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Natale a Creep Town

Post n°1058 pubblicato il 13 Marzo 2014 da padmaja
 

 

 

Avevo deciso di cambiare vita, così andai a vivere con la mia ragazza che abitava in un paesello, una borgata, molto lontana dalla mia città. Quel paese, mi sembrò subito un posto fuori dalla realtà e il nome poi, Creep Town era tutto un programma. Anche la mia ragazza sembrava, per certi versi, fuori dal normale. Ma in fondo era questo che cercavo, uscire un po’ dal mio mondo.

Lei era dolcissima e me ne innamorai, ma quando andai a vivere con lei, questa sua dolcezza, quel suo gentile servilismo, era troppo per essere normale, era morboso. Ma non ci badai, pensai a godermi quell’attimo di felicità.

Anche da parte dei vicini, l’accoglienza fu molto cordiale, troppo anche questo.

Sono un tipo simpatico ma non di certo da essere accolto come un atteso ospite da gente che conosco appena.

La situazione era strana, ma in fondo era gente simpatica e vivere li era piacevole, si organizzavano cene di condominio quasi ogni mese e in più di un’occasione si parlò della tradizionale cena di Natale, dove il piatto forte era una pietanza speciale sempre diversa, sconosciuta a tutti fino all’ultimo momento. Purtroppo però, anche questo mi suonava strano, poiché quella morbosa fratellanza tra condomini era iniziata esattamente col mio arrivo e un’altra cosa trovai strana, tutti gli inquilini sembravano vivere li da anni, tutti tranne quelli che abitavano nell’appartamento 1B, loro erano sempre nuovi, infatti cambiavano ogni anno. Quando lo scoprii sentii un brivido, poiché io e la mia ragazza Susan abitavamo proprio nell’appartamento 1B. I mesi passavano e io mi sentivo giù di forma e visibilmente ingrassato. Avendo sempre avuto un fisico atletico, me ne vergognavo ma lei, Susan, sembrava invece apprezzare i miei Kg di troppo.

Mi rendo conto che per molti di voi, una situazione simile sembrerebbe quasi idilliaca e scusatemi se oso lamentarmi, ma che volete, sono sempre stato un disgraziato e una situazione così mi sembrava a dir poco surreale.

Il Natale si stava avvicinando ormai e la mia curiosità nei confronti dell’ambita e sconosciuta pietanza, cresceva giorno dopo giorno; tuttavia non notai negli altri la stessa curiosità, che sapessero già di cosa si trattasse? O semplicemente non gliene fregava niente? Non quadrava, perché i condomini erano comunque in fermento per i preparativi, per la cena di Natale; ma di quella pietanza nessuno ne parlava, né un accenno né un’allusione. Una sera, però, ci fu una specie di “ riunione di condominio” segreta, a cui sembravano partecipare tutti i condomini. Già, tutti tranne me. Mi avvicinai alla porta di soppiatto e mi misi ad origliare. All’inizio non riuscii bene a capire, sembrava che la mia ragazza, Susan, tenesse una conferenza sui vari modi di trattare un determinato tipo di carne. Pensai subito che stessero parlando della famosa e misteriosa pietanza a sorpresa. Tuttavia, dai commenti che sentivo, sembrava parlassero solo di un banale grasso maiale. Rimasi deluso e pensai di andarmene, quando una frase detta da uno dei condomini mi inchiodò alla porta. Stava obiettando sulla presenza di un tatuaggio sulla coscia sinistra, tatuaggio? Rabbrividii perché da come lo descriveva, sembrava parlassero del mio. Qualcuno propose di asportarlo, ma Susan obiettò dicendo che per la riuscita del rituale di fine anno, la pietanza doveva essere integra.

Amici miei, come vi sentireste se foste stati invitati al cenone di Natale e avreste scoperto di essere il piatto forte? Sinceramente ve la sareste data a gambe levate, e vi giuro che ci provai con tutte le mie forze, ma qualcosa m’impediva di oltrepassare i confini di quello stramaledetto condominio. Non c’era dubbio, quel posto era stregato. Non sapevo cosa fare, ma di certo non mi andava di finire in un grosso vassoio da portata con una mela in bocca e una carota nel… bè, avete capito. Non potendo fuggire decisi di affrontare quell’orda di psicopatici. Rientrai in casa per cercare qualcosa per difendermi ma me li ritrovai tutti nell’appartamento, erano venuti a prendermi. Non so dirvi bene cosa successe, ma la vista mi si annebbiò, la testa mi girava. Sentivo le loro voci come lontane, poi il buio. Sentivo il freddo penetrarmi fin dentro le ossa, la pelle dolorante, l’amaro che sentivo in bocca era davvero fastidioso, un conato di vomito mi fece piegare su me stesso. Ma dove ero finito, cos’era quell’odore di morte? Non c’era luce a sufficienza per vedere quello che c’era intorno a me; muovendomi a carponi cecai di sondare il terreno, mi trovai le mani bagnate, ma di cosa? Avvicinai le mani al volto e vomitai di getto, la nausea era incontrollabile, c’era odore di carne putrefatta. Cercai di alzarmi, ma le vertigini mi fecero ricadere a terra, svenuto.

Mi svegliai di soprassalto, respiravo a fatica, cos’era quella puzza? Le fitte allo stomaco erano lancinanti, cercai di respirare a fondo per calmarmi, più inspiravo e più quell’odore nauseabondo mi faceva vomitare, ma dove accidenti ero finito? Cercai di abituare gli occhi a quel luogo, mi guardai intorno e riuscii ad intravedere la sagoma di una porta. Il legno era marcio, pieno di fessure e di crepe, dalle quali filtrava un po’ di luce, una luce tremolante, come se provenisse da tante candele accese. L’umidità e uno strano gocciolio mi suggerivano che quell’ambiente si trovava sotto terra.

 


Ad un certo punto sentii dei passi, quel rumore era inconfondibile, erano i tacchi di Susan, sempre abituata a portare quelle stramaledette scarpe tacco 12. Mi passò un vassoio attraverso una fessura della porta, con dentro una ciotola piena di un impasto che assomigliava proprio ad un tipico ripieno per il tacchino di Natale. Rimasi senza fiato, col cuore in gola ascoltai le sue parole, frasi uscite da una pazza scatenata; mi spiegò che avrei dovuto mangiare tutto, fino all’ultima briciola, perché erano tutti ingredienti che avrebbero dato più sapore alla mia carne. Credevo di impazzire. Lei che, con una folle lucidità, illustrava la mia fine; mi parlò di un rito: Susan e gli altri condomini vivevano li da molti anni, erano immortali e per alimentare i loro poteri, una volta all’anno, dovevano sacrificare un essere umano. Per non dare troppo nell’occhio, ogni 10 anni cambiavano condominio e ogni Natale si ripeteva la stessa macabra esecuzione. Certo che la fortuna stavolta mi aveva schivato proprio di brutto; capitare proprio in un luogo maledetto come quello, ce ne voleva! Susan, con tutta la tranquillità del mondo, mi parlò del mega forno che avevano costruito in uno dei garage, adatto a contenere una persona intera; mi tranquillizzò dicendomi che non sarei stato cosciente al momento dell’infornata, che mi avrebbero prima sedato. Certo questo, secondo psico, avrebbe dovuto tranquillizzarmi, certo, come no! Avevo il cuore in fibrillazione, stavo quasi per fare un infarto, ma cercai di restare apparentemente calmo, ci doveva pur essere una via d’uscita. Cercai di assecondarla, promettendole che avrei mangiato tutto il pasto che mi aveva portato. Così facendo, finalmente, se ne andò.

Cercai di concentrarmi, di pensare ad una soluzione, ma la paura mi impediva di ragionare lucidamente, finché mi venne un flash: la mia moto! Dovevo solo capire come sarei potuto uscire da quella cella; rovistai nelle mie tasche e fortunatamente avevo ancora con me la mia zippo. Illuminai velocemente la stanza e con mia grande sorpresa vidi una piccola porta, sicuramente sarei riuscito a passarci attraverso, quindi a colpi di zippo tolsi i cardini, sollevai quel pezzo di ferraglia arrugginita e davanti a me si materializzò la libertà, ma non era ancora finita, forse dovevo aspettare ancora un po’ prima di esultare. E ora in che garage mi trovavo? Non potevo di certo accendere la luce, troppo pericoloso, quindi mi accontentai dell’illuminazione, seppur precaria, del mio inseparabile accendino. Mi venne un tuffo al cuore, era li, cromata, nera, splendente, si, la mia bellissima moto c’era ancora ed ero finito proprio nel mio garage. Rovistai tra gli scatoloni di Susan e non rimasi di certo sorpreso quando in uno di questi vi trovai un’accetta e un fucile. Pochi giorni prima avevo fatto il pieno di benzina, quindi avrei potuto estrarne un po’ dal serbatoio per costruire una sorta di molotov, visto che avevo bisogno di armi.

Rientrai nella mia cella e con l’accetta ruppi la serratura, perché ero sicuro che quel corridoio illuminato dalla flebile luce delle candele, mi avrebbe condotto al covo dei miei aguzzini. Mi stavo inoltrando in un sotterraneo, mancavano solo il fossato e i coccodrilli e per il resto era un vero e proprio castello delle tenebre, abitato dai figli del male. Una macabra nenia mi fece rabbrividire e l’odore di stantio mi pizzicò le narici; erano tutti li, si trovavano in cerchio davanti ad un enorme tavolo decorato con simboli esoterici, pieno di boccette strane, non riuscivo a mettere a fuoco, caspita, erano piene di organi umani tra cui una era colma di occhi e per un istante ebbi l’impressione che uno di loro mi fissasse. Soffocai un urlo, respirai a fondo, raggruppando tutte le mie forze: erano concentrati sul rituale, erano vulnerabili ed io non avrei esitato un solo istante. Scagliai contro di loro la rudimentale molotov spargendo il panico; i primi che mi vennero a tiro, li colpii a colpi d’accetta decapitandoli, mentre vedere lo sgomento sulla faccia dei superstiti non aveva prezzo; caricai il fucile e in pochi secondi uccisi altri due bastardi, sembravo impazzito, dentro di me era esplosa una furia ceca. Provarono a bloccarmi, uno di loro mi diede un pugno in faccia e un altro mi colpì allo stomaco, che bastardi, fino a quel momento mi avevano trattato come fossi stato il Santo Graal, ma ora ero diventato pericoloso e la mia carne non era più dolce come prima. Dimenandomi riuscii a liberarmi e mi ritrovai davanti la mia amata Susan, che mi aveva spezzato il cuore e così senza indugio feci altrettanto. Anch’io le spezzai il cuore, ma con un colpo d’accetta in pieno petto. Le fiamme cominciavano a divampare ed istintivamente ebbi la sensazione che, quel cerchio malefico, che mi impediva di uscire dai confini del condominio si stesse deteriorando e allora decisi che era arrivato il momento, corsi verso il garage e montai sulla mia moto. Durante la fuga mi venne un’idea geniale, diedi un colpo al contatore del gas col calcio del fucile, trasformando il condominio in un’enorme bomba. Sgommai a manetta e mentre uscivo nella mia folle corsa verso la libertà, dietro di me si scatenò l’inferno. Ero salvo, di nuovo sulla mia moto, sfrecciando verso l’orizzonte.

Sicuramente non sono la persona adatta a dare consigli, ma se vi trovaste a passare per Creep Town e dovessero invitarvi alla cena di Natale, non perdete mai di vista la vostra moto e soprattutto abbiate sempre un’accetta a portata di mano.


Oz & fla

 

 

(Immagini e video tratti dal web)

 
 
 

Un po' di buon Heavy Metal!!!

Post n°1057 pubblicato il 13 Gennaio 2014 da padmaja
 

 

 

 
 
 

Good Music!!!

Post n°1055 pubblicato il 02 Luglio 2013 da padmaja
 

 

 

Anche questa versione è davvero fotonica!!!


 

 

Ciauuuzzz!


fla

 
 
 

Buon week end!!! Vi dedico a squarciagola questa song!!!

Post n°1054 pubblicato il 29 Giugno 2013 da padmaja
 

 

 

fla

 
 
 

Sono senza parole dopo aver appreso questa notizia...

Post n°1053 pubblicato il 23 Giugno 2013 da padmaja
 

 

 

Ho appreso poco fa la drammatica notizia

della scomparsa di Gianni,

il marito della cara amica Lady (emozionami1960)

In questi momenti non ci sono parole che possano consolare

una perdita così sconvolgente...

Cara Lady,

ti abbraccio forte e ti faccio le mie più sentite condoglianze...

Mai come ora i km che ci separano sono così terribili, perché non posso esserti vicina come vorrei...

Ti abbraccio forte.

 

fla

 

Mi unisco al cordoglio e alle preghiere

degli amici e redattori

del blog Fini la Comédie

 

 


 
 
 
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Ho una predisposizione naturale a dialogare con la parte più oscura di me stesso. Da questa macchia nera ricevo input, ispirazione e tanti sogni.

 

Mi sono ispirato spesso agli incubi perché per me il cinema è un sogno o un incubo, a seconda dei punti di vista, e ritengo sia importante riuscire a pescare nel proprio immaginario notturno.

Dario Argento


 

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