A volte -tristemente- ti accorgi che quello che fai non basta.
Neanche lontanamente -proprio no.
Non basta a farti soprav[vivere] con chi vorresti,
non basta per assicurarti quel po' di affetto e considerazione ch'è necessario.
Non basta nemmeno come scusa, come pretesto o attenuante
per dire "io ci ho provato" -ché per gli altri non hai tentato.
E forse è colpa mia, un difetto di fabbricazione, una mancanza genetica,
qualcosa di ineliminabile e congenito -bella fregatura.
È che ha ragione lei: mi preoccupo troppo di ogni possibile conseguenza,
vivo nel terrore di deludere e illudere, di dover tirarmi indietro,
paura di non accorgermi subito che ho intrapreso una strada sbagliata,
timore di dover abbandonare qualcuno a metà del viaggio,
senza che nessuno rimborsi quel biglietto.
Sembra che necessariamente ogni azione debba prendere, nel suo svolgersi,
una direzione diversa -contraria- a quella che gli imprimiamo in origine:
cerco di precludere ad altri inutili sofferenze
e non mi accorgo che alle mie spalle già soffrono.
C'è che a volte le pretese sono troppe e soffocano le mie già poche iniziative.
Però rimango, finché vale sperare.
"E al mattino al mio risveglio
cerco in cielo gli aironi
e il profumo bianco del giglio,
cerco in tutte le canzoni
e in un passero sul ramo
uno spunto per la rivoluzione,
cerco il filo di un ricamo,
un accordo in La minore."
[R. Gaetano - Cerco]