogliere impura, immettendosi, così nella necessità di incorrere nel circolo delle reincarnazioni, reiterando le male abitudini acquisite, precludendosi la possibilità di poter ben agire, giungendo a pensare, cioè, adeguandosi alla propria natura, quindi, l'anima del filosofo tende a procurarsi tranquillità dalle passioni, seguendo il retto pensiero e mantenendosi in esso, contemplando ciò che è vero e divino, lontano dall'opinione; il filosofo vivendo secondo questo esercizio affronta la morte, considerando che l'importante, cioè l'anima, il suo essere, potrà, finalmente liberata dai pericoli di falsità prodotti dalle passioni del corpo, giungere pura a ciò che le è affine e vivere nella beata conoscenza, secondo quanto possiamo leggere nel passo 82d-84b del Fedone.

 
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