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Psicofarmaci: quali categorie, quando usarli e come

Post n°191 pubblicato il 09 Dicembre 2015 da Giuseppe_TV
 

Video pubblicato il 25 ott 2015 da MedicinaInformazione
http://www.medicinaeinformazione.com/
https://www.facebook.com/MedicinaEInf...

Ansiolitici, antidepressivi, antipsicotici e stabilizzatori dell'umore: quando usarli, per quali pazienti, per quali patologie
Gli effetti collaterali e come contrastarli - L'uso negli anziani e nelle donne in gravidanza
Prof. Massimo Biondi, La Sapienza- Policlincio Umberto I, Roma


La parola psicofarmaci evoca spesso paure legate alla dipendenza, agli effetti collaterali, all'idea che possano in qualche modo appannare la personalità di chi li usa. Ma in realtà il loro uso è fondamentale in moltissimi disturbi psichici per attenuare i sintomi, per aiutare fin quando una psicoterapia o un'altra metodica non abbiano mitigato il malessere all'origine del disturbo, o per tenere sotto controllo nel tempo oscillazioni di umore come nel disturbo bipolare o distacchi dalla realtà come nelle psicosi. Fondamentale è però usarli correttamente, con prescrizioni personalizzate sui bisogni del paziente ma anche sulla sua storia clinica e personale, variando nel tempo molecole se non danno una risposta completa e modulandone l'uso in base all'evoluzione della malattia. E per conoscere meglio i farmaci a disposizione dei medici nel controllo dei disturbi psichici abbiamo incontrato il Prof. Massimo Biondi, Direttore dell'Unità di Psichiatria e Psicofarmacologia del policlinico Umberto I di Roma e Professore Ordinario di Psichiatria a La Sapienza Università di Roma che ci ha presentato le quattro grandi categorie di psicofarmaci, ansiolitici, antidepressivi, antipsicotici e stabilizzatori dell'umore. Gli ansiolitici (usati per i disturbi d'ansia, gli attacchi di panico...) vanno usati solo per brevi periodi, cercando di individuare e possibilmente rimuovere la causa scatenante dell'ansia, usandoli quindi per aiutare nel controllo dei sintomi nel breve periodo senza però affidare alla pillola la soluzione del problema. Diverso invece il caso degli antidepressivi (e le categorie di farmaci vanno dai più antichi triciclici ai farmaci di nuova generazione) che devono essere usati almeno per qualche mese prima di dare un risultato tangibile, anche se il costane contatto fra medico e paziente farà sì che si possa nel corso della terapia variare dosaggi e molecole per ovviare ad alcuni effetti collaterali sgradevoli (come ad esempio il calo del desiderio). Nel caso degli antipsicotici poi, che vengono usate nei deliri, nella schizofrenia e negli attacchi psicotici, l'utilizzo deve essere protratto nel tempo proprio per evitare che il sintomo si ripresenti e anche gli stabilizzatori dell'umore, che si utilizzano in caso di sindrome bipolare , le linee guida parlano di terapie protratte anche per tre, cinque anni. Con il Professore parliamo poi dei tanto temuti effetti collaterali (aumento di peso, stipsi, appannamento...) che spesso possono essere controllati con un aggiustamento della terapia nel momento in cui invalidano la qualità di vita e da questo si capisce quanto sia fondamentale il dialogo fra il medico e il paziente quando si tratta di fare ricorso agli psicofarmaci, proprio perchè si crei una sinergia e una sintonia in grado di dare il giusto peso ai farmaci (non eleggerli a miracolose molecole in grado di restituire la felicità nè pericoli da cui tenersi alla larga per non alterare il proprio stato emotivo) perchè gli psicofarmaci, al pari di tutti gli altri farmaci, vanno ad agire laddove c'è una disregolazione chimica a livello cerebrale, e quindi hanno un valore terapeutico essenziale. In conclusione con il Prof Biondi parliamo dell'uso di psicofarmaci in due categorie particolarmente fragili, e cioè gli anziani nei quali va individuata la forma depressiva (se apatica, agitata...) per somministrare i farmaci più adeguati nei dosaggi adeguati e nelle donne in gravidanza per le quali va sempre misurato il costo beneficio prima di decidere se interrompere la somministrazione dei farmaci o continuarla (quando ad esempio vi sia un concreto rischio di suicidio).

 
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