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Il senso della sofferenza

Post n°356 pubblicato il 06 Febbraio 2013 da Illywirin

 

Cari amici, vorrei

trattare con voi di questo argomento,

prendendo spunto

da alcune riflessioni

prese dal web

e che qui riporto.

Qualcuno ha detto che la sofferenza...

fa male e basta,

voi che ne pensate.

 

 

 

 

Tutti noi vorremmo evitare il più possibile la sofferenza e quando essa giunge, fisica o psicologica che sia, speriamo che passi il più velocemente possibile. Tuttavia il dolore non è solo qualcosa di spiacevole da subire, ma anche una opportunità per mettere a nudo certe dimensioni esistenziali che altrimenti andrebbero disperse, una occasione per approfondire certi significati della vita e del vivere. Bisogna lasciarsi guidare dal dolore, seguirlo, viverlo e non subirlo con reazioni di paura o ribellione irrazionale. Il dolore infatti è spesso un segnale che ci comunica che qualcosa non va nel nostro corpo (se è un dolore fisico) o nella nostra vita relazionale (se è un dolore emozionale). E un po' come la luce-spia che si accende sul cruscotto della nostra autovettura: non dobbiamo arrabbiarci con essa ma anzi ringraziarla perchè ci segnala la presenza di un guasto prima che sia troppo tardi. Se ci fermiamo per tempo i guai sono contenuti, se aspettiamo troppo potremmo rovinare irrimediabilmente l'auto o peggio avere un incidente. E lo stesso accade nella vita, se non ci fermiamo ai primi segnali di sofferenza la situazione si aggrava e sarà più difficile e doloroso risolverla. Se sentiamo dolore (per la solitudine, per una relazione insoddisfacente o per qualsiasi altro motivo) la prima cosa saggia è fermarsi - fino a che non ci fermiamo come facciamo a fare un esame interiore, a capire che cos'è che non va e perché non va per il verso giusto, e a tentare di risolverlo, anche chiedendo eventualmente aiuto a un amico, a uno psicologo, o a un religioso?

Spesso il dolore deriva dal fatto che la nostra vita va in una direzione che non ci realizza, e anzi ci fa star male, e tuttavia ci ostiniamo a proseguire in quella direzione, vuoi per paura di cambiare, vuoi per un malinteso senso del dovere, che ci fa agire in modo contrario al nostro sentire. Pertanto, il senso del dolore svolge un importante funzione di feedback che dovrebbe aiutare l'individuo a dirigere il proprio agire e a governare nel modo migliore la propria vita, purché naturalmente egli sia in grado di sentire i segnali e di interpretarne correttamente il significato.

Così come il dolore ha lo scopo di segnalare che stiamo sbagliando qualcosa, che la strada intrapresa non è positiva per noi, il piacere ha - o dovrebbe avere - la funzione inversa, cioè di confermare e rinforzare determinati comportamenti, scelte, pensieri che vanno bene per noi. Purtroppo, il piacere è stato fortemente stigmatizzato e colpevolizzato dalla cultura cristiana (e anche da molte altre culture) e si è persa in gran parte la sua preziosa valenza di orientamento, non solo nel senso che le persone raramente sanno seguirne le benefiche indicazioni, ma anzi in alcuni casi le rifuggono come malvagie. Stravolto nel suo significato profondo, in un mondo contrassegnato da repressioni e distorsioni che hanno generato ogni tipo di perversione, il piacere ha perso del tutto la bussola in certe persone. Ma la colpa non è del piacere, bensì di coloro che lo hanno demonizzato, così come hanno demonizzato tutto ciò che di buono la dimensione materiale e corporea offre all'umanità. Certo, dobbiamo sempre chiederci se ciò che facciamo (o omettiamo di fare) può danneggiare qualcuno o anche noi stessi, ma se così non è, possiamo tranquillamente goderci il piacere e seguirne le indicazioni.

                                                   

Si pone, qui, il problema di che cosa voglia dire "fare del male a qualcuno": un genitore punendo il figlio lo fa soffrire ma lo fa (spesso, non sempre) per il suo bene; un figlio che se ne va di casa fa soffrire i genitori, ma la colpa può non essere sua, bensì dei genitori troppo assillanti che pretendevano di possederlo e controllarlo; analogamente, chi si separa dal coniuge, fa soffrire il partner e i figli, ma spesso non ha alternative e applica il principio "meglio una fine sofferta che una sofferenza senza fine". Dobbiamo quindi saper distinguere i vari casi, tenendo inoltre presente che non sempre la vittima è innocente come sembra, e può anzi aver iniziato lei stessa l'escalation che poi porta l'altro (il presunto persecutore) ad agire in un certo modo portatore di dolore. Teniamo altresì presente che vi sono vari livelli di piacere: il piacere fisico, quello emozionale, quello mentale e quello spirituale. Sviluppando la propria sensibilità e sensitività le sensazioni di piacere saranno avvertibili in modo più nitido, come pure quelle di dolore, e sarà più agevole orientarsi, cercando di evitare le strade portatrici di dolore e seguire quelle portatrici di piacere, gioia, armonia o qualsiasi altro nome si voglia dare alle sensazioni piacevoli.

Per concludere, possiamo dire che la capacità di sentire il dolore e il piacere è una funzione da riabilitare e comprendere; una funzione indispensabile per tutti coloro che vogliono essere se stessi e saper individuare la propria vera strada.

 

 
Rispondi al commento:
Illywirin
Illywirin il 06/02/13 alle 23:56 via WEB
Cara Dolores, noi siamo vicini agli amici nella sofferenza,ma lo siamo anche nella gioia, perchè non ho invidia verso le persone cui voglio bene. L'amicizia tutto condivide Buona notte Vittorio
 
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