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Un blog creato da Virplatonicus il 19/06/2006

Smisurata preghiera

Vita di un aspirante filosofo, disputazioni e dialoghi, alla ricerca costante di verità e virtù, viaggiando in direzione ostinata e contraria

 
 

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What a dream I had
Pressed in organdy
Clothed in crinoline
Of smoky burgundy
Softer than the rain

I wandered empty streets
Down past the shop displays
I heard cathedral bells
Tripping down the alleyways
As I walked on

And when you ran to me
Your cheeks flushed with the night
We walked on frosted fields
Of juniper and lamplight
I held your hand

And when I woke
And felt you warm and near
I kissed your honey hair
With my grateful tears
Oh I love you girl
Oh I love you

Simon & Garfunkel

 

 

« A me stesso (pare ieri)To be or not to be (part II) »

To be or not to be? (part I)

Post n°101 pubblicato il 13 Febbraio 2008 da Virplatonicus
 

Hamlet (Atto III, scena I).

To be, or not to be: that is the question:
whether 'tis nobler in the mind to suffer
the slings and arrows of outrageous fortune,
or to take arms against a sea of troubles,
and by opposing end them? To die: to sleep;
no more; and by a sleep to say we end
the heart-ache and the thousand natural shocks
that flesh is heir to, 'tis a consummation
devoutly to be wish'd. To die, to sleep;
to sleep: perchance to dream: ay, there's the rub;
for in that sleep of death what dreams may come
when we have shuffled off this mortal coil,
must give us pause: there's the respect
that makes calamity of so long life;
for who would bear the whips and scorns of time,
the oppressor's wrong, the proud man's contumely,
the pangs of despised love, the law's delay,
the insolence of office and the spurns
that patient merit of the unworthy takes,
when he himself might his quietus make
with a bare bodkin?  Who would fardels bear,
to grunt and sweat under a weary life,
but that the dread of something after death,
the undiscover'd country from whose bourn
no traveller returns, puzzles the will
and makes us rather bear those ills we have
than fly to others that we know not of?
Thus conscience does make cowards of us all;
and thus the native hue of resolution
is sicklied o'er with the pale cast of thought,
and enterprises of great pith and moment
with this regard their currents turn awry,
and lose the name of action.

[Per i non anglofoni, propongo una mia traduzione del testo... ]

Essere o non essere: questo è il problema:
se sia più giusto nell’animo sopportare
i colpi e i dardi della sorte insolente
o armarsi contro questo gorgo di guai
e nella lotta por loro fine. Morire. Dormire,
nulla di più: e nel dormire, dire che poniamo fine
alle passioni e alle migliaia di sciagureche questa carne eredita: un logorio di cui esser
devotamente grati. Morire. Dormire;
dormire: magari sognare, sì, questo è il punto;
perché, quali sogni possano giungere in questo sonno di morte,
una volta sbrogliato questo viluppo mortale,
deve farci riflettere: ecco il timore
che dà alla sventura una vita così lunga;
altrimenti, chi sopporterebbe il sferzate e i dileggi del tempo,

i torti degli oppressori, le offese dei superbi,
le fitte di un amore rifiutato, il ritardo delle leggi,
la sfrontatezza del potere e il disprezzo
che il merito paziente riceve dal volgo,
quando egli stesso potrebbe star sereno
con un nudo pugnale? Chi porterebbe fardelli,
agognando e sudando sotto il peso di una gravosa vita
se il timore di quel che c’è dopo la morte,
questa landa sconosciuta dai cui confini
nessun pellegrino è mai tornato, non turbasse la volontà
e ci facesse sopportare i nostri mali piuttosto
che volare verso altri ignoti?
Sì, la consapevolezza ci rende proprio vili
e il naturale colorito della risolutezza
è sbiancato dal pallido aspetto del pensiero
e imprese e azioni di grande importanza
per questo deviano il loro corso
e perdono il nome di azione.

 
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SMISURATA PREGHIERA (DA “ANIME SALVE”, 1996)

Alta sui naufragi
dai belvedere delle torri
china e distante sugli elementi del disastro
dalle cose che accadono al disopra delle parole
celebrative del nulla
lungo un facile vento
di sazietà di impunità

Sullo scandalo metallico
di armi in uso e in disuso
a guidare la colonna
di dolore e di fumo
che lascia le infinite battaglie al calar della sera
la maggioranza sta la maggioranza sta
recitando un rosario
di ambizioni meschine
di millenarie paure
di inesauribili astuzie

Coltivando tranquilla
l'orribile varietà
delle proprie superbie
la maggioranza sta
come una malattia
come una sfortuna
come un'anestesia
come un'abitudine

per chi viaggia in direzione ostinata e contraria
col suo marchio speciale di speciale disperazione
e tra il vomito dei respinti muove gli ultimi passi
per consegnare alla morte una goccia di splendore
di umanità di verità

per chi ad Aqaba curò la lebbra con uno scettro posticcio
e seminò il suo passaggio di gelosie devastatrici e di figli
con improbabili nomi di cantanti di tango
in un vasto programma di eternità

ricorda Signore questi servi disobbedienti
alle leggi del branco
non dimenticare il loro volto
che dopo tanto sbandare
è appena giusto che la fortuna li aiuti
come una svista
come un'anomalia
come una distrazione
come un dovere

Fabrizio Dé André

 

SHIVA

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PLATONE ED ARISTOTELE

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BUDDHA

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DORME, DORME PLACIDO SULLA COLLINA

“… E dov’è Jones, quel vecchio suonatore
che giocò con la vita per tutti i suoi novant’anni,
affrontando la tormenta a petto nudo,
bevendo e facendo chiasso,
senza mai un pensiero né a moglie, né a parenti,
non al denaro, non all'amore, né al cielo?
Eccolo! Ciancia ancora delle porcate di tanti anni fa
delle corse bel boschetto di Clary
di ciò che Abe Lincoln disse una volta a Springfield

(da “La Collina” di E.L. Masters)

 
 
 
 

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